Per misurare il livello di “umanità” di un Paese e di una cultura bisogna fare attenzione a come stanno le donne e a come viene vissuta la sessualità. Ma anche a come vengono trattati due gruppi estesi di persone che si trovano ai poli temporali opposti dell’esistenza: i bambini e le persone anziane

Senza alcuna intenzione didattica, un film degli anni Cinquanta del secolo scorso, La fontana della vergine di Ingmar Bergman, presenta una specie di compendio sul tema dell’umano-troppo umano-disumano. Ci porta nel primo Medioevo scandinavo, semi pagano, e nel podere di un signorotto feudale che ha una bella figlia adolescente. Umanissima e toccante è la gioia di vivere di questa ragazza spensierata; “troppo umana” forse la sua insensibilità nel descrivere il proprio futuro radioso alla giovane serva, per nulla fortunata e presa da una invidia feroce che il film racconta in modo magistrale. Lasciamo definitivamente l’ambito del “troppo umano” per entrare in quello del disumano quando la ragazza, viaggiando da sola nel bosco, s’imbatte in un gruppetto di delinquenti. Essi la uccideranno dopo averla stuprata e il loro fratello più piccolo, ancora un bambino, assisterà sconvolto e terrorizzato al crimine.

Nel secondo atto del racconto domina il padre della ragazza che per circostanze fortuite si trova con gli assassini della figlia in casa. La vendetta, come forma arcaica di giustizia, prenderà il suo corso ritualizzato: il padre li ucciderà nel sonno. Ma anche lui arriverà alla disumanità manifesta quando, nel suo furore gelido, non risparmierà neppure il fratellino innocente. Un’umanità conservata invece dalla moglie che invano implora il marito di risparmiare il bambino.

Prima di cercare di circoscrivere meglio questi termini intuitivi ma vaghi – umanità, negatività umana, disumanità – vorrei riassumere un’obiezione avanzata qualche tempo fa da uno studente liceale. In una discussione a scuola, con notevole acume egli rilevò la natura paradossale del termine “disumano” aggiungendo che il concetto non aveva alcun senso. Come si può chiamare un’azione dis-umana, disse, se è stata compiuta da un essere umano? Quando un cavallo si comporta in modo strano, lo consideriamo un animale difficile, pazzo, pericoloso, quello che volete, ma mai come un cavallo disequino! In analogia, per quanto atroce possa essere quel che una persona ha fatto, sarà sempre un’azione umana, appartiene alle possibilità comportamentali della nostra specie. Perciò, concluse lo studente, parlare di disumano è solo una manovra difensiva di noialtri per sentirci al riparo da crimini terribili – perché essi non sarebbero proprio nelle nostre corde.
Eccoci serviti, con una logica cristallina. Tuttavia forse c’è qualche possibilità di replica. Le lingue hanno una loro saggezza e difficilmente è un caso che molte lingue europee – non posso parlare delle altre – differenzino tra non-umano e disumano. Un cane o un gatto sono non-umani, ma solo un essere umano può essere disumano. Può mettere in atto qualcosa che esprime quella stortura grave, quel fallimento nell’essere veramente essere umani che…

*L’autrice: Annelore Homberg è psichiatra e psicoterapeuta, presidente del Network europeo per la psichiatria psicodinamica Netforpp Europa-Ets.

L’articolo è tratto da Left del 22-28 luglio 2022 

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