Yasmeen Lari è la prima donna architetto in Pakistan (v. Left del 29 maggio 2020), un’attivista umanitaria che da anni si batte per ottenere la giustizia egualitaria nel suo Paese anche attraverso i mezzi dell’architettura sostenibile, a emissione zero di carbonio, da realizzare in contesti di assoluta povertà. Da decenni inoltre Lari chiede che si ponga attenzione alle conseguenze del cambiamento climatico che, come è accaduto la scorsa estate, investono il suo Paese, tra i territori al mondo più soggetti a fenomeni meteorologici estremi.
Il lavoro di Lari sul territorio del Pakistan è ispirato da una sapienza antica derivante dalle pratiche costruttive indigene e dalle costruzioni storiche dell’architettura del Medio Oriente asiatico rese in chiave moderna per aiutare la popolazione locale vessata dalla povertà e oggi da un’emergenza climatica di gravità senza precedenti.
Il suo operato supera i confini tradizionali dell’architettura moderna e si rivolge alle popolazioni povere rurali, coinvolgendo in particolare le donne dei villaggi. A seguito della disastrosa e urgente situazione ambientale in Pakistan, abbiamo parlato con l’architetto Lari degli interventi organizzati per aiutare le popolazioni.
Con la sua creazione, Barefoot Social Architecture, sta attualmente ripensando e rielaborando i mezzi per insegnare ai potenziali «imprenditori sociali a piedi nudi» – come li chiama – a costruire strutture a basso costo e senza sprechi, fatte di terra, calce e bambù. Ha avviato questa iniziativa in risposta alla crisi del Covid 19 e ora ha spostato la sua attenzione e la sua visione a favore delle vittime delle inondazioni. Con i suoi collaboratori Yasmeen Lari ha creato un Comitato per l’emergenza alluvione Flood Emergency Response (Heritage foundation of Pakistan) il cui scopo è stato sia quello di fornire alloggi di emergenza costituiti da una struttura di moduli di bambù che possono essere facilmente assemblati dagli stessi abitanti che quello di aiutare nella depurazione dell’acqua oltre che nella distribuzione congiunta degli aiuti.
Lari infatti è stata capace negli anni di creare una rete umanitaria indipendente con appoggio internazionale, attraverso l’operato anche di molte donne e persone con disabilità residenti nelle zone rurali, spesso esclusi dalle dinamiche societarie del profitto commerciale, coinvolti nei giorni dell’emergenza nella attuazione e effettiva organizzazione degli aiuti. La crisi umanitaria dovuta principalmente alla negazione del cambiamento climatico globale e alla cattiva gestione di terre in Pakistan e in tutto il mondo, in quelle terre ha provocato una catastrofe, oltre 1000 morti di cui un terzo bambini, una lunga estate segnata da continui eventi alluvionali e mancanza di interventi anche perché questi disastri colpiscono persone che vivono già in condizioni precarie. Come riporta Oxfam, sono state colpiti dal disastro meteorologico 33 milioni di pakistani, di cui 6 milioni sono rimasti senza un riparo. Con Yasmeen Lari abbiamo quindi affrontato il tema dell’emergenza ma anche la sua visione per il futuro del Paese, cioè la possibilità che le popolazioni possano avere dei mezzi costruttivi per gestire la loro vita in contesti agricoli di estrema povertà. Soprattutto adesso, dopo il disastro climatico, il problema è gestire direttamente gli aiuti finanziari che arrivano dall’estero. Non è più l’architettura monumentale, dice Lari, che la interessa in questo momento storico, ma la priorità per lei sono questi interventi per rendere migliore la vita delle persone.
Yasmeen Lari, ci può parlare degli interventi che ha realizzato coinvolgendo la popolazione stessa nella creazione delle proprie case sostenibili prendendo spunto dalle antiche costruzioni indigene e anche dall’architettura storica più nota del Pakistan? E come pensa di continuare su questa linea nel dopo emergenza?
Prima di tutto stanno arrivando molti soldi in Pakistan, perché ci sono molte persone di buon cuore che hanno fatto delle donazioni e questa è una buona cosa. Ma dall’altro lato sento che a lungo termine questa solidarietà non basterà e noi dobbiamo avere il coraggio di cambiare. Perché penso che necessariamente i soldi da soli non aiutino. Da anni arrivano aiuti al governo e nel settore delle Ong attive, ma le condizioni di vita delle persone non sono migliorate. Ora ci troviamo in una situazione molto difficile: le cose erano altamente insostenibili prima, anche senza considerare il fatto che il mondo è cambiato a causa del riscaldamento globale e del Covid-19. È necessario cambiare la situazione per aiutare le persone. Le piattaforme social e i cellulari possono servire a questo. Questo significa che posso indirizzarmi a tutti come ho sempre voluto. Intendo essere diretta. Non sto usando nessun intermediario. Quindi vorrei creare una sorta di cultura che chiamo Barefoot culture of giving. Questo serve per ridefinire l’idea del donare (per scopi umanitari). Dare in modo diverso. Consentire alle persone di lavorare insieme in modo autonomo piuttosto che inviare molti soldi, aiuti che finiscono in un buco nero. Ovviamente, in determinate circostanze le cose possono essere risolte utilizzando il denaro degli aiuti, e se le persone vogliono inviare denaro con tutti i mezzi, dovrebbero poter farlo. Non posso fare obiezioni in merito, ma il problema è così grande che anche enormi risorse potrebbero non essere sufficienti, invece vorrei che il denaro fosse utilizzato nel modo più efficiente possibile.
Qual è il problema più urgente?
Ovunque possiamo, non ci sono molti posti in cui si possa fare questo procedimento, si tratta di far assorbire l’acqua dal terreno. Oggi c’è acqua dappertutto, la situazione è tragica. È come un mare. Ci sono alcune aree in cui quest’acqua ha circondato lembi di terra rimasti emersi, allora noi lì possiamo intervenire in qualche modo. Voglio applicare questa tecnica dei pozzi acquiferi e delle trincee in modo che molta acqua possa essere assorbita nel terreno, e questo può essere un sistema da applicare a lungo termine nella maggior parte dei villaggi anche per il futuro. Questa è la strategia che voglio seguire, ma ci sono molti altri compiti che devono essere svolti e che hanno a che fare con la prevenzione rispetto alle catastrofi ambientali, in modo da essere in qualche modo pronti ad agire la prossima volta che si verificherà un disastro climatico.
E per quanto riguarda le costruzioni di emergenza, cosa ci può dire?
Recentemente ho progettato una struttura di base che potrebbe stare su un terreno pavimentato, che si basa sul bambù zero carbon LOG (Lari OctaGreen). Si tratta di un prototipo funzionante nel Rahguzar di Karachi ed è stato utilizzato per la formazione virtuale degli studenti in Bangladesh. La struttura è stata progettata per essere sicura e stabile anche senza fondamenta. Il LOG smontabile è stato eretto, a maggio, a Granary Square a Londra, con un gruppo di giovani studenti di architettura provenienti da Pakistan, Bangladesh e Regno Unito che avevano imparato la tecnica di costruzione. Dopo una settimana è stato smantellato rimuovendo le corde che legavano insieme gli elementi prefabbricati e abbiamo trasportato il tutto nel giardino di Carlo d’Inghilterra. Ha funzionato perfettamente per l’emergenza: infatti avendo il materiale e una forza lavoro addestrata, si realizza molto rapidamente coprendolo con stuoie di paglia fatte a mano sul tetto.
Ha progettato il modulo di base con una forma ottagonale che ricorda in qualche modo tutta l’architettura orientale pre-islamica, per citare l’antica radice culturale eclettica delle vie della Seta di questa architettura di emergenza rivelatrice dei passaggi della storia meno noti e non riconosciuti, ma torniamo alle strutture di bambù e al loro impiego nell’immediato.
La forma stessa è molto stabile e sappiamo che funziona perché è stata usata per così tanti mesi senza fondazioni, ed il modulo di emergenza è interamente aggregato e montato con i pannelli prefabbricati. Abbiamo realizzato dei video tutorials sul sito della Heritage foundation of Pakistan. Per quanto riguarda il riutilizzo della struttura in spazi abitativi permanenti, la mia intenzione è sempre stata quella di non sprecare nulla e di utilizzare materiale di produzione a zero emissioni di carbonio al fine di non danneggiare in alcun modo il pianeta. Non stiamo contribuendo attivamente nel contrastare il pericolo del cambiamento climatico, perché quando si creano abitazioni o altre strutture architettoniche su larga scala che utilizzano materiali ad alto contenuto di carbonio, si sta rispondendo, certo, ad un problema in quel momento, ma si stanno anche creando potenziali future difficoltà quando si tratta di cambiamenti climatici e ambiente. Ma la struttura prefabbricata in bambù a zero emissioni di carbonio, nello specifico, non produce sprechi e non richiede acqua nel suo assemblaggio o produzione. È facilmente trasportabile ed è a zero produzione di carbonio, appunto. Questo metodo suscita interesse, anche se ho dovuto organizzarne autonomamente la produzione e distribuzione.
Completed Emergency LOG Shelter (photo by courtesy of Heritage foundation of Pakistan)
Lei ha lanciato da tempo l’allarme sul problema già con il suo progetto del Sindh Floods Rehabilitation del 2011. I nuovi imprenditori sostenibili, tra cui donne e persone con disabilità, grazie alla sua guida e capacità di inclusione, sono diventati attivi soccorritori in una situazione in cui anche le autorità locali e governative hanno dimostrato una gravissima disorganizzazione. Ci può raccontare come queste persone sono riuscite a formarsi dal punto di vista tecnico?
Intanto va detto che per noi questa rappresenta una grande opportunità per dare una formazione tecnica a molte persone, nonostante gli impedimenti a causa delle inondazioni, utilizzando le sessioni di zoom. Si possono addestrare almeno 5 abitanti di ogni villaggio coinvolgendo molte donne, in modo che anche loro imparino la tecnica. Le donne svolgono un ruolo assolutamente fenomenale in questo processo. Creiamo dei gruppi base e loro imparano come creare i pannelli, che è la cosa più importante. Poi monitoriamo il lavoro fatto e se queste persone hanno insegnato ad altri abitanti della stessa area. Non siamo in grado di comunicare con troppi villaggi per ora. Ma si spera che gradualmente sempre più villaggi diventino accessibili per poter realizzare almeno 100 unità di emergenza giornalmente.
Lei con l’arte di costruire fornisce strumenti reali e concreti per uscire da un contesto difficile. Ha dato a quelle donne questa opportunità e ora sono delle figure di riferimento: infatti sono loro che hanno gestito la distribuzione dei rifugi.
Per la prima volta la Bank of Punjab ha concesso un prestito di 50mila rupie a 100 donne, in tal modo ognuna di loro diventa effettivamente proprietaria. Altrimenti, tutto va agli uomini. Non si tratta di carità. Le donne infatti sanno quello che stanno facendo e si impegneranno poi a restituire il denaro avuto. Quindi emerge una grande dignità in tutto questo processo. È questo che ho sempre voluto: trovare dei modi per dare dignità e rispetto alle donne. Abbiamo iniziato un programma a giugno. I finanziamenti sono arrivati a luglio. Ci sono 25 donne in ogni comitato. Sono loro che hanno dato i soldi al venditore e all’artigiano. Sono loro che se ne occupano. Questo processo l’abbiamo monitorato solo da remoto, non eravamo lì direttamente. Puoi immaginare quanto siano riconosciute e apprezzate queste donne ora? Stanno gestendo tutto. Le donne hanno sempre contribuito tanto all’edilizia, all’agricoltura, all’allevamento, ma nessuno dava loro un riconoscimento, perché non guadagnavano. Quindi una volta che il denaro è stato affidato alle loro mani, tutti hanno dovuto rispettarle. Questo è quello che dobbiamo fare in quel contesto, affidare nelle mani delle donne in qualche modo la gestione del denaro.
Questa sua attività umanitaria e solidale, legata all’antica arte del costruire di origini mesopotamiche, è umanamente innovativa. Si tratta di un aspetto della giustizia sociale applicato alla sostenibilità.
Precisamente. Devo trovare il modo di farlo e vorrei farlo attraverso l’architettura in modo che ogni volta che si sta costruendo qualcosa, posso organizzarmi per poter favorire il loro operato. Perché nessuno dà loro un riconoscimento per tutto quello di cui sono capaci di realizzare. Così abbiamo avviato un programma di formazione in varie parti del Pakistan. A gennaio 2022 abbiamo addestrato tre uomini e tre donne. E abbiamo avuto successo insegnando loro come usare il trapano o fare i fori o tagliare il bambù. È andata bene, tutti loro hanno imparato le tecniche. E abbiamo chiesto alla Banca del Punjab di fornire prestiti ai comitati femminili nel villaggio di Pono. Questa è la storia dei primi prestiti diretti per la casa a donne che vivono in condizioni di estrema povertà.
Donne che fanno stuoie di paglia (photo by courtesy of Heritage foundation of Pakistan)
E gli interventi dopo le alluvioni per ampliare la rete solidale?
Quando sono arrivati i prestiti, erano iniziate le piogge e nonostante ciò, erano state costruite 70 unità e tutti erano al sicuro lì, ma per 30 di quelle strutture primarie, non è andata bene perché all’improvviso è arrivata la pioggia persistente. Così la gente del luogo ha perso tutto. Tutte le mie strutture di bambù che sono state costruite nel villaggio di Sindh e in altri villaggi sono invece ancora in piedi, alcune sono a due piani nonostante l’acqua abbia raggiunto l’altezza del primo piano.
Lei si sta occupando anche dell’emergenza alimentare. Cosa sta facendo?
Abbiamo creato un meccanismo per cui stiamo ottenendo cibo a buon mercato e migliorando il ruolo delle madri. Invece di ricevere la carità, le donne sono infatti considerate come i capifamiglia che forniscono cibo ai loro parenti. I fondi vengono trasferiti nella banca di una persona di fiducia. La persona fornisce a rotazione tutte le razioni di cibo secco alle madri, che ora cucinano e distribuiscono cibo a tutti nel villaggio. In questo modo non stai umiliando le persone donando loro l’elemosina, ma dando rilevanza alle donne che devono sfamare la famiglia. Voglio dire, dobbiamo trovare modi intelligenti per utilizzare lo stesso denaro, il più a lungo possibile, per quanto possibile, riducendo al minimo i costi, utilizzando questo meccanismo per elevare la condizione delle donne all’interno della società in modo che siano viste come quelle che attivamente stanno dando un contributo. Dobbiamo evitare che ci sia qualcuno da fuori che viene a dare loro un pacco di viveri.
C’è una grande differenza tra il fare la carità e potenziare le conoscenze delle persone per permettere loro una vita migliore. Ora la sfida è evitare che il disastro dilaghi, ma quando questo momento immediato di emergenza sarà finito, ci sarà un’altra emergenza, ci saranno problemi di ordine sanitario e sociale. Cosa ne pensa? Certo, l’architettura non può cambiare la situazione, ma forse può aiutare in maniera parziale?
L’architettura può svolgere un ruolo, ma solo limitato da ciò che costruisci. Ma io ora non sto pensando a lungo termine, perché non possiamo presumere che questa sia l’ultima inondazione in Pakistan. Con il cambiamento climatico, potrebbe accadere anche di peggio. Io sto facendo una lista di priorità. Intanto abbiamo stabilito varie collaborazioni con professionisti della sanità. L’acqua è un grosso problema perché tutte le malattie epidemiche sono legate agli allagamenti. Ora mi accade di riflettere sul fatto che tante persone mi abbiano aiutato lungo la strada. Non posso nemmeno dirti quante. Perché non sono i soldi, ma la guida e i consigli giusti ad essere importanti: tutto ciò che le persone dimenticano sempre perché si dà troppa importanza al denaro. La cosa importante invece è condividere la conoscenza con le persone che non sono così fortunate.
Sono anni che lei si adopera per migliorare la vita delle popolazioni del Pakistan e ha sempre detto quanto la situazione fosse grave. Ora non si può più ignorare.
Questa gente ha bisogno del sapere. È miserabile la vita che le persone conducono in queste zone periferiche. Il Pakistan dopo il Covid aveva il 50% della popolazione al di sotto della soglia di povertà. Sono tra più poveri del mondo. E adesso tutto è perso. Non so, forse adesso il 70 o l’80% della popolazione sarà al di sotto della soglia di povertà. Il problema adesso è impedire il fatto che tutti i soldi che arriveranno vadano a intermediari, a organizzazioni che promettono che li spenderanno. No, dobbiamo fermare questo modo di intervenire sull’emergenza. La mia richiesta, come primo punto, oggi è qualcosa di diverso. Vorrei chiedere alle persone che fanno parte della diaspora pakistana di inviare il denaro a coloro con cui hanno ancora mantenuto relazioni nei villaggi di origine. L’ideale sarebbe formare dei comitati femminili, permettere loro di aprire conti bancari. Possono esistere due opzioni: o fornire direttamente il materiale acquistato con i propri soldi o dare il denaro alla gente del villaggio per poterlo spendere. Per esempio, si possono realizzare rifugi di emergenza, wc ecologici. Posso insegnare loro come prendersi cura dell’approvvigionamento idrico, pompe a mano, ecc.. In questo modo i soldi vengono spesi in maniera indipendente, arrivano direttamente alle persone. Migliaia di villaggi ne beneficeranno. Penso che tutto questo sia possibile. Questa è la mia cultura del dare a piedi nudi, la cultura del dare. Ecco come si devono strutturare gli aiuti al Pakistan. Senza fare la carità.
L’inizio della costruzione (photo by courtesy of Heritage foundation of Pakistan)
Partecipazione e sensibilità nei confronti delle esigenze delle comunità coinvolte nel disastro climatico. Se volessimo definirla, è una speranza umanitaria nel settore della sostenibilità.
Ho ricevuto tanto aiuto da persone che sono ben informate sulle cose e mi hanno detto cosa fare. Ho imparato tanto grazie alle persone. Quindi quello che vorrei, è creare una banca della conoscenza. Ci sono molte persone che vogliono aiutare, ma forse non hanno abbastanza soldi da inviare. Ma perché tutti dovrebbero voler inviare denaro? Perché non possono condividere le loro conoscenze, la loro esperienza? Si potrebbe creare un intero portale basato proprio su questo tipo di deposito di informazioni. A lungo termine, abbiamo bisogno della collaborazione di tanti esperti. Abbiamo bisogno della loro saggezza, abbiamo bisogno dell’esperienza, abbiamo bisogno perché ci sono persone dalle conoscenze avanzate, sono competenti e le potrebbero condividere con altri. Per ottenere un Barefoot Knowledge Repository come secondo punto. Il terzo punto è il Climate Smart Training. In qualche modo, se riesci a convincere le persone a iniziare ad avere familiarità con la tecnologia, questo processo può essere realizzato su larga scala. La conoscenza può fare molta strada. Non voglio, insomma, che quei soldi vengano sprecati. Questa è la situazione attuale in Pakistan. C’è tanta corruzione nel Paese. Si deve stare molto attenti a dove depositare i soldi e a come farlo. Sarebbe meglio andare lì e aiutare le persone. Sarà meraviglioso per loro avere qualcuno che fa tutto il possibile per aiutarli. Questo processo porterà le persone a essere indipendenti. Ci sono molti problemi, molti traumi. Ma ci sono tutti gli strumenti per coinvolgere le persone in qualsiasi tipo di lavoro e dire: siamo con te. Sì, dobbiamo comunicare: Siamo con te, non sei solo.
Dalle foto delle strutture di emergenza si vede che la porta è costituita da un tessuto pieno di colori, disegni e geometrie, che ci parlano della storia dell’umanità. Come se emergesse un messaggio: questa è la nostra storia nonostante tutto, abbiamo perso ogni cosa materiale e per ora questi disegni parlano di noi e ci distinguiamo dal fango, siamo qui, questa è anche la nostra memoria. Come darà ulteriore sviluppo a questo intervento?
Questo è il messaggio. Mi affido ai pakistani all’estero che in seguito alla tragedia stanno inviando nel Paese così tanti soldi e nessuno sa dove tali aiuti vadano a finire.
Suggerisco che si organizzino indipendentemente. Abbiamo bisogno di loro. La loro partecipazione deve essere sincera. Dobbiamo uscire dal nostro modello conformista. Dobbiamo avere un modello diverso da quello che definisco modello di beneficenza coloniale occidentale.
Nella foto d’apertura Yasmeen Lari in una intervista del 2020 alla BBC News (da Wikipedia)