A cinque anni dalla scomparsa di Pinuccio Sciola, la Biennale Architettura di Venezia ospita la mostra Sound architectures. Un’occasione per conoscere l’opera dell’artista sardo che sapeva estrarre da una roccia «il fuoco e la terra»

La prima volta che lo conobbi frequentavo l’università. Avrò avuto vent’anni, studiavo Lettere moderne a Cagliari e quelli erano i giorni di preparazione dell’esame di Storia della letteratura italiana. Ci aveva portato lì, a San Sperate, il professore Giuseppe Marci. Ora non ricordo più il legame con il mondo dell’artista Pinuccio Sciola e i protagonisti della letteratura italiana, forse nessuno. Ma noi studenti, eravamo a casa sua a mangiare malloreddus con sugo di salsiccia e visitare il Giardino sonoro, poco fuori il paese, popolato da più di 700 opere scultoree, di cui alcune monumentali. Era il suo spazio espositivo, quell’agrumeto di famiglia, otto ettari disseminati di ulivi e arance che, già dagli anni 60, l’allora giovane scultore, utilizzava come laboratorio per intagliare i legni di ulivastro e pietre come la trachite o l’arenaria. Non era un caso se lo chiamavano l’“artista contadino”.
Quel giorno della visita nel suo atelier all’aperto, avevamo provato ad abbracciare quelle pietre per far uscire la musica. Poi lui aveva preso una piccola pietra, l’aveva sfregata, e con dei cerchi concentrici sul menhir sonante, stringendolo con passione, aveva fatto uscire un lamento vibrante, ma armonioso.

Non era uno qualunque, Sciola, aveva studiato a Firenze, all’Accademia internazionale di Salisburgo, poi a Madrid e Parigi. Ma, soprattutto, aveva avviato in Sardegna, una volta tornato nel suo paese natale, l’importante esperienza artistica e sociale dei murales, che trasformeranno San Sperate in un autentico “paese museo”. A causa di questa sua grande passione nel 1973 si era recato a Città del Messico, dove lavorò con il grande muralista David Alfaro Siqueiros. Espose ovunque nella sua vita: alla Rotonda della Besana e a Piazza Affari a Milano, alla Quadriennale di Roma e in Germania, Belgio, Austria, e ancora, ad Assisi, e poi ancora Roma. Fino a quando nel 1996 la sua grande svolta artistica con le Pietre sonore, esposte per la prima volta nel 1997 a Berchidda, in Sardegna. Nel 2011, sempre a Berchidda al festival Time in Jazz di Paolo Fresu, il grandissimo percussionista Pierre Favre, alle fonti di Rinaggiu a Tempio Pausania, le aveva suonate con le lacrime agli occhi. Sciola aveva raccontato del cuore che da millenni si nasconde dentro quei sassi. Suoni liquidi dal calcare, cupi e profondi dal basalto. Un miracolo che si rinnova sfiorando pieghe e tagli segnati dallo scultore. Pietre che…

Al Padiglione Italia della Biennale di architettura di Venezia dal 10 al 22 agosto la mostra Sound architectures dedicata alle opere di Pinuccio Sciola


L’articolo prosegue su Left in edicola fino al 26 agosto 2021

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO