In vent’anni – dal “delitto di Cogne”, 30 gennaio 2002 – oltre 480 bambini in Italia sono stati uccisi dai genitori, in sei casi su dieci dalla madre. In pratica mediamente due volte al mese le cronache ci riportano la notizia agghiacciante di un figlicidio. Tra giugno e luglio questo andamento sembra essere stato tristemente rispettato. Non si era ancora spento l’eco della morte della piccola Elena Del Pozzo assassinata a Catania dalla madre, Martina Patti, che da Milano è arrivata la notizia della morte di Diana una bimba di appena 16 mesi abbandonata da sola per 6 giorni dalla madre, Alessia Pifferi.
Diana probabilmente è morta di sete ma mentre scriviamo c’è attesa per gli esami tossicologici sul sangue della piccola e sui residui di latte nel biberon. Si vuole capire se sia stata sedata per evitare che piangesse e se l’eventuale dose di benzodiazepine abbia in qualche modo inciso sul decesso. Si fa molta fatica a scrivere queste cose ma è necessario farlo perché come tutti vogliamo capire quali possono essere le cause di azioni così efferate e cosa può e deve fare la società per arginare o prevenire tragedie del genere. Per orientarci abbiamo rivolto alcune domande alla psichiatra e psicoterapeuta Barbara Pelletti (nella foto), presidente dell’associazione Cassandra impegnata nella difesa delle vittime di violenza e stalking.
Dottoressa Pelletti quali riflessioni si possono ricavare da quello che riportano i giornali in questi giorni sul caso di Milano? Colpiscono alcune delle frasi della madre: «Sono una buona mamma, non sono una delinquente»; «Sapevo che poteva andare così»…
Una prima riflessione che si può fare è che la “matrice” di quello che è successo non è sicuramente rara – sto parlando dell’anaffettività, ed è questo il problema centrale – mentre casi simili a questo di Diana, così atroci, sono davvero rari. Negli ultimi anni ne sono accaduti alcuni negli Stati Uniti, in Giappone, e speriamo che restino così rari. Leggendo le frasi che la madre avrebbe pronunciato dopo l’arresto, la prima cosa che balza agli occhi è la contraddizione tra l’affermazione di essere “una buona madre” e il fatto di essere consapevole che il suo comportamento avrebbe potuto provocare la morte della bimba. Questo dovrebbe far pensare a chiunque che c’è una dissociazione, che manca completamente il rapporto con la realtà.
Secondo lei è corretto parlare di “premeditazione” come si legge nel capo d’imputazione?
La procura dovrebbe aver ipotizzato il reato di omicidio volontario pluriaggravato con premeditazione, per futili motivi. Da un certo punto di vista sono d’accordo, c’è premeditazione. Lo afferma lei stessa dicendo di essere stata consapevole che abbandonando sola in casa la figlia questa sarebbe potuta morire di stenti. Qui la donna sta dicendo la verità perché chiunque sa che una bimba così piccola non avrebbe potuto resistere. Ma c’è un confine sottile tra la premeditazione – cioè un pensiero cosciente – e quello che è stato notato su un articolo del quotidiano Avvenire.
Vale a dire?
Che questa donna si è comportata sempre come se la bambina non fosse mai esistita. E precisamente questo è l’effetto della “pulsione di annullamento” teorizzata da Massimo Fagioli, al tempo stesso origine e conseguenza della anaffettività in una sorta di circolo vizioso.
C’è chi ha scritto che parlare di “anaffettività totale” è un generoso alibi.
Ecco, su questo dissento. Il punto è che nella maggior parte dei casi – compreso quello recentissimo di Catania – emergono motivazioni coscienti, ovviamente agghiaccianti, che fanno pensare alla vendetta. Questo caso è diverso. Quando il gip parla di “Premeditazione per futili motivi” per la moderna psichiatria questo “significa” assenza di rapporto con la realtà, fatuità, anaffettività. Tutto ciò si ricava dalla ripetitività dei comportamenti di abbandono da parte della donna come pure dalle sue parole pubblicate su tanti giornali praticamente allo stesso modo. Quindi verosimilmente si tratta di virgolettati corretti.
Il gip ha parlato di “lucidità” della mamma di Diana nel compiere le azioni che hanno portato alla sua morte, e per questo ha deciso che non dovesse essere eseguita una perizia psichiatrica. Cosa si può dire su questo?
La freddezza che ha colto il gip corrisponde a quella che è stata riferita da tutti i conoscenti intervistati in questi giorni. “Non giocava mai con la bimba”, “la teneva sempre nel passeggino” e altre cose. Ma qui mi chiedo: Come fanno a stare insieme la lucidità – cioè l’assenza di disturbo del pensiero – e un’affermazione palesemente in contrasto? Dovrebbe venire quanto meno un sospetto…
Come se ne esce da questo loop?
Bisogna fare un passo avanti e considerare che questo elemento di freddezza emerge sempre in omicidi del genere, che ovviamente sconvolgono tutti. Alla radice di questi fatti, occorre ribadirlo, c’è sempre l’anaffettività e cioè la malattia mentale. Non si può pensare che uccidere un bambino con freddezza non sia malattia mentale e che ci sia la malattia solo laddove per es. il delitto avviene con un certo impeto. Quando si arriva a uccidere un bambino dietro c’è sempre una grave patologia mentale. La freddezza non deve essere considerata prova del contrario, cioè di sanità. Non è solo la moderna psichiatria ad affermarlo e ad averlo dimostrato sulla base della Teoria della nascita di Fagioli. Va recuperata la storia della psichiatria che considerava l’anaffettività la base delle psicosi più gravi.
Anche sui giornali è stato scritto che Alessia Pifferi non soffriva di problemi psichici.
Ma questo chi lo dice? Proprio in base a quello che riportano i giornali sappiamo che c’erano tanti segni di patologia. Evidentemente anche nei media prevale l’idea che la freddezza totale – e in questo caso lo è – escluda la malattia mentale e che questa sia presente solo negli affetti manifestamente violenti. Questa idea va ribaltata. Va ribaltata la convinzione che la freddezza sia “normalità”. E questo spiega anche perché solo a posteriori ci si allarma, solo a tragedia già avvenuta. Perché a livello di cultura dominante la freddezza non è considerata malattia e solo quando la violenza è manifesta si pensa a un problema psichico. Va peraltro detto che la percezione dell’opinione pubblica è diversa da quella proposta dai mezzi di informazione o del giudice. Basta leggere i commenti sui social. Che ci sia malattia mentale in casi del genere è evidente a tanti.
Forse uno degli elementi più inquietanti è che probabilmente l’aveva già lasciata sola altre volte…
Ecco, a questo proposito mi ha colpito un articolo in cui si scrive giustamente che bisogna aspettare l’autopsia per capire realmente come è morta la bimba. Si ipotizza che sia morta di stenti, ma visto che accanto a lei c’era una boccetta di sedativo è doveroso approfondire. Questo mi porta a ribadire che dietro l’intenzionalità cosciente c’è una intenzionalità non cosciente di eliminare questa bambina. E questa è l’anaffettività.
La madre, i vicini, la sorella, il compagno, l’ex marito che vive nello stesso palazzo… possibile che nessuno si sia accorto di questi abbandoni ripetuti e della gravità di quello che stava accadendo?
Oltre a quello che abbiamo già detto, una donna che partorisce in casa, che , come riferiscono molti giornali, non si accorge di essere incinta fino al settimo mese di gravidanza, oggi come oggi è impensabile. Anche questo è inquietante e sintomatico di assenza di rapporto con la realtà e dunque di malattia. Spero che casi come questo almeno “servano” per alzare il livello di attenzione diffusa nella società.
Sì ma come è possibile che nessuno abbia mai colto i problemi di questa donna? Certamente non sono emersi all’improvviso. C’è modo di prevenire fatti del genere?
Va detto che l’Italia da questo punto di vista è ancora molto indietro. Ci sono Paesi europei che affidano una nurse alla donna che ha partorito, fornendo per giorni o settimane un servizio di assistenza a carico dello Stato. Qui da noi ancora non si accetta l’idea che l’istinto materno non esiste e che la maternità, la nascita di un figlio per l’essere umano, sia una situazione complessa sulla quale va alzato il livello massimo di attenzione sia nei confronti della madre che del contesto familiare e sociale. Dobbiamo aspettare che casi del genere diventino sempre più frequenti per farlo? Io spero di no.
Peraltro due figlicidi al mese non è che siano pochi…
Le statistiche che si leggono probabilmente sono anche al ribasso perché chissà quanti casi di morti in culla rientrano nell’ambito dei figlicidi. All’estero le morti da soffocamento dei neonati sono oggetto di studio in diverse università e non c’è ancora certezza che non siano conseguenza di un omicidio.
Quello che traspare dalle sue parole è che si tratti di un problema di ordine culturale. Quale considerazione si ha in Italia nei confronti della realtà umana del bambino?
Per farsi un’idea basti pensare che lo ius corrigendi – cioè il diritto del padre di usare mezzi di correzione e di limitare in vario modo la libertà dei figli anche ricorrendo alla forza fisica – è ancora in vigore per i figli fino alla maggiore età. Cioè è stato abolito per la moglie ma non per i figli minori. E nel caso in cui ci si trovi di fronte a incidenti, il reato che viene riconosciuto è molto spesso l’eccesso di mezzi correttivi. E questo è assurdo. Si giustifica la violenza nei confronti del bambino. C’è da fare un grande lavoro soprattutto culturale è impressionante quanto siano poco tutelati.