«La datazione dei reperti sarà tanto più agevole quanto più i singoli oggetti siano intrinsecamente databili, sulla base di messaggi di diversa natura di cui si trovino ad essere essi stessi portatori. Nei casi più fortunati, gli stessi manufatti possono riportare addirittura una data, come si verifica in termini particolarmente evidenti nel caso delle monete … o nel caso delle iscrizioni». Per Daniele Manacorda, nella voce Ricerca archeologica. I metodi di datazione, in Il Mondo dell’archeologia, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, Roma 2002, esistono una grande quantità di punti fermi, nonostante difficoltà e cautele.
Insomma, i materiali, sia da scavi che da ricognizioni di superficie, forniscono indicazioni importanti. Ma che risultano relative. Parziali. Come sostiene Bruno D’Agostino, nell’Introduzione, a P. Barker, Tecniche dello scavo archeologico, Milano 1981, secondo cui, «Se anche conoscessimo la data esatta di ogni manufatto non sapremmo nulla di più sulle vicende degli uomini del passato senza aver ricostruito, con i metodi dell’archeologia e della storia, questa catena di manifestazioni (che usiamo denominare “cultura”), cogliendone l’intimo significato». I materiali sono uno strumento non il fine, indubitabilmente.
Per i pochi ragazzi rimasti in città ho una sorpresa. Dopo aver avuto il permesso dai loro genitori, li porto a Velletri, in treno.
In viaggio gli parlo della grande città arcaica e poi di quella romana. Li preparo alla visita al Museo civico archeologico. A quel che troveremo esposto. A quanto i materiali possono aiutarci a ricostruire un contesto, oppure rimanere oggetti. Magari bellissimi, ma pur sempre oggetti. «Vi presento Atena. La Pallade di Velletri, colossale! È alta oltre 3 metri. Quella che vedete è una copia. L’originale si trova al Louvre, a Parigi. Si tratta di una replica della metà del II sec., di un originale bronzeo della metà del V sec. a. C. Una statua della quale sappiamo moltissimo. Il luogo e le circostanze del rinvenimento. A Troncavia esistono ancora delle strutture alle quali va riferita questa statua».
Un inizio migliore non ci sarebbe potuto essere. A sorprenderli sono le proporzioni di Atena, per ora. Per le considerazioni ci sarà tempo, in seguito.
Proseguiamo. «Ecco, il sarcofago delle fatiche di Ercole! Datato tra la fine del II e quella del III sec. Avvicinatevi, per rendervi conto dei particolari. Viene dalla Contrada Arcioni. Ma le notizie sulla scoperta non ci aiutano a capire altro. Non è neppure certo che il luogo del rinvenimento sia quello originario». Li lascio osservare. E pensare. Subito dopo gli indico una testa, marmorea. È quella dell’Afrodite, tipo Doidalsas, datata alla metà del II sec. «Ecco, in questo caso abbiamo diverse informazioni. Sappiamo che viene da un impianto residenziale, a Madonna degli Angeli. Appartenuto alla gens Octavia. Insomma alla famiglia paterna di Ottaviano Augusto, l’imperatore». Segue un breve silenzio, voluto. Poi li sollecito. «L’archeologo deve fare questo. Studiare i materiali, ma poi utilizzarli per una comprensione più ampia. Il fine ultimo deve essere quello di ricostruire fasi di vita. Di ricomporre storie, seppur parziali, servendosi di tutti gli strumenti disponibili. Quindi anche dei materiali. Tutti, ugualmente». Studiare, anche confrontando. Facendo fluire il pensiero.
Manacorda sostiene che «Datare non basta. La definizione della cronologia di un evento acquista senso, infatti, se essa si pone come punto di partenza per elaborare e applicare modelli che consentano di offrire una spiegazione culturale, sociale, economica delle testimonianze raccolte«. Può bastare, per oggi.
Ce ne torniamo a Roma. Dopo essere passati per Madonna degli Angeli. Quando si può vedere quel di cui si è parlato, bisogna farlo. Sempre.
Qui un’altra puntata della rubrica “Ricreazione” di Manlio Lilli su Left
*Immagine tratta dal sito del Comune di Velletri