È avvenuto quello che Biden considerava da settimane inevitabile: il 24 febbraio la Russia ha violentemente invaso l'Ucraina, scatenando una guerra “fratricida” tra russi ed ucraini che coinvolge eserciti, milizie e, soprattutto, l’intera popolazione civile ucraina, con la sistematica distruzione di veicoli, infrastrutture, case civili e vite umane di un Paese di oltre 40 milioni di persone. La guerra è diventata inevitabile perché gli Stati Uniti e i loro 29 alleati Nato avevano messo la Russia in un angolo da cui poteva uscire - almeno secondo Putin e il suo ristretto entourage - solo con un’offensiva militare. In effetti, la Russia doveva affrontare uno scenario in cui gli Usa le avrebbero sempre più stretto intorno al collo il cappio con un'ulteriore espansione verso est della Nato, combinata con il rafforzamento militare da parte degli Usa dei loro junior partners Nato dell'Europa orientale. Ad accompagnare quella militarizzazione c'era la prospettiva di un’accelerata guerra di propaganda, alimentata dai grandi media mainstream occidentali, per infiammare le opinioni pubbliche contro la Russia. Think-thanks finanziate dal governo Usa - come il National endowment for democracy e il German Marshall fund - sono impegnate a fondo per cercare di influenzare la politica europea e russa con l'obiettivo di un cambio di regime. In questa fase, due sono le domande chiave da porre: cosa verrà fatto? e cosa si dovrebbe fare? Cosa verrà fatto? La risposta alla prima domanda è chiara. Siamo dentro un'altra era di guerra fredda, che potrebbe facilmente trasformarsi in calda e persino nucleare. La situazione è molto più pericolosa della prima guerra fredda poiché gli Usa sono molto più potenti della Russia, rispetto alla loro posizione nei confronti dell'ursa. Di conseguenza, l'equilibrio è precario, motivo per cui il mondo potrebbe facilmente precipitare in qualcosa di ancora più terribile della guerra ucraina. Il punto di vista dei neoconservatori americani – fautori di una declinazione estremista dell’ideologia dell’”eccezionalismo americano” ed eredi della dottrina imperiale Cheney-Rumsfeld - sostiene che gli Usa debbano essere globalmente dominanti e militarmente non sfidabili, e ha definitivamente trionfato nella politica americana. Un trionfo che si riflette nella frase “the United States must retain overmatch” della National Security Strategy del 2017 e ora anche nel Partito Democratico, che rappresenta l'ala “liberal” della politica nazionale americana, oltre che nelle opinioni dei media liberal d'élite. I vincitori sono le forze politiche, economiche e culturali dello status quo di Washington. Il più grande vincitore è l'ala liberal dell’establishment neoconservatore che ora ha una pista chiara per spingere l'egemonia globale degli Usa sotto la falsa bandiera della promozione della democrazia. Ancora più importante, i neoconservatori hanno intrappolato i leader politici europei - da Scholz a Macron -, avendo sabotato la possibilità che si arrivasse ad un pacifico produttivo riavvicinamento che avrebbe potuto unire la Russia all'economia e alla famiglia europea. Il secondo vincitore è ovviamente il complesso militare-industriale che può aspettarsi di continuare a fare enormi profitti, disponendo di budget utramiliardiari (770 i miliardi chiesti da Biden per il 2023). A differenza della prima guerra fredda, non ci sarà alcun vantaggio per le classi lavoratrici. Questo perché la Russia non ha un'agenda politica economica globale equivalente al socialismo, la cui minaccia aveva costretto l'élite capitalistica dominante a fare concessioni ai lavoratori durante i “trenta anni gloriosi”. In effetti, le classi lavoratrici rischiano di perdere man mano che i budget militari diventeranno ancora più grandi sia negli Usa sia nella Ue. Ancora più importante, la rinascita di nazionalismo e militarismo giocherà il ruolo già sperimentato nel ‘900, dividendo le classi lavoratrici e migliorando così la capacità delle élite economiche e politiche di boicottare qualsiasi programma che preveda un cambiamento economico progressivo. Ma, di gran lunga il maggiore perdente è l'Unione europea, che è stata vergognosamente svenduta da una classe politica rinunciataria e pavida (dobbiamo, purtroppo, rimpiangere la Merkel). Primo, l'Ue ha rinunciato all'opportunità economica di dare vita ad un partenariato pacifico con la Russia. Perderà invece mercati importanti e pagherà molto di più per l'energia. Si renderà inoltre ancora più vulnerabile economicamente e suscettibile alle punizioni Usa, (soprattutto se la Russia sarà rimossa dal sistema di messaggistica finanziaria Swift), come già accaduto con le multe multimiliardarie imposte alle banche europee in relazione a Cuba, Iran, Sudan, Libia, Myanmar, Siria ed altri Paesi sotto sanzioni Usa. È possibile, infine, che le sanzioni sconvolgano l’economia russa, ma sicuramente faranno molto male all’economia Ue (soprattutto se si arriverà al divieto delle importazioni di petrolio, gas e cereali dalla Russia). In secondo luogo, ancora una volta, l'Ue subirà il pesantissimo contraccolpo della spinta al dominio degli Usa, soprattutto in termini di un nuovo flusso di richiedenti asilo e profughi. È quello che è successo con Iraq, Libia, Siria e Afghanistan. Le conseguenze hanno già fertilizzato la rinascita dell'estremismo della destra europea, che ora promette di ampliarsi. Nel frattempo, gli Usa sono protetti dalla maggior parte di quell’effetto dagli oceani Atlantico e Pacifico e dalla loro autosufficienza energetica. Cosa dovrebbe essere fatto? Anche rispondere alla domanda su cosa dovrebbe essere fatto è facile, ma arrivarci inizia a sembrare impossibile. Ciò che dovrebbe essere fatto è una profonda ricalibrazione che riduca l'influenza degli Usa in Europa, rafforzi l'Unione Europea e miri all'inclusione della Russia nella famiglia europea come era stato previsto dal presidente Gorbačëv nel 1990. Il punto di partenza è riconoscere che non si può tornare indietro nel tempo. Nuovi fatti sono avvenuti. C’è stata l'espansione verso est della Nato, il colpo di stato sponsorizzato dagli Usa in Ucraina nel 2014, la rioccupazione russa della Crimea e ora l'invasione russa dell'Ucraina. Poi, c'è bisogno di un fondamentale cambio di mentalità che richiede di riconoscere che la Russia non è l'Unione Sovietica. È un'economia debole con una popolazione in declino che non ha né la capacità né il desiderio di governare i Paesi dell'ex Patto di Varsavia. Con questi due punti di riferimento, è possibile tracciare una strada da seguire. L'Ucraina deve accettare di essere permanentemente uno stato neutrale, così come la Finlandia e l'Austria durante la Guerra Fredda. Gli Usa devono smettere di armare la Polonia, un Paese dotato di un sistema politico nazionalista intollerante che probabilmente sarà una futura fonte di gravi problemi. E gli Usa devono smettere di potenziare le capacità militari degli stati baltici, una provocazione aggressiva verso la Russia. L'Unione Europea deve battersi per definire una nuova architettura della sicurezza europea e per espandere gli scambi commerciali con la Russia. Un matrimonio economico tra Ue e Russia sarebbe la vera svolta. La Russia ha materie prime (energetiche, minerali, terra, cibo) e ha bisogno di tecnologia e beni capitali. L'Europa ha tecnologia e beni capitali e ha bisogno di materie prime. Diminuendo la minaccia contro il presidente Putin, tale partenariato promuoverebbe il miglioramento politico interno in Russia. I regimi autoritari reprimono quando sono minacciati, mentre sono più tolleranti quando non lo sono. La parte difficile è che l'Ucraina dovrebbe essere ricostituita come stato federale e potrebbe anche essere necessario dividerla, dati i fatti nuovi ancora in corso. Con l'incoraggiamento degli Usa, l'Ucraina ha giocato con il fuoco e si è bruciata. Se il matrimonio tra Ue e Russia non si farà, la Russia convolerà a nozze con la Cina, portando in dote gas, petrolio, materie prime e cibo, ed ottenendo tecnologia e beni capitali. Negli ultimi anni, il Cremlino ha riorientato il commercio lontano dall'Occidente e verso la Cina, attualmente il suo partner commerciale numero uno, per arrivare a superare i 200 miliardi di dollari entro il 2024, il doppio rispetto al 2013. E se Mosca e Pechino diventano partner strategici eserciteranno il dominio sull’Eurasia, chiudendo la porta a Usa e Ue. La minaccia dei neoconservatori americani Tragicamente, è probabile che nulla di tutto ciò accada perché è profondamente in contrasto con l'obiettivo del dominio globale dei neoconservatori Usa, e i politici dell'Unione Europea si sono disonorati come tirapiedi degli americani. Una Russia forte, prospera e politicamente progressiva sarebbe un'enorme minaccia per l'agenda neoconservatrice Usa. Questo è il motivo per cui gli Usa hanno ora chiesto la liberalizzazione politica della Russia, sapendo benissimo che in questo momento storico causerà solo debolezza e disintegrazione. Un'Unione Europea forte, unita e prospera aggraverebbe la minaccia all'agenda neoconservatrice Usa. E un'Ue che aiutasse la Russia lungo la via della prosperità aggraverebbe doppiamente tale minaccia. I media occidentali stanno ora concentrando l'attenzione sull'invasione della Russia. In quel punto focale c'è una tacita riscrittura della storia. I neoconservatori Usa vogliono che la storia inizi con l'invasione, mentre tutto il resto che è accaduto prima deve essere spazzato via nel "buco della memoria" di Orwell. Ciò significa dimenticare le ferite e le minacce che gli Usa hanno inflitto alla Russia per 30 anni; dimenticando come gli Usa hanno aiutato a depredare la Russia per un decennio dopo la caduta del Muro di Berlino, dimenticando la promessa fatta di non espandere la Nato verso est, dimenticando la minaccia rappresentata dai missili difensivi ed offensivi installati ai confini della Russia e dimenticando il fatidico colpo di stato del 2014 sponsorizzato dagli Usa in Ucraina. Affinché la classe politica dell’Ue abbandoni la sua sudditanza al disegno di dominio dei neoconservatori Usa e rivendichi la sua “autonomia strategica”, forse sarà necessario lo shock di un ritorno di Donald J. Trump (o di un suo clone) alla presidenza nel 2024. [su_divider style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]
Per approfondire, Left del 4-10 marzo 2022 
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È avvenuto quello che Biden considerava da settimane inevitabile: il 24 febbraio la Russia ha violentemente invaso l’Ucraina, scatenando una guerra “fratricida” tra russi ed ucraini che coinvolge eserciti, milizie e, soprattutto, l’intera popolazione civile ucraina, con la sistematica distruzione di veicoli, infrastrutture, case civili e vite umane di un Paese di oltre 40 milioni di persone.
La guerra è diventata inevitabile perché gli Stati Uniti e i loro 29 alleati Nato avevano messo la Russia in un angolo da cui poteva uscire – almeno secondo Putin e il suo ristretto entourage – solo con un’offensiva militare. In effetti, la Russia doveva affrontare uno scenario in cui gli Usa le avrebbero sempre più stretto intorno al collo il cappio con un’ulteriore espansione verso est della Nato, combinata con il rafforzamento militare da parte degli Usa dei loro junior partners Nato dell’Europa orientale.
Ad accompagnare quella militarizzazione c’era la prospettiva di un’accelerata guerra di propaganda, alimentata dai grandi media mainstream occidentali, per infiammare le opinioni pubbliche contro la Russia. Think-thanks finanziate dal governo Usa – come il National endowment for democracy e il German Marshall fund – sono impegnate a fondo per cercare di influenzare la politica europea e russa con l’obiettivo di un cambio di regime.
In questa fase, due sono le domande chiave da porre: cosa verrà fatto? e cosa si dovrebbe fare?

Cosa verrà fatto?
La risposta alla prima domanda è chiara. Siamo dentro un’altra era di guerra fredda, che potrebbe facilmente trasformarsi in calda e persino nucleare. La situazione è molto più pericolosa della prima guerra fredda poiché gli Usa sono molto più potenti della Russia, rispetto alla loro posizione nei confronti dell’ursa. Di conseguenza, l’equilibrio è precario, motivo per cui il mondo potrebbe facilmente precipitare in qualcosa di ancora più terribile della guerra ucraina.
Il punto di vista dei neoconservatori americani – fautori di una declinazione estremista dell’ideologia dell’”eccezionalismo americano” ed eredi della dottrina imperiale Cheney-Rumsfeld – sostiene che gli Usa debbano essere globalmente dominanti e militarmente non sfidabili, e ha definitivamente trionfato nella politica americana. Un trionfo che si riflette nella frase “the United States must retain overmatch” della National Security Strategy del 2017 e ora anche nel Partito Democratico, che rappresenta l’ala “liberal” della politica nazionale americana, oltre che nelle opinioni dei media liberal d’élite.

I vincitori sono le forze politiche, economiche e culturali dello status quo di Washington. Il più grande vincitore è l’ala liberal dell’establishment neoconservatore che ora ha una pista chiara per spingere l’egemonia globale degli Usa sotto la falsa bandiera della promozione della democrazia. Ancora più importante, i neoconservatori hanno intrappolato i leader politici europei – da Scholz a Macron -, avendo sabotato la possibilità che si arrivasse ad un pacifico produttivo riavvicinamento che avrebbe potuto unire la Russia all’economia e alla famiglia europea. Il secondo vincitore è ovviamente il complesso militare-industriale che può aspettarsi di continuare a fare enormi profitti, disponendo di budget utramiliardiari (770 i miliardi chiesti da Biden per il 2023). A differenza della prima guerra fredda, non ci sarà alcun vantaggio per le classi lavoratrici. Questo perché la Russia non ha un’agenda politica economica globale equivalente al socialismo, la cui minaccia aveva costretto l’élite capitalistica dominante a fare concessioni ai lavoratori durante i “trenta anni gloriosi”. In effetti, le classi lavoratrici rischiano di perdere man mano che i budget militari diventeranno ancora più grandi sia negli Usa sia nella Ue. Ancora più importante, la rinascita di nazionalismo e militarismo giocherà il ruolo già sperimentato nel ‘900, dividendo le classi lavoratrici e migliorando così la capacità delle élite economiche e politiche di boicottare qualsiasi programma che preveda un cambiamento economico progressivo.

Ma, di gran lunga il maggiore perdente è l’Unione europea, che è stata vergognosamente svenduta da una classe politica rinunciataria e pavida (dobbiamo, purtroppo, rimpiangere la Merkel). Primo, l’Ue ha rinunciato all’opportunità economica di dare vita ad un partenariato pacifico con la Russia. Perderà invece mercati importanti e pagherà molto di più per l’energia. Si renderà inoltre ancora più vulnerabile economicamente e suscettibile alle punizioni Usa, (soprattutto se la Russia sarà rimossa dal sistema di messaggistica finanziaria Swift), come già accaduto con le multe multimiliardarie imposte alle banche europee in relazione a Cuba, Iran, Sudan, Libia, Myanmar, Siria ed altri Paesi sotto sanzioni Usa. È possibile, infine, che le sanzioni sconvolgano l’economia russa, ma sicuramente faranno molto male all’economia Ue (soprattutto se si arriverà al divieto delle importazioni di petrolio, gas e cereali dalla Russia).
In secondo luogo, ancora una volta, l’Ue subirà il pesantissimo contraccolpo della spinta al dominio degli Usa, soprattutto in termini di un nuovo flusso di richiedenti asilo e profughi. È quello che è successo con Iraq, Libia, Siria e Afghanistan. Le conseguenze hanno già fertilizzato la rinascita dell’estremismo della destra europea, che ora promette di ampliarsi. Nel frattempo, gli Usa sono protetti dalla maggior parte di quell’effetto dagli oceani Atlantico e Pacifico e dalla loro autosufficienza energetica.

Cosa dovrebbe essere fatto?
Anche rispondere alla domanda su cosa dovrebbe essere fatto è facile, ma arrivarci inizia a sembrare impossibile. Ciò che dovrebbe essere fatto è una profonda ricalibrazione che riduca l’influenza degli Usa in Europa, rafforzi l’Unione Europea e miri all’inclusione della Russia nella famiglia europea come era stato previsto dal presidente Gorbačëv nel 1990.
Il punto di partenza è riconoscere che non si può tornare indietro nel tempo. Nuovi fatti sono avvenuti. C’è stata l’espansione verso est della Nato, il colpo di stato sponsorizzato dagli Usa in Ucraina nel 2014, la rioccupazione russa della Crimea e ora l’invasione russa dell’Ucraina.
Poi, c’è bisogno di un fondamentale cambio di mentalità che richiede di riconoscere che la Russia non è l’Unione Sovietica. È un’economia debole con una popolazione in declino che non ha né la capacità né il desiderio di governare i Paesi dell’ex Patto di Varsavia.
Con questi due punti di riferimento, è possibile tracciare una strada da seguire. L’Ucraina deve accettare di essere permanentemente uno stato neutrale, così come la Finlandia e l’Austria durante la Guerra Fredda. Gli Usa devono smettere di armare la Polonia, un Paese dotato di un sistema politico nazionalista intollerante che probabilmente sarà una futura fonte di gravi problemi. E gli Usa devono smettere di potenziare le capacità militari degli stati baltici, una provocazione aggressiva verso la Russia.

L’Unione Europea deve battersi per definire una nuova architettura della sicurezza europea e per espandere gli scambi commerciali con la Russia. Un matrimonio economico tra Ue e Russia sarebbe la vera svolta. La Russia ha materie prime (energetiche, minerali, terra, cibo) e ha bisogno di tecnologia e beni capitali. L’Europa ha tecnologia e beni capitali e ha bisogno di materie prime. Diminuendo la minaccia contro il presidente Putin, tale partenariato promuoverebbe il miglioramento politico interno in Russia. I regimi autoritari reprimono quando sono minacciati, mentre sono più tolleranti quando non lo sono.
La parte difficile è che l’Ucraina dovrebbe essere ricostituita come stato federale e potrebbe anche essere necessario dividerla, dati i fatti nuovi ancora in corso. Con l’incoraggiamento degli Usa, l’Ucraina ha giocato con il fuoco e si è bruciata.
Se il matrimonio tra Ue e Russia non si farà, la Russia convolerà a nozze con la Cina, portando in dote gas, petrolio, materie prime e cibo, ed ottenendo tecnologia e beni capitali. Negli ultimi anni, il Cremlino ha riorientato il commercio lontano dall’Occidente e verso la Cina, attualmente il suo partner commerciale numero uno, per arrivare a superare i 200 miliardi di dollari entro il 2024, il doppio rispetto al 2013. E se Mosca e Pechino diventano partner strategici eserciteranno il dominio sull’Eurasia, chiudendo la porta a Usa e Ue.

La minaccia dei neoconservatori americani
Tragicamente, è probabile che nulla di tutto ciò accada perché è profondamente in contrasto con l’obiettivo del dominio globale dei neoconservatori Usa, e i politici dell’Unione Europea si sono disonorati come tirapiedi degli americani.
Una Russia forte, prospera e politicamente progressiva sarebbe un’enorme minaccia per l’agenda neoconservatrice Usa. Questo è il motivo per cui gli Usa hanno ora chiesto la liberalizzazione politica della Russia, sapendo benissimo che in questo momento storico causerà solo debolezza e disintegrazione.
Un’Unione Europea forte, unita e prospera aggraverebbe la minaccia all’agenda neoconservatrice Usa. E un’Ue che aiutasse la Russia lungo la via della prosperità aggraverebbe doppiamente tale minaccia.
I media occidentali stanno ora concentrando l’attenzione sull’invasione della Russia. In quel punto focale c’è una tacita riscrittura della storia. I neoconservatori Usa vogliono che la storia inizi con l’invasione, mentre tutto il resto che è accaduto prima deve essere spazzato via nel “buco della memoria” di Orwell. Ciò significa dimenticare le ferite e le minacce che gli Usa hanno inflitto alla Russia per 30 anni; dimenticando come gli Usa hanno aiutato a depredare la Russia per un decennio dopo la caduta del Muro di Berlino, dimenticando la promessa fatta di non espandere la Nato verso est, dimenticando la minaccia rappresentata dai missili difensivi ed offensivi installati ai confini della Russia e dimenticando il fatidico colpo di stato del 2014 sponsorizzato dagli Usa in Ucraina.
Affinché la classe politica dell’Ue abbandoni la sua sudditanza al disegno di dominio dei neoconservatori Usa e rivendichi la sua “autonomia strategica”, forse sarà necessario lo shock di un ritorno di Donald J. Trump (o di un suo clone) alla presidenza nel 2024.


Per approfondire, Left del 4-10 marzo 2022 

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