Quando Salvini dall’alto scranno del Papeete chiese i pieni poteri, ci fu un’alzata di scudi, un moto di resistenza da parte della democrazia parlamentare. Oggi, per bocca di Giorgetti, la Lega rilancia, in altro modo, l’idea dell’uomo forte al comando proponendo Draghi presidente della Repubblica e al contempo – de facto – alla guida della governo. In felpa griffata CasaPound o in doppiopetto la sostanza non cambia. Salvini e Giorgetti, con Meloni, puntano a far passare l’idea di Repubblica presidenziale che già Renzi e tanti altri prima di lui avevano tentato di imporre in maniera più o meno surrettizia. Un progetto, quello di fare della Repubblica parlamentare italiana una Repubblica presidenziale – come ci ricorda Giulio Cavalli citando Zagrebelsky – già caro a Licio Gelli.
Ma restiamo ai fatti. Per ora, fortunatamente, non ce ne sono. Ciò che Giorgetti propone in base a una presunta Costituzione “materiale”, non si può fare, come spiega qui in punta di diritto il costituzionalista Giovanni Russo Spena. Resta però l’inaccettabile proposta di semi-presidenzialismo formulata da un ministro, che per questo, come sostiene la costituzionalista Lorenza Carlassare, dovrebbe essere sfiduciato.
Nemmeno per scherzo scrivemmo in copertina poco più di un anno fa quando direttamente e indirettamente Berlusconi si auto candidò alla presidenza della Repubblica. L’uomo delle cene cosiddette eleganti, del bunga bunga, delle leggi ad personam, dei Mangano…
Beninteso Draghi non è Berlusconi, ci sono anni luce di credibilità internazionale e competenza fra loro. Ma che per l’ex presidente della Bce si auspichi addirittura un doppio ruolo al Colle e a palazzo Chigi, in spregio della Carta, non ci rassicura. Perché è un attacco alla democrazia parlamentare. Ma anche per le politiche che il governo Draghi sta portando avanti. Basta pensare al progetto di restaurazione del metodo Fornero sulle pensioni, passando prima per quota 102. Oppure al ddl Concorrenza varato dal Consiglio dei ministri che prefigura il completo affidamento al mercato dei servizi pubblici essenziali. In barba al referendum sull’acqua del 12 giugno del 2011, quando 26 milioni di italiani votarono perché l’acqua restasse un bene di natura esclusivamente pubblica e che da essa non si traesse profitto.
Per tacere poi del nuovo pacchetto di provvedimenti annunciato dalla ministra Lamorgese che subordina il diritto a manifestare (art. 21 della Costituzione) al “diritto” dei cittadini a non partecipare ai cortei e al diritto dei commercianti agli utili dello shopping festivo. Tutto questo avviene mentre il Parlamento appare sempre più marginalizzato e intenzionato, almeno per una parte, a rimandare il più possibile (ben oltre il semestre bianco) la verifica elettorale a causa del taglio del numero dei parlamentari, provvedimento bandiera del M5s a cui, ricordiamo, si era piegato anche il Pd con un clamoroso autogol. Dove sono finiti quei correttivi promessi e auspicati? Dove è finita la proposta di una riforma di legge in senso proporzionale, che dia voce ai cittadini, al Paese reale? Non se ne parla più. Intanto in cene private ad Arcore e a Roma si tessono tele per il dopo Mattarella.
In questo gioco dell’eterno ritorno spuntano schiere di ex democristiani, l’immancabile candidatura del dottor Sottile con l’aggiunta di impresentabili di centrodestra. Anche per questo facciamo nostra la proposta di Roberto Musacchio. Respingiamo al mittente la proposta leghista che lede la Carta e avanziamo la proposta di una donna al Quirinale, una donna laica, progressista, democratica che guardi alla giustizia sociale e ambientale, all’inclusione, ai diritti umani. In tempi non sospetti, molti mesi fa avevamo proposto una nostra candidata ideale, la senatrice a vita fieramente antifascista Liliana Segre che sulla propria pelle ha vissuto la discriminazione, capace di sentire il dramma che vivono oggi i migranti e di tradurlo in pratica politica come ha fatto anche di recente avviando e guidando la Commissione di indagine del Senato contro le discriminazioni.
La questione dei diritti umani negati ai migranti, delle aggressioni razziste, misogine e omofobiche si va, purtroppo, allargando in Italia. L’affossamento del ddl Zan, ma anche il nulla di fatto ancora riguardo allo scioglimento di formazioni di estrema destra (nonostante la mozione Fiano passata in Parlamento dopo l’aggressione squadrista alla sede della Cgil) sono segnali di una grave mancanza di volontà politica di affrontare questioni così gravi. Torniamo ad occuparcene su questo numero con il contributo dello storico Claudio Vercelli che indaga la metamorfosi dei gruppi neo fascisti e le responsabilità dei partiti politici che adottano i loro slogan. Il “neofascismo in grigio” di cui Vercelli traccia una mappa, non riguarda solo l’Italia. E chiama in causa le responsabilità di esponenti politici di primo piano, come il presidente ungherese Orban con cui Meloni e Salvini intrattengono stretti rapporti e come l’uomo forte della Polonia Kaczyński.
In un ampio reportage da Varsavia, Wojciech Alberto Łobodziński ricostruisce lo scontro fra la Polonia e l’Unione europea e, soprattutto, racconta la lotta delle donne contro l’antiscientifica e rigida legge polacca che restringe la possibilità di poter interrompere una gravidanza. Lo scorso 6 novembre a Varsavia si è tenuta una grande manifestazione contro quella legge fondamentalista e in ricordo di Izabela Budzowska, morta a soli 30 anni per setticemia dopo aver inutilmente chiesto di abortire. Un caso che ci ha riportato alla mente il dramma di Valentina Milluzzo, anche lei morta di setticemia in un ospedale in Sicilia. Italia e Polonia, due Paesi dove ancora la Chiesa riesce a pesare con il suo oscurantismo misogino. Due Paesi in cui c’è ancora molto da fare per affermare i diritti delle donne.
[foto di Nicola Colombo]
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