«Stiamo vivendo una regressione culturale». Francesco Sinopoli, segretario Flc Cgil, si dice sconfortato rispetto all’aumento delle spese militari pari al 2% del Pil contenuto nell’ordine del giorno approvato dalla Camera il 16 marzo, ma anche rispetto al clima che si respira nel Paese. Fa una premessa, prima di entrare nel merito delle risorse destinate all’istruzione: «Penso che sia una scelta drammaticamente sbagliata investire in armi e sia sbagliato comunque inviare armi in Ucraina, dove la priorità era far finire la guerra il più velocemente possibile. Qui c’è il rischio di un conflitto nucleare e l’assoluta priorità era ed è la costruzione di un grande movimento di popoli per la pace. L’unica guerra che va combattuta è quella al cambiamento climatico che è il problema dell’umanità».
E veniamo all’istruzione. «Abbiamo passato mesi per farci confermare il cosiddetto organico Covid degli insegnanti e personale Ata, mancavano 200 milioni di euro, e adesso in un pomeriggio hanno aumentato la spesa in armamenti di 13 miliardi. Ecco, penso che questo sia immorale. Non è una questione politica, ripeto, è immorale», sottolinea il segretario Flc accennando a una delle ultime questioni spinose della scuola. Ma i problemi sul tappeto sono ancora tanti e urgenti: le classi affollate, la necessità di impianti di aerazione per prevenire altre emergenze pandemiche, la stabilizzazione dei precari e la formazione degli insegnanti. Tutti tasselli di un quadro caratterizzato da tagli che partono da lontano, dalla famigerata riforma Gelmini del 2008 (8 miliardi) e continuati anche dai governi di centrosinistra. E la mancanza di investimenti, con la scusa del calo demografico, non regge se si leggono un po’ di cifre sullo stato di salute dell’istruzione.
L’Italia in Europa è tra i Paesi che rispetto al Pil investe meno in istruzione, il 3,9%, mentre la media europea è il 4,6% e Stati come la Francia investono il 5,3; anche la percentuale della spesa pubblica in istruzione, circa l’8%, è inferiore alla media europea, il 10%. Non solo. I dati Istat relativi al 2020 evidenziano che solo il 20,1% della popolazione (di 25-64 anni) possiede una laurea contro il 32,8% nell’Ue. E anche il numero dei diplomati è inferiore rispetto all’Ue: il 62,9% rispetto al 79,0%. E poi ci sono le disparità territoriali: al Sud solo un quinto dei giovani è laureato (21,3%), contro il 31,3% del Nord e il 32,0% del Centro. E infine l’abbandono degli studi: nel…
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