Durante quei terribili anni dal 1992 al 1996 gli abitanti della capitale bosniaca reagirono alla violenza della guerra con una straordinaria attività che si concretizzò in spettacoli, mostre, concerti, videodocumentari. Ecco il racconto dei protagonisti

Non solo armi
1.425 giorni d’assedio, 11.541 civili uccisi, di cui 1.601 bambini, e 50mila feriti. Basterebbero questi numeri per restituire l’entità della tragedia che ha colpito la popolazione di Sarajevo dal 5 aprile 1992 fino al tardo febbraio del 1996. Per circa quattro anni la capitale bosniaca è diventata una città-ghetto, spaccata in due da check-point improvvisati e divisa secondo quartieri “etnicamente puri”. Tutt’oggi i lasciti dalla follia nazionalista sono visibili e palpabili attraverso i fori degli obici che ancora marchiano molti degli edifici popolari di Sarajevo. Queste stesse cicatrici urbane hanno acquisito ormai la valenza di tratti identitari per la comunità locale: veri e propri luoghi di memoria non istituzionalizzati e inseriti nella morfologia urbana. Luoghi, come suggerisce l’etnologo Marc Augé nel suo saggio Nonluoghi (Elèuthera), immersi in un «principio di senso per coloro che l’abitano e principio di intelligibilità per colui che osserva». Eppure, analizzando bene, oltre ai lasciti divisivi del conflitto, la città si apre a tutt’altra narrazione: amalgama la resistenza con l’arte, traduce la voglia di sopravvivere nelle espressioni culturali. Se ricordare le vittime del conflitto è un esercizio di riconoscimento sociale fondamentale, allora altrettanta importanza dovrebbe avere rievocare le memorie di chi ha resistito affinché tale diritto potesse prendere forma. Insomma, non ci sarebbero martiri se non ci fossero stati i resistenti. A Sarajevo, in quei 1.425 giorni, la resistenza è stata capace di adattarsi al contesto e di rigenerarsi plasticamente davanti alle tragedie umanitarie. Oltre alla risposta militare i sarajevesi hanno trovato nella sinestesia dell’arte uno spazio di sicurezza e di rivalsa, attraverso il quale opporre al primitivismo delle armi l’armonia della cultura.

Memorie dell’assedio
Durante l’assedio l’afflato artistico coinvolse coralmente una buona parte della popolazione, la quale contribuì alla grande produzione culturale bellica. Secondo i dati riportati dalla piattaforma multimediale del collettivo Fama (Federal agriculture and marketing authority) in quel periodo furono organizzati 3.102 eventi aggregativi, di cui 177 mostre nelle sei gallerie cittadine, 48 concerti della sola filarmonica di Sarajevo, 263 libri pubblicati, 156 tra documentari e corti e 182 première, con più di 2mila spettacoli visti da oltre mezzo milione di spettatori. Alla violenza dei cetnici asserragliati tra le montagne, i sarajevesi opposero la potenza della parola, la distorsione…

L’articolo prosegue su Left del 13 maggio 2022 

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