In un appassionato intervento alle Nazioni Unite del luglio scorso, Jeffrey Sachs – noto economista statunitense – riferendosi al turismo spaziale del fondatore di Amazon, Jeff Bezos, invitava i ricchi ad andare nello spazio e a restarci, lasciando sulla Terra tutti i soldi che hanno. Nei giorni scorsi Alexandria Ocasio-Cortez ha sfilato con un elegante abito bianco, recante in rosso la scritta: “Tax the rich”. Al contempo l’Economist, pur non riferendosi alla questione fiscale, ha lanciato un allarme contro la minaccia della “sinistra illiberale”, la quale, con l’attenzione che dedica alle diseguaglianze e alle condizioni dei più poveri, vorrebbe utilizzare il potere politico per correggerle, finendo per colpire le libertà individuali: forse quella di Bezos di andare nello spazio e tornare osservando che tutto quello “spazio”, appunto, potrebbe ospitare le nostre industrie inquinanti.
Insomma sembra che, su vari fronti, il liberalismo classico sia in crisi, e che in particolare crescano le preoccupazioni per quella tendenza che ha visto le diseguaglianze aumentare a dismisura. Il tema è dei più complessi. Per decenni il neoliberismo – proponendo una schematica distinzione tra le condizioni di partenza, che dovrebbero essere uguali per tutti, e i processi economici, ai quali va lasciata la massima libertà di operare perché generano benessere – ha favorito la formazione di squilibri senza precedenti nella distribuzione della ricchezza; rispetto ad essi, le proposte di introdurre una tassa internazionale minima per tutte le imprese, tassare i ricchi, o anche lasciarne qualcuno nello spazio, possono fare ben poco.
Ma è possibile effettuare una distinzione tra punti di partenza, che devono essere uguali per tutti, ed esiti del processo di mercato, dove i più abili devono essere lasciati liberi di arricchirsi? I processi sono veramente neutrali, oppure sono proprio i…
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