Una giovane ragazza ha problemi psicologici, forse dalla pubertà o dalla prima adolescenza e le viene diagnosticata una depressione, trattata con i farmaci. Seguono periodi di miglioramento che si alternano a fasi di peggioramento. Nel 2016 ha 17 anni, è in partenza per una gita scolastica all’aeroporto di Bruxelles, dove avviene un attentato terroristico, con l’esplosione di due kamikaze. Vede morire delle persone, tra cui alcuni suoi compagni di scuola. La depressione si aggrava, ha tanti sintomi, non ha più forza, è insonne, è angosciata, incubi, continui risvegli e terribili ricordi dell’evento traumatico. Viene ricoverata in reparti psichiatrici, ma nonostante molte cure farmacologiche, pur presentando periodi di miglioramento, la depressione è sempre lì. Nel 2020, a 21 anni, tenta il suicidio.
Seguono ancora ricoveri, fino a che non chiede l’eutanasia e così muore la scorsa primavera, a 23 anni. Successivamente, però, un neurologo dell’ospedale universitario Brugmann di Bruxelles critica questo provvedimento, in quanto, secondo il suo parere, la ragazza aveva altre possibilità terapeutiche per trattare i sintomi da disturbo post traumatico. La procura di Anversa apre così un’inchiesta, che tuttavia si è da poco conclusa, in quanto la procedura è risultata corretta.
Ci facciamo l’idea di questa storia da quello che viene riportato dai giornali e dalle caratteristiche che conosciamo della depressione e delle conseguenze su di essa di un evento traumatico. Una depressione curabile e della cui curabilità è consapevole la comunità scientifica, in particolare nei giovani. Si considera trattabile con la psicoterapia, se necessario in integrazione con i farmaci. Non si tratta di una malattia organica incurabile ed irreversibile, seppur la sofferenza psicologica possa essere insopportabile, quando non adeguatamente curata. Non ci sono tracce di una psicoterapia nelle notizie che riguardano Shanti. Sappiamo che «è stata una vita di risate e lacrime fino all’ultimo giorno», che le persone «già le mancavano», all’idea di morire. Per conoscenza medica della diagnosi, per la sua giovane età, insieme a ciò che ci viene mostrato dai giornali della sua pagina Facebook, pensiamo che Shanti avrebbe potuto essere curata e guarire con una psicoterapia adeguata, condotta in modo competente, proprio per ragazzi come lei.
Possiamo ipotizzare che questo tentativo non sia stato fatto, visto che lei stessa avrebbe raccontato di prendere «tantissime medicine», «fino ad 11 antidepressivi al giorno», di cui non poteva fare a meno. Non siamo a conoscenza di tutta la sua storia terapeutica, ma la parola psicoterapia non compare, seppur sia un intervento riconosciuto efficace. In Italia, in particolare, e negli anni anche a livello internazionale, si è diffusa un’impostazione teorica, formulata dallo psichiatra Massimo Fagioli, che si basa sull’idea di una nascita umana uguale per tutti, caratterizzata da una mente sana, con un repertorio di capacità valide. La malattia della mente sopraggiunge su una condizione di sanità che viene perduta, ed in quanto tale può essere ripristinata, secondo il metodo medico, grazie ad un rapporto psicoterapeutico. Non solo è possibile curarsi, ma anche probabile, persino in malattie più gravi della depressione, specialmente in giovane età.
Di recente, un articolo su Molecular Psychiatry, rivista parte del gruppo Nature, analizzando l’intera letteratura scientifica attraverso la cosiddetta umbrella review, ha confutato in modo convincente l’ipotesi serotoninergica della depressione, secondo cui la malattia sarebbe dovuta ad «una concentrazione o un’attività ridotta di serotonina», mettendo così in discussione l’efficacia degli antidepressivi più usati negli ultimi decenni. Ritorna l’idea di un effetto “placebo” del farmaco, cioè più legato alla relazione con lo psichiatra che lo prescrive, piuttosto che ad un’ipotesi organica o genetica della depressione. Inoltre, quest’anno è stato pubblicato il documento finale della Consensus conference, il risultato di un confronto tra esperti sulle terapie psicologiche per ansia e depressione, patrocinato dall’Istituto Superiore di Sanità.
Nel documento si raccomanda la psicoterapia, individuale e di gruppo, dalla forma più lieve di depressione a quella più grave. D’altro canto in Inghilterra, in seguito al progressivo aumento di prove scientifiche a favore della psicoterapia rispetto ai farmaci, dal 2008 è attivo un programma per migliorare l’accesso alla psicoterapia per le persone (Improving access to psychological therapies, Iapt). Risulta, infatti, che essa comporti un minor numero di ricadute, un aumento di efficacia ed un effetto più duraturo. Lo Iapt ha fornito 10500 nuovi terapeuti in formazione e tratta più di 560000 casi, fornendo dati sul 98,5% dei casi e rendendoli pubblici (Psicoterapia e Scienze Umane, n.4/2017). Come si può pensare che non sia un delitto lasciare morire una giovane ragazza quando esiste una cura?