«Ho cinque fucili, mi piace sparare», dice il ministro della Difesa ucraino Oleksi Reznikov in un’intervista del 6 febbraio anche se poi ammette: bisogna trattare per evitare la guerra. La Russia di Putin ha ammassato 120mila uomini al confine ucraino e minaccia una nuova invasione dopo quella in Crimea del 2014. Motivo del contendere è l’espansionismo Nato. Putin non vuole che l’alleanza atlantica coinvolga Paesi ex Urss arrivando a lambire i confini russi. Gli Usa, a loro volta, minacciano di intervenire in difesa dell’Ucraina e del diritto degli Stati sovrani ad aderire alla Nato (che è uscita in modo disastroso dall’Afghanistan e cerca altre ribalte).
Così l’Europa rischia l’esplosione di un conflitto perché Stati Uniti e Russia cercano di ridisegnare le proprie aree di influenza. Molti sono gli interessi in ballo che spingono ad alzare la febbre della crisi. Dietro c’è anche una sciagurata corsa al riarmo che coinvolge anche l’Italia che, per alleanza Nato, spende 78 milioni per mantenere mezzi e militari nell’Est Europa. Mentre scriviamo apprendiamo che Kiev avrebbe chiesto a Washington di dispiegare il sistema anti missilistico Thaad in zona Kharov. Già nelle settimane scorse il presidente ucraino Zelensky – l’ex comico populista al potere dal 2019 – si è recato da Erdoğan (un tempo suo bersaglio preferito in tv e ora invocato come “un padre), per acquistare droni prodotti dal genero dell’autocrate turco.
Fin qui dal riposizionamento di armi e soldati si è sottratta la Germania che ha deciso di mandare in Ucraina solo elmetti e presidi medici. Un gesto importante attento ai diritti umani, frutto del nuovo corso della coalizione rossoverde guidata da Scholz, affiancato dalla ministra verde Baerbock. Ma anche una mossa strategica per salvaguardare i propri interessi economici, a cominciare con quelli sul nuovo gasdotto Nord stream2. Perché, come rimarcano Heinz Bierbaum e Massimo Serafini su Left, l’approvvigionamento di gas è il vero motivo del contendere. Ma come la Germania, anche l’Italia e altri Paesi Ue dipendono, chi più chi meno, dalle forniture russe di gas. E ora la Commissione europea ha fatto l’antiscientifica e improvvida scelta di includere il gas, insieme al nucleare, nella tassonomia di fonti energetiche per la transizione ecologica. Se scoppiasse un conflitto russo-ucraino l’Europa sarebbe costretta ad acquistare il costosissimo gas prodotto dagli Usa, auspica Biden.
Dunque chi ha più interesse a soffiare sul fuoco di questa crisi? A questo dedichiamo la nostra inchiesta di copertina. E da qualunque lato si guardino questi giochi di potere, chi ci rimette, come sempre sono i cittadini. Indirettamente anche noi che siamo già alle prese con un fortissimo caro bollette. Direttamente gli ucraini di cui colpevolmente nessuno parla come rimarca l’analista dell’Ispi Eleonora Tafuro Ambrosetti. Avendo già vissuto di recente una guerra e portandone tutte le ferite la popolazione ucraina chiede pace e stabilità.
Dalla “rivoluzione della dignità” (l’Euromaidan del 2013) quando la polizia del presidente Yanukovich, burattino di Putin, attaccò i manifestanti il Paese ha cercato di uscire dalla povertà, di liberarsi della corruzione e dell’oppressione. Lo stesso Zelensky ha cavalcato queste battaglie presentandosi, alla Grillo, come anti-establishment, anti oligarchie, fondando un proprio partito personale, “Servo del popolo”, dal nome della trasmissione che lo aveva reso popolare. Oggi lo ritroviamo a sua volta implicato in scandali emersi con i Pandora papers e indagato per corruzione.
Quel che rileviamo in tutta questa complessa vicenda geopolitica, che proviamo a dipanare con l’aiuto di esperti come Alessandro Scassellati, è la mancanza di ribalte mediatiche per i movimenti progressisti della società civile, ecologisti e per il disarmo. Ma colpisce anche il silenzio e l’inerzia di Bruxelles.
L’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Borrell ha detto che questo è il momento più pericoloso per la Ue dai tempi della guerra fredda. «Bisogna essere preparati al peggio per evitarlo». Ma quali sono i passi concreti intrapresi dalla Ue per il dialogo fra le parti? A costruire percorsi per una de-escalation ci ha provato il presidente francese Macron nell’incontro con Putin. Ci sta provando, per interessi economici, anche la Cina, con furbo doppio gioco. Xi Jinping sostiene Putin perché la Cina importa gas a basso costo dalla Russia ma dall’altro lato non riconosce l’annessione della Crimea e non ha per nulla gradito l’intervento russo in Kazakistan, Paese strategico per Pechino. Così pur schierandosi contro eventuali sanzioni unilaterali contro la Russia, definite «illegali», la Cina auspica che si mantenga la calma e che si evitino mosse che intensifichino i conflitti e aumentino le tensioni.
E l’Italia cosa fa sul piano diplomatico? Sono preoccupanti le parole del ministro della Difesa Guerini, che riferendo sulla crisi russo-ucraina davanti alle commissioni Esteri e Difesa della Camera ha parlato di confronto diplomatico «che pretende innanzitutto un atteggiamento coeso da parte dell’Alleanza, nell’esplorazione di tutte le soluzioni ma anche nel definire una adeguata postura di deterrenza e difesa, attraverso la disponibilità e l’incremento della prontezza degli assetti necessari». Purtroppo sappiamo bene quanto “il ministro della guerra” si sia impegnato nella corsa italiana agli armamenti.
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