Una nuova fase di convivenza con il virus Sars-Cov-2 è iniziata nei Paesi dove la vaccinazione è in fase avanzata, Italia compresa. Sebbene la variante Omicron sia dieci volte più contagiosa della Delta, grazie soprattutto alla campagna vaccinale la percentuale di ricoveri si è dimezzata rispetto a un anno fa (come emerge da un preprint pubblicato su The Lancet nelle scorse settimane su uno studio basato in Gran Bretagna). Con l’attenuarsi della situazione di emergenza i sistemi sanitari possono finalmente “respirare”, tuttavia bisogna fare i conti con una tematica legata alla pandemia che molti infettivologi concordano nell’affermare essere il nuovo punto critico della lotta al coronavirus: il Long covid, vale a dire, secondo la definizione dell’Istituto superiore di sanità, quella condizione caratterizzata da segni e sintomi causati dall’infezione di Sars-Cov-2 che continuano o si sviluppano dopo quattro settimane dalla fase acuta.
Si tratta di una vera e propria patologia il cui possibile impatto socio sanitario non va sottovalutato, dato che può colpire fra il 20% e il 30% dei pazienti guariti dal Sars-Cov-2 e in alcuni casi può manifestare sintomi persistenti anche per nove mesi (secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità). Questo significa che in Italia potrebbero essere almeno 4 milioni le persone che stanno soffrendo o hanno sofferto di una qualche forma di Covid lungo (Lc). I sintomi fino a oggi classificati più frequentemente sono nebbia mentale, affaticamento o difficoltà respiratorie con conseguenze anche invalidanti che si ripercuoteranno sulla qualità della vita dei pazienti Lc e di conseguenza sulla sanità pubblica. Ma la verità, a oltre due anni dallo scoppio della pandemia, è che quasi tutti i ricercatori concordano sul fatto che di Long covid ne sappiamo ancora troppo poco. Come mai?
Uno dei motivi va ricercato nel fattore tempo. L’arco temporale in cui la sindrome si manifesta è molto lungo e per analizzarla servono un tempo e degli strumenti adeguati. Un altro fattore non meno importante è rappresentato dall’ampio ventaglio di sintomi classificati fin qui. Secondo l’Oms sarebbero oltre 200, e anche qui si capisce quanto sia complesso dal punto di vista scientifico procedere con le necessarie verifiche. Una ricerca italiana dell’Università di Firenze e dell’Azienda ospedaliera universitaria di Careggi, che sarà presentata il 23 aprile al Congresso europeo di Microbiologia clinica e malattie infettive di Lisbona, ha provato a…
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