Per la più antica banca del mondo, il Monte dei Paschi di Siena, si prospetta ormai la strada obbligata dell’acquisizione da parte di Unicredit. Una fusione che richiede un intervento pubblico, per il momento, di circa 8 miliardi di euro. E che comporta la perdita di migliaia di posti di lavoro

Le vicende bancarie che in queste ore stanno attirando l’attenzione degli addetti ai lavori e dell’opinione pubblica in generale, prevedono scelte dense di implicazioni finanziarie e occupazionali. È importante, dunque, chiarire quanto sta accadendo e l’entità della posta in gioco. Lo scorso mercoledì 4 agosto il ministro dell’Economia, Daniele Franco, ha illustrato alle commissioni Finanze di Camera e Senato lo stato dell’arte relativo alla situazione della banca più antica del mondo, il Monte dei Paschi di Siena, che da diversi anni si dibatte in condizioni critiche. In questi giorni i media sono prodighi di notizie sulle vicende che, nel corso degli ultimi 15 anni, avrebbero contribuito a determinare la crisi di questo istituto bancario.

Per fornire alcuni elementi utili al ragionamento, vorremmo concentrarci sull’attualità e sui possibili scenari derivanti dalla manifestazione di interesse di Unicredit e sulle sue relative ricadute, con un occhio di riguardo al destino del personale coinvolto in questa ristrutturazione.
Il ministro dell’Economia ha affermato che non vi sono le condizioni per ipotizzare una proroga dei termini di uscita del ministero dell’Economia dal capitale di Monte dei Paschi e che è assolutamente necessario rispettare gli impegni assunti con la Commissione europea.
Questo, in combinato disposto con l’esito negativo per Mps degli stress test in caso di scenario avverso, rende di fatto impraticabile l’ipotesi cosiddetta “stand alone”, cioè che la banca senese resti indipendente e non sia oggetto di fusione o acquisizione. Inoltre ci sarebbe, ha aggiunto il ministro Franco, la necessità di un rafforzamento patrimoniale strutturale con un aumento di capitale ben superiore a quello di 2,5 miliardi di euro già previsto nel piano industriale.

Quindi, l’uscita del Mef dal capitale della banca e l’aumento di capitale molto consistente che sarebbe necessario rende impraticabile la strada della sopravvivenza in autonomia dell’Istituto. Per completezza di informazione aggiungiamo che il ministro ha anche evidenziato che i 2.500 esuberi già stimati aumenterebbero significativamente nel caso in cui la Commissione europea ponesse un obiettivo più ambizioso di riduzione dei costi e che la banca sarebbe esposta a rischi e incertezze enormi e difficilmente sopportabili.
Esclusa la pista “stand alone”, dunque, resta in piedi l’ipotesi di nozze con Unicredit, da tempo il vero obiettivo di buona parte della politica nazionale: il pretendente sposo, infatti, è da tempo corteggiato dal governo affinché si decida a chiedere la mano di Mps. E non è irrilevante che, negli ultimi mesi, ci siano stati due importanti avvicendamenti ai vertici di Unicredit: oltre all’arrivo alla presidenza dell’ex ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, artefice del salvataggio di Mps, Andrea Orcel ha assunto il ruolo di Ceo andando a sostituire il suo predecessore Jean Pierre Mustier. Anche questi avvicendamenti sono stati spesso intesi come un…

*-* l’autore

Cesare Damiano già sindacalista e parlamentare in tre legislature, è stato ministro del Lavoro durante il secondo governo Prodi (2006-2008) ed è presidente dell’associazione Lavoro & Welfare


L’articolo prosegue su Left del 27 agosto – 2 settembre 2021

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