Tutto sommato dovevamo aspettarcelo. Pronti, via e subito il nuovo Parlamento viene “battezzato” dai fautori di un’anticaglia ideologica che fonde insieme “visioni” antiscientifiche e clericali, scarso rispetto per l’identità delle donne e, sotto sotto, nostalgia per l’Inquisizione. Ci riferiamo al ddl per modificare l’articolo 1 «del codice civile in materia di riconoscimento della capacità giuridica del concepito» presentato in Senato da Maurizio Gasparri con l’evidente scopo di legittimare l’idea dell’uguaglianza giuridica di embrione e neonato, dando al feto lo status di persona. Un’uguaglianza che non solo è improponibile dal punto di vista scientifico ma che ovviamente va anche contro la legge 194 e i diritti – delle donne – che tutela. Come ricorda il Riformista, quella del senatore di Forza Italia con un passato nel Fronte della gioventù, nel Fuan e nel Movimento sociale del repubblichino Almirante, non è un’idea del tutto originale. Ricalca infatti una proposta legislativa dell’ultra reazionario Movimento per la vita che risale al 1995: “Ogni essere umano ha la capacità giuridica fin dal momento del concepimento. I diritti patrimoniali che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita”.
Fatto sta che è la terza volta che Gasparri prova a dare dignità di legge a una credenza religiosa: era successo nella XVI legislatura e nella XVII. In occasione di quest’ultima, nel 2019, su Left era intervenuta la ginecologa Anna Pompili (cofondatrice di Amica-Associazione medici italiani contraccezione e aborto e membro della Fiapac-Federazione internazionale degli operatori di aborto e contraccezione). Vale la pena oggi ricordare come Pompili aveva commentato “l’exploit” di Gasparri: «Dare all’embrione lo status di “persona” significa considerare l’aborto un omicidio, e le donne e i medici che lo praticano assassini. Il contrasto con la Carta costituzionale è evidente, e difficilmente potrà diventare legge. Tuttavia essa si inserisce in una battaglia culturale che, con parole ed argomentazioni apparentemente di buon senso, nonché con riferimenti a false acquisizioni scientifiche, tende a spostare il senso comune: non c’è differenza tra embrioni e bambini, le donne che abortiscono sono egoiste e ad oggi hanno assassinato sei milioni di innocenti, i medici sono sicari che tradiscono il giuramento di Ippocrate, i consultori sono abortifici che non informano sulle alternative all’aborto e sulle sue inevitabili gravi conseguenze per la salute, a cominciare dalla inesistente sindrome post-aborto, parto della fantasia distorta di chi è convinto di dare voce a etiche superiori e valori assoluti non negoziabili».
Per costoro, prosegue Pompili, «la prevenzione dell’aborto non si fa favorendo l’accesso alla contraccezione e implementando i programmi di informazione sessuale, ma impedendo alle donne di abortire, ignorandone le ragioni profonde e strettamente personali». Anche oggi come nel 2019 sul piano politico tutti si affrettano a dire che la legge 194 non è in discussione, ma è evidente come l’obiettivo sia proprio la legge, e indirettamente il diritto ad autodeterminarsi delle donne, tornando a prima del 1975, prima cioè della storica sentenza della Corte costituzionale che definì la non uguaglianza di diritti tra chi è già persona e chi persona potrà diventare con la nascita. Quella sentenza, ricorda ancora la ginecologa, costituisce la premessa di diritto della legge 194, che ha legalizzato l’aborto in Italia. Una legge importante, alla cui difesa siamo oggi chiamati tutti, ma che, essa stessa, già nell’art.1 rende evidenti i paletti ideologici all’interno dei quali si muove: «Lo Stato tutela la vita umana dal suo inizio», un inizio chiaramente identificato non con la nascita ma con l’impianto del pre-embrione in utero, una visione parziale e quantomeno discutibile dal punto di vista scientifico, bioetico e filosofico.
«Difendere oggi la legge 194 conoscendone i limiti è importante – conclude Pompili – perché sostanzia di contenuti le posizioni culturali che si contrappongono alla rozzezza e alla superficialità di bugie promosse a verità scientifiche e supera gli scontri a base di slogan urlati che, allontanando le persone, lasciano spazio ai luoghi comuni. È una battaglia che ha al suo centro la conoscenza della dinamica della nascita umana e il riconoscimento della dignità delle donne e del diritto alla autodeterminazione che, al di là di ogni retorica, non hanno mai trovato pieno riconoscimento nella stessa legge 194».