Come mai quando una donna uccide il figlio si riscontra sempre una qualche patologia psichiatrica, mentre se il responsabile è un uomo si assiste a una vera e propria levata di scudi contro anche la sola ipotesi che alluda a un gesto “folle”?

L’orrore è tale che non si riesce quasi a immaginare: un bambino di 10 anni, solo a casa, apre la porta a suo padre che lo uccide con una coltellata alla gola. È successo il 16 novembre a Cura di Vetralla, nel viterbese. Marjola Rapaj ha trovato suo figlio Matias già senza vita in un stanza, e nell’altra il suo ex compagno in stato confusionale. Il giorno dopo, a Sassuolo un altro padre stermina l’intera famiglia, due bambini di due e cinque anni, la ex-compagna e la suocera; si salva solo la bambina più grande che era a scuola.

Poi tre femminicidi, tutti in Emilia Romagna, nella stessa settimana, alla fine della quale quasi ci si dimentica di Matias ma anche gli altri bambini uccisi sono vittime come le madri e le altre donne della violenza maschile di chiara matrice patriarcale che si scatena quando la donna decide di separarsi. È tragicamente vero che i bambini sono coinvolti nelle dinamiche tra i genitori, che vengono con colpevole superficialità e assurda imparzialità definite “conflittuali” perfino quando il cosiddetto conflitto esplode nella violenza omicida.

Ma è insopportabile che le morti dei bambini vengano archiviate sotto la categoria del femminicidio perché verrebbero uccisi per vendetta nei confronti delle madri, annullando così l’identità e il valore della vita dei bambini per se stessi, negando l’evidenza della gravità di gran lunga maggiore della violenza rispetto a quella che si rivolge contro la sola donna, e non ovviamente per una questione meramente quantitativa, di uccidere una o più persone, ma piuttosto per il rovesciamento totale del rapporto genitore figlio, fino a togliere la vita che si era data.

Proprio in questo è evidente come l’idea del possesso, a cui la mentalità patriarcale riduce qualunque rapporto umano, sia la cifra di questi delitti, ma basta quest’idea a spingere un padre ad uccidere brutalmente i suoi figli? O non si deve almeno immaginare che quel tanto di affetti dai quali un giorno i figli sono nati siano andati perduti, insieme al rapporto con la madre?

Si sa veramente poco dei figlicidi, perfino le statistiche sono più rare e meno…

*L’autrice: La psichiatra e psicoterapeuta Barbara Pelletti è presidente dell’associazione Cassandra


L’inchiesta prosegue su Left del 26 novembre 2021

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