A Riace, per 20 anni, Lucano ha usato la bellezza «come arma contro l’omertà e la rassegnazione» dice Laika, facendo proprie le parole di Peppino Impastato. Da qualche giorno una nuova opera della street artist campeggia vicino al ministero di Giustizia

Una dea della giustizia quasi picassiana, da qualche giorno, campeggia in via Beatrice Cenci a Roma, vicino al ministero di Giustizia. È bendata e dal braccio spezzato precipita la bilancia. Con il titolo Iustitia? è comparsa all’alba, come un grido di dolore e di sgomento per quanto è accaduto all’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano, condannato a 13 anni in primo grado, per irregolarità come – in terra di ’ndrangheta e di quotidiane, gravi, malversazioni – aver affidato direttamente la raccolta dei rifiuti ad una cooperativa locale che la faceva con un asinello e aver aiutato dei migranti.

L’immagine realizzata da Laika parla da sola. Ma abbiamo voluto raccogliere qui anche le sue parole, insieme a quelle di Ascanio Celestini, di Moni Ovadia e di altri artisti, come lei impegnati nell’arte e nel sociale.

Laika cosa pensa della condanna che è stata inflitta a Mimmo Lucano?
Credo che siano sufficienti le parole del pm, Luigi D’Alessio. Lui stesso, come accusatore, ha detto che non è soddisfatto della sentenza per tutti gli anni di pena comminati. Già questo dà la misura di qualcosa di quantomeno poco chiaro. Il punto è questo: Mimmo Lucano ha agito a fin di bene, per tenere vivo un paese come Riace, sostenere i più deboli, mostrare ed attuare un modello di integrazione reale e funzionante. Mimmo Lucano è colpevole di “crimini” a favore dell’umanità e di non essersi mai girato dall’altra parte. Una condanna di questo genere è una mazzata innanzitutto per lui e poi per tutti quelle persone che lavorano quotidianamente per una società migliore. Non posso sapere cosa abbia portato a questa sentenza ma è indubbio che ci sia un pesante giudizio politico dietro.

Perché chi fa accoglienza in modo laico e parla di un altro mondo possibile, di pace e di convivenza, fa così tanta paura?

Viviamo in una nazione in cui tutti i partiti, da destra a sinistra, hanno criminalizzato il fenomeno delle migrazioni, come se non fosse una delle cose più naturali della storia umana. Dagli accordi con la Libia di Marco Minniti (Pd) ai porti chiusi del leghista Matteo Salvini nessuno dei partiti che si sono succeduti al governo si è mai distinto per discontinuità sul tema. Si riempiono la bocca di discorsi sull’aiutare le donne afgane ma quelle stesse donne quando cercano di entrare in Europa vengono lasciate per anni a rimbalzare tra Croazia e Bosnia. Purtroppo elettoralmente la deriva securitaria paga, purtroppo fanno più presa gli “immigrati cattivi” che le realtà positive e funzionanti come Riace. Di conseguenza si colpiscono queste realtà perché entrano in contrasto con la narrazione imperante.

Ha scelto di realizzare la sua nuova opera vicino al ministero di Grazia e giustizia per dare un messaggio forte…

Mi sembrava il luogo più adatto per testimoniare il suicidio della Giustizia stessa. Sarebbe stato anche calzante modificare la scritta sopra la facciata del ministero in “Dis-grazia e In-giustizia”. Magari la prossima volta.

La cd. trattativa Stato/mafia viene derubricata a fatto “normale”, un sottosegretario leghista qualche mese fa voleva cancellare il nome di Falcone e Borsellino da un parco pubblico sostituendolo con quello del fratello di Mussolini e intanto si punisce chi, come Mimmo Lucano, la mafia l’ha sempre combattuta. È il mondo alla rovescia?

Partiamo da una premessa: in Italia ci sono tantissimi giudici e magistrati che fanno un lavoro eccezionale, in alcuni casi mettendo a rischio loro stessi. È chiaro però che molte sentenze, come quella di cui si parla qui, ma anche altre, non fanno che minare la fiducia nel sistema giudiziario. Tra l’altro, per parlare della trattativa Stato-mafia, la sentenza è riuscita a far quasi dimenticare che Dell’Utri è stato in precedenza condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. Purtroppo in tanti hanno la memoria troppo corta.

Cosa può fare l’arte e in particolare l’arte di strada per creare consapevolezza pubblica?

Rispondo con le parole di Peppino Impastato: «Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore». Questo dovrebbe essere l’obiettivo dell’arte.


L’articolo prosegue su Left dell’8-14 ottobre 2021

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