Fotografie, dipinti, sculture sono fondamentali nella costruzione e decostruzione degli stereotipi e quindi dei presupposti di ogni forma di violenza. Ma l’arte pubblica italiana si muove in un orizzonte retrogrado: basti vedere i monumenti ai personaggi femminili

A passare in questi giorni nelle Gallerie degli Uffizi a Firenze, proprio tra le sale di Leonardo e Michelangelo, capita di incontrare le fotografie di Ilaria Sagaria, che raccontano con delicatezza pari all’intensità storie di donne sfregiate dai loro ex compagni e mariti. Donne che non vediamo in volto, perché ci volgono le spalle, perché sono bendate, o perché semplicemente sono fuori dal campo visivo. Ma a spiazzarci è che queste immagini di silenziosa e tragica eleganza, sotto il titolo Lo sfregio, siano accostate al ritratto femminile forse più sensuale e vitale di tutto il Seicento, la Costanza Bonarelli di Gian Lorenzo Bernini, in temporanea trasferta dalla sua sede abituale (il Museo del Bargello). Sì, perché pure Costanza fu sfregiata, nella carne e non nel marmo, dal suo amante Gian Lorenzo, che così aveva reagito scoprendo una relazione tra lei e il fratello dell’artista. Una violenza consumata a freddo, perché eseguita da un servo. Ma comunque un crimine. Bernini se la cavò con una pena mite e il successivo perdono del Papa (che di lui aveva bisogno). Costanza, vittima ma adultera, ebbe bisogno di un passaggio in convento prima di tornare dal marito, anch’egli scultore, e ricostruirsi vita e carriera con lui. A fronte della sua libertà e della sua determinazione, il furore del più grande scultore del secolo riduce la grandezza a qualcosa di miserrimo.

A prima vista la mostra potrebbe offrire lo spunto per una riflessione in termini di cancel culture. Perché vandalizzare l’effigie di Indro Montanelli per i suoi trascorsi coloniali con una ragazzina etiope e non censurare Bernini, autore di un gesto odioso anche per la giustizia e la morale del XVII secolo? Ma è davvero questo il modo corretto di affrontare la questione? Il fatto che Caravaggio abbia ucciso un uomo e Rimbaud abbia fatto pure il mercante d’armi (per tacere di Verlaine, che gli aveva sparato) può avere la meglio sulla loro opera? Possiamo vandalizzare il Partenone perché espressione di una civiltà schiavista e per molti versi xenofoba? Fino a che punto è legittimo attribuire a epoche e contesti molto diversi dai nostri (anche quando i luoghi sono gli stessi) valori, e dunque comportamenti, propri del nostro tempo?
Il rischio è quello di appiattire tutto sul presente, e di perdere la complessità della prospettiva sul passato. Se boicottassimo Bernini, non credo che la nostra conoscenza del Seicento ne risulterebbe illuminata, né la condizione della donna conoscerebbe un netto miglioramento. Ma la mostra ci suggerisce che la violenza sulle donne è fenomeno di lunga durata e radicamento non meno tenace. E che occorre riflettere su…


L’articolo prosegue su Left del 19-25 novembre 2021

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