La strategia Usa per arginare l’influenza internazionale della Cina si basa sul soft power. Da qui il boicottaggio dei Giochi invernali con l’obiettivo di mettere in cattiva luce l’avversario a livello globale, “accusandolo” di violazione dei diritti civili degli Uiguri

Se il 2021 di Stati Uniti e Cina si è chiuso con l’esclusione di quest’ultima dal Summit per la democrazia di metà dicembre organizzato da Biden, il 2022 si apre con il boicottaggio diplomatico americano delle Olimpiadi invernali di Pechino. La motivazione addotta dall’amministrazione Usa in entrambi i casi è sostanzialmente la stessa: la Cina non rispetta i diritti umani e civili di oppositori e minoranze. In occasione del Summit, il presidente Joe Biden ha affermato che «la democrazia ha bisogno di campioni», campioni tra i quali non si possono evidentemente annoverare né la Cina, né la Russia, né l’Ungheria, a differenza invece di Brasile, Polonia, India e Turchia che sono state invece invitate a partecipare. È sempre più chiaro come, alla base, ci sia una retorica da Guerra fredda che sposta il dibattito da una dimensione pratica-economica – quella adottata da Donald Trump – a una dimensione politico-ideologica basata sulla retorica del «mondo libero», come suggerisce il professor Mario Del Pero in un articolo per Treccani. Nel frattempo, i piani di scontro tra Washington e Pechino stanno aumentando, acuendo il conflitto tra quelli che potremmo considerare due modelli di “eccezionalismo”. Ossia due modelli di potenze che si considerano uniche e superiori rispetto alle altre società in virtù delle proprie caratteristiche e che nutrono la convinzione di essere investite da un ruolo straordinario rispetto agli altri player internazionali.
I due “eccezionalismi”, però, presentano varie differenze. Una in particolare riguarda il modo di intendere la politica estera. Il paradigma statunitense della «città sulla collina» prevede che tutto il mondo debba seguire lo schema democratico americano, essendo il più perfetto di tutti. In Cina, invece, incontriamo un pensiero secondo cui il Paese del Dragone sarebbe il centro dell’universo e il resto del mondo possa solo provare ad avvicinarsi alla sua perfezione, che sarebbe però inimitabile e irriproducibile altrove. Nessuna esportazione della democrazia, dunque, sarebbe davvero realizzabile né auspicabile, ma solo un’espansione del governo migliore di tutti.
Per quello che si sa finora, le sfide principali tra Stati Uniti e Cina si concentreranno soprattutto su alcune direttrici, prime tra tutte le tensioni con Taiwan e i rapporti con la minoranza uigura. L’aumento degli armamenti cinesi fa pensare che Pechino sia così determinata nel riunificarsi con Taiwan da pensare di agire anche con la forza, se necessario. Una prospettiva che Biden ha scoraggiato fortemente durante il video-colloquio di metà novembre con Xi, affermando che è compito della Cina mantenere i rapporti pacifici e non provocare alcuna guerra armata, che sia volontaria o involontaria. Per quanto riguarda la questione degli uiguri…


L’articolo prosegue su Left del 7-13 gennaio 2022

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