Nella legge di bilancio sono stati stanziati 38 milioni per la cura delle patologie mentali di bambini e adolescenti e per l’accesso delle fasce più deboli a questo tipo di servizi, sottolinea il ministro della Salute, Roberto Speranza, e aggiunge: «Dobbiamo fare di più, ma credo che questi siano segnali importanti, tutt’altro che scontati fino a pochi mesi fa»

A vent’anni dalla prima conferenza sulla salute mentale, nel giugno del 2021, nel bel mezzo della pandemia, il ministro della Salute Roberto Speranza ha varato la seconda conferenza nazionale sul tema, cogliendo l’importanza fondamentale della prevenzione e della cura nelle strutture pubbliche.
Seguendo questo filo di pensiero e in un momento in cui molto si discute della proposta di un “Bonus psicologo”,bocciato dal governo gli abbiamo rivolto alcune domande.
Ministro Speranza, tutelare il diritto alla salute significa anche occuparsi del benessere psicofisico dei cittadini?
L’Organizzazione mondiale della sanità definisce la salute come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non di semplice assenza di malattia. Oggi più che mai abbiamo compreso a fondo che non può esserci salute senza salute mentale.
In che modo lo Stato può e deve intervenire per garantire il diritto alla salute in questo particolare ambito?
Innanzitutto è fondamentale promuovere e rilanciare l’assistenza territoriale per la salute mentale, prendendo come riferimento le comunità, la prossimità e la domiciliarità, proteggere i diritti umani e la dignità delle persone con sofferenza mentale, favorire ovunque possibile una presa in carico inclusiva e partecipata, nonché migliorare la qualità e la sicurezza dei servizi a beneficio di pazienti e operatori. Nel nostro Paese abbiamo obiettivi da raggiungere e buone pratiche da valorizzare. Queste sono state messe in risalto in occasione della II Conferenza nazionale per la Salute mentale “Per una Salute mentale di comunità” e saranno al centro del prossimo Global mental health summit, che l’Italia si è candidata con successo ad ospitare e che si terrà ad ottobre a Roma. Nel mondo il nostro Paese è considerato un importante punto di riferimento per la salute mentale, per diverse ragioni: dalla chiusura dei manicomi civili voluta con la legge 180/1978, alla scelta di prevedere l’attivazione di una rete di servizi territoriali per la salute mentale, fino al più recente superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari con la legge 81/2014.
Tuttavia cresce la domanda di salute mentale in Italia e non sempre trova adeguata risposta. La richiesta di aiuto viene dai più giovani. Ma non solo. Anche gli operatori sanitari che dopo due anni di pandemia sono a rischio burnout avrebbero avuto bisogno di sostegno. Per non dire di molte altre fasce della popolazione. Come rispondere a tutte queste differenti ma altrettanto importanti esigenze?
La pandemia ha avuto un impatto enorme sulle fasce più vulnerabili della popolazione e ha fatto pagare un prezzo altissimo a bambini e ragazzi. Oggi più che mai abbiamo bisogno di mettere il benessere delle persone al centro delle politiche sanitarie e degli investimenti. Nella legge di bilancio abbiamo previsto un investimento di 38 milioni di euro di cui 20 milioni per il disagio psicologico di bambini e adolescenti che consentiranno nuove assunzioni per rispondere adeguatamente ai bisogni dei più piccoli; 10 milioni sono destinati all’accesso ai servizi psicologici delle fasce più deboli, in modo particolare i pazienti oncologici che hanno bisogno di un sostegno e di un’assistenza nei momenti più complicati della loro esistenza e 8 milioni per il potenziamento dei servizi territoriali e ospedalieri di neuropsichiatria infantile e adolescenziale. Abbiamo vincolato 60 milioni a progetti regionali di superamento della contenzione e di qualificazione dei percorsi di cura. Dobbiamo fare di più, ma credo che questi siano segnali importanti, tutt’altro che scontati fino a pochi mesi fa. E ai quali faranno seguito altri interventi. Il Covid-19 ha reso tutti noi più consapevoli della centralità del bene salute, intesa come salute fisica e salute mentale, e dell’importanza delle relazioni umane e sociali. Abbiamo capito che da una pandemia nessuno può uscire da solo e che il disagio si cura nelle comunità in cui vivono le persone e con l’apporto delle comunità stesse.

Molti operatori sostengono che sarebbe fondamentale finanziare la psicoterapia nei servizi pubblici che offrono percorsi validati e che il varo del “bonus psicologo” rischierebbe di essere al più un palliativo. Cosa ne pensa? Occorre un nuovo piano assunzioni?

Io credo che, nell’ambito del processo di riforma del Servizio sanitario nazionale, dobbiamo sostenere tutte le iniziative che vanno nella direzione di una maggiore attenzione verso la salute mentale, per promuovere migliori pratiche di prevenzione, cura e assistenza. Per raggiungere livelli di servizio sempre più elevati, abbiamo bisogno senza dubbio di valorizzare il più possibile il ruolo dei professionisti sanitari e la formazione, attraverso un investimento di lungo periodo. La crisi sanitaria ha messo a dura prova tutti noi, ma al contempo ha evidenziato la centralità e la forza del nostro Ssn. Oggi, la prima grande sfida riguarda proprio le persone che vi lavorano dentro ogni giorno: dobbiamo prenderci cura di chi si prende cura di noi. La partita del personale è fondamentale per costruire insieme il Servizio sanitario nazionale del futuro e per garantire a tutti il diritto alla salute, un bene irrinunciabile che è alla base di tutto. Su questi temi il mio personale impegno è massimo.

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L’intervista prosegue su Left del 28 gennaio 2022 

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