Arrivano al confine ungherese da sole o con i loro bambini, qualche bagaglio e l’apprensione scavata sul volto per i compagni chiamati al fronte. Molte sono contrarie alla guerra: «Morire, combattere… qual è la differenza?». Ecco le voci delle profughe ucraine in questo reportage di Michele Bollino da Záhony (PL)

«Siamo arrivate, stiamo bene». Scese dal treno, il primo pensiero è quello di chiamare casa. Costrette a scappare da un Paese in guerra, le donne ucraine che attraversano il confine con l’Ungheria a Záhony si lasciano la loro vita “precedente” alle spalle. Portano i figli in salvo, da qualche parte in Europa, mentre i mariti restano indietro.
La sala d’aspetto della stazione è piena. I treni arrivano da Čop.

Almeno trecento profughi ogni due ore, fino a cinquemila al giorno. Aspettano qui per qualche ora, fino al prossimo treno per Budapest. I volontari ungheresi hanno messo il wi-fi gratuito per permettere a chi arriva di contattare casa e tante prese per ricaricare i telefoni.
Veronika chiude la chiamata. Subito guarda le foto che le sono arrivate. Il marito, 45 anni, e i due figli, 21 e 19 anni, indossano la divisa dell’esercito. Sorridono, ognuno ha in mano un mitra. «Prego non lo debbano mai usare», dice.

Fino a 20 giorni fa avevano una vita normale. Vivevano a Poltava, lei insegnante di inglese, lui impiegato di una multinazionale. I figli maggiori, studenti all’università di Kiev. Le due figlie, ora al fianco della madre, ancora al liceo. «È come vivere un incubo e non riuscire a svegliarsi. Nel giro di pochi giorni abbiamo perso tutto. Non so dove andrò a stare, se potrò lavorare o se le mie figlie riusciranno a studiare. Ma soprattutto, non so se rivedrò mai i miei figli». Alle domande sul governo ucraino preferisce non rispondere, ma di una cosa è sicura: «No, i miei figli non volevano combattere», dice scuotendo la testa. «Ma c’è la legge marziale e non hanno altra scelta. Gli uomini non possono lasciare l’Ucraina. Chi combatte lo fa per necessità, non per volontà».

Olgha invece è sola. Guarda il telefono di continuo, non riesce a contattare il fidanzato. «Lui non può combattere, ha un problema ad una gamba, è zoppo». Vassily, questo il suo nome, ha l’esenzione dal servizio militare per motivi di salute. «Ma per lo stato d’emergenza, hanno detto che non vale. Lo hanno respinto al confine con la Polonia ed io non sono voluta andare via senza di lui. Poi siamo riusciti a contattare un uomo in Moldavia, fa passare le persone attraverso la foresta. Gli abbiamo dato tutti i nostri risparmi, i soldi per il nostro matrimonio. Si dovevano incontrare ieri sera ma non…

*L’autore: Michele Bollino è giornalista dell’agenzia di stampa Dire


L’articolo prosegue su Left del 18-24 marzo 2022 

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