Racconta il dolore dell’esilio, ma anche la conquistata libertà di raccontarsi in una lingua nuova “Il sentiero delle babbucce gialle” dello scrittore iraniano naturalizzato olandese, scritto come intenso canto d’amore per le donne

«Un giorno venne a trovarmi un vecchio compagno di lotta. Si chiama Sultan Golestan Farahangi e in questa storia lo chiamerò Sultan», si legge nella prefazione de Il sentiero delle babbucce gialle (Iperborea), l’ultimo, intenso, romanzo dello scrittore iraniano, naturalizzato olandese Kader Abdolah.
Regista di fama, il deuteragonista di questo romanzo è stato costretto a lasciare l’Iran. Così è approdato in Olanda dove vive girando documentari trasmessi dalla Bbc Persian. Nonostante i suoi film siano vietati in Iran e lui stesso sia stato bandito dal Paese, Sultan è una personalità molto amata in patria. Ed è molto conosciuto in Olanda, benché si sia sempre rifiutato di imparare il nederlandese. Ma non del tutto, a dire il vero. Con una lingua semi sconosciuta, approcciata con la spontaneità e l’ingenuità di un bambino, Sultan Farahangi ha scritto 500 pagine che consegna all’io narrante del romanzo «perché ne faccia qualcosa». Al fondo, nonostante tutto il dolore dello sradicamento e la fatica di farsi strada in una cultura e in un mondo lontano dal proprio, Farahangi è consapevole (come il suo autore Kader Abdolah) che scrivere in una lingua nuova e quasi sconosciuta offra, pur fra mille difficoltà, una inaspettata libertà espressiva.

E qui dobbiamo uscire un attimo delle pagine del romanzo per ricordare che poco più che trentenne Kader Abdolah – il cui vero nome è Sadjadi Ghaemmaghami Farahani – dopo aver partecipato alla rivoluzione contro lo scià ed essere poi stato perseguitato dal regime di Khomeyni approdò da richiedente asilo in Olanda e fu spedito in un paesino in cui si parlava non solo una lingua sconosciuta, ma per giunta in una pesante variante dialettale. Da questa piatta pianura l’esule iraniano intraprese il proprio cammino nella letteratura, fino a diventare uno dei più importanti scrittori olandesi di oggi.
Figlio di un coltivatore sordomuto di zafferano (anche da qui il giallo delle babbucce che campeggiano nel titolo) da bambino aveva inventato una lingua dei segni con cui fare da trait d’union fra suo padre e il mondo. Una lingua fatta di poche centinaia di segni, ma con cui aveva imparato a esprimere un mondo intero, in tutta la sua complessità.

Paradossalmente, forse anche per questo, non gli fu impossibile cominciare a scrivere in una lingua altra, di cui conosceva sì e no poche centinaia di vocaboli. Da lì la strada è stata tanta, attraverso piccoli, grandi, capolavori come Il viaggio delle bottiglie vuote e Scrittura cuneiforme (come tutti i suoi libri pubblicati in Italia da Iperborea). Ecco perché dicevamo che è difficile non vedere un parallelo fra lo scrittore iraniano, che ha scelto come pseudonimo il nome di due compagni della resistenza uccisi dal regime, e il regista de Il sentiero delle babbucce gialle.

Potremmo dire che Farahangi sia un suo alter ego? Chiediamo a Kader Abdolah.

«Sì senz’altro – risponde lo scrittore – possiamo dire che il cineasta iraniano rifugiato in una fattoria della campagna olandese protagonista di questo mio nuovo romanzo abbia molto in comune con me. Credo di avergli dato molto della mia vita e a volte mi sono anche nascosto un po’ dietro il suo personaggio». Ma in questo sottile e intrigante gioco dei rimandi si scopre anche altro: a sua volta il personaggio di Sultan Golestan Farahangi rimanda a una figura storica della rivoluzione, quella del poeta Said Sultanpur, che fu ucciso dal regime nel 1981.

Fu un punto di riferimento per lei, Kader Abdolah, quando in Iran, giovanissimo, si schierò con la sinistra contro il regime dello scià e contro quello di Khomeyni? «Ho voluto tracciare un ritratto di Sultanpur perché lo considero non solo un punto di riferimento ma anche una personalità emblematica di una intera generazione, quella che ha combattuto contro lo scià, che ha combattuto contro l’America. Posso dire che siamo tutti un po’ lui». In questo romanzo, come in altre sue opere precedenti si parla molto del dolore dell’esilio, ma anche di una conquistata libertà di poter raccontare la bellezza della propria cultura e di vedere la propria identità in maniera nuova, in dialogo con l’altro, diverso da sé. «La possibilità di esprimersi liberamente è una conquista, ed è oro nelle nostre mani», sottolinea lo scrittore, che ha sperimentato sulla propria pelle la censura di regime. Il suo primo libro sui curdi in Iran uscì sotto falso nome e molte sue opere sono state messe all’indice, come accade al regista protagonista de Il sentiero delle babbucce gialle.

Il regime degli ayatollah ha silenziato l’arte e il cinema in modo particolare ma in Iran, nonostante ciò, si è sviluppata una grande scuola cinematografica. Pensiamo per esempio al cinema di un maestro come Abbas Kiarostami che in film come Il viaggiatore (1974) e Il sapore della ciliegia (2015) si è espresso con immagini poetiche, quasi mute, e profondissime. Pensiamo anche all’opera cinematografica, poetica e politica, di Mohsen Makhmalbaf, al suo Viaggio a Kandahar (2001), oggi più attuale. E ancor più all’opera di sua figlia Samira Makhmalbaf, autrice del geniale La mela (1998). Pensiamo poi all’opera di Jafar Panahi, silenziato dopo aver vinto premi a Cannes a Berlino e Venezia, condannato, nel dicembre 2010, a sei anni di prigione con la proibizione per venti anni di dirigere film o scrivere sceneggiature.

«Gli ayatollah sono come i talebani in Afghanistan – commenta Kader Abdolah -. Chiudono i teatri, i cinema, censurano la letteratura, fanno di tutto per imbavagliare l’arte in tutte le sue forme, ma la cultura iraniana ha di diverso che è molto più forte di loro. Lo sono anche le donne, talmente forti da riuscire in qualche modo a combattere questa censura e aprire una strada a un nuovo tipo di cinema, di arte… ma direi di più anche un nuovo tipo di umanità». I talebani che hanno ripreso il potere in Afghanistan proibiscono la musica e opprimono le donne come ha rappresentato icasticamente l’artista afgana Shamsia Hassani con un’immagine che dice più di tante parole (che abbiamo scelto come copertina del numero di Left dedicato all’Afghanistan).

«I talebani si rifanno a tradizioni molto antiquate, di un’altra epoca, non sono attuali, moderne. Nonostante la fatica di contrastare il regime in atto, verrà il momento in cui potremmo uscirne con una nuova generazione, una nuova era», preconizza Kader Abdolah. «E le donne, io penso, di questa nuova era saranno protagoniste». Il riconoscimento dell’identità delle donne è un passaggio ineludibile per poter costruire un futuro diverso, più libero e inclusivo, suggerisce Kader Abdolah.

Nel romanzo Il sentiero delle babbucce gialle le donne hanno una grande importanza, a cominciare dalla figura della madre, bella e fragile, e al contempo dalla forte personalità. Proprio per lei il marito aveva creato delle speciali babbucce gialle che le permettevano di camminare spedita, nascondendo la sua zoppia. Ma spicca anche la figura della giovane Akram Jun, insegnante di inglese nell’unica scuola femminile in città, che con le sue scarpe colorate con il tacco alto e tanti libri lotta per l’emancipazione. Potremmo definirla una femminista? «Rispondo con una battuta, ma che in fondo non lo è – abbozza Kader Abdolah -. Non mi piace la parola femminismo perché è solo una sigla. Effettivamente l’ho introdotta io per generalizzare ma non è quello di cui stiamo parlando. Parliamo piuttosto della forza delle donne, dell’identità femminile. Mia madre era una donna molto forte, lo era anche mia nonna, ma non era femminista per come intendiamo oggi. Semplicemente era una donna tosta, libera. Donne così ci sono sempre state nella storia, non serve neanche che io dia una etichetta. Femminismo è un termine, un cartellino, forse più americano che altro». Ci spieghi meglio… «Penso che le donne siano una potenza e che possano lottare per se stesse; penso che abbiano lottato tanto per il progresso della società. Come uomo e come scrittore le supporto con la mia narrativa perché possano riappropriarsi del loro potere, perché possano esprimere tutte le loro potenzialità». Donne e uomini dovrebbero essere fianco a fianco in questa battaglia, auspica Kader Abdolah.

Ad incipit de Il sentiero delle babbucce gialle annota: «Ogni episodio di questo libro può essere letto secondo la legge della letteratura. Perché Sultan il narratore di questa storia, ha seguito le orme di Shahrazād, la narratrice delle Mille una notte». E in effetti si trovano molti riferimenti a questa figura cardine della letteratura persiana disseminati nelle opere di Kader Abdolah, fin dai suoi inizi. Ma lo scrittore di recente ha anche lavorato a una traduzione delle Mille e una notte appena uscita in Olanda e siamo curiosi di sapere di più.

Cosa ci può dire della storia di resistenza e resilienza femminile, incarnata da Shahrazād? «Ecco Shahrazād è un ottimo esempio di quel che stavo cercando di argomentare. Non possiamo certo dire che sia una femminista nel senso letterale del termine, ma è una donna forte. E ce ne sono molte altre nelle storie delle Mille e una notte come del resto nella storia. Quello che posso dire è che questo è proprio un libro sulle donne, sulla loro forza, sul loro potere. È il tentativo di fare pressione, di togliere di mezzo il maschilismo e il machismo e di nuovo riportarle alla loro potenza».


L’articolo prosegue su Left dell’8-14 ottobre 2021

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SOMMARIO

Direttore responsabile di Left. Ho lavorato in giornali di diverso orientamento, da Liberazione a La Nazione, scrivendo di letteratura e arte. Nella redazione di Avvenimenti dal 2002 e dal 2006 a Left occupandomi di cultura e scienza, prima come caposervizio, poi come caporedattore.