La vicenda del rigassificatore di Piombino, divenuto un caso nazionale grazie alla lotta dei cittadini organizzati in comitati, dimostra che accanto alla crisi energetica, frutto di un modello di sviluppo sbagliato, c’è la crisi della democrazia, che si esprime con l’arroganza del potere e la sudditanza della politica ai grandi interessi economici.
Il nuovo impianto consisterebbe in una grande nave ancorata permanentemente nel piccolo porto toscano e in grado di contenere 170mila metri cubi di gas liquefatto, che arriverebbe a ciclo continuo via mare, con lo scopo di riportarlo allo stato gassoso e immetterlo nella rete nazionale. Un impianto che per la Snam, titolare del progetto, dovrà servire a «garantire la massimizzazione dell’utilizzo della capacità di rigassificazione» del Paese per liberarsi, secondo il governo, dalla dipendenza dal gas russo.
Si tratta di un progetto altamente impattante e pericoloso, come confermano le moltissime prescrizioni formulati dai vari enti competenti al commissario governativo (che è anche presidente della Regione Toscana) ai fini dell’autorizzazione dell’impianto. Prescrizioni che, in uno stato di effettiva autonomia e libertà da condizionamenti politici, avrebbero certamente indotto i tecnici firmatari ad esprimere parere negativo. Invece hanno detto: ci sono tante cose che non vanno, tanti pericoli che si corrono, ma il parere è favorevole perché non si può andare contro Snam, i governi e i partiti che li sostengono. È una storia consueta, che si ripete. Altro che libertà della scienza e della tecnica! Del resto, quante valutazioni di impatto ambientale ci sono che si concludono con parere favorevole pur enucleando decine e decine di prescrizioni che in realtà sarebbero motivi ostativi? Ma qui si è esclusa perfino la procedura di impatto ambientale, sempre con la scusa dell’emergenza. E dal governo Draghi al governo Meloni la musica non è cambiata.
Ciò che più ha sorpreso in questa vicenda è che, nella sua veste di commissario, il presidente di una regione a forti tradizioni democratiche come la Toscana si sia prestato a svendere una parte significativa del territorio regionale, a sospendere le normali procedure democratiche e a non considerare la voce dei cittadini e degli enti locali, con in testa il consiglio comunale di Piombino che all’unanimità si è espresso contro il rigassificatore. Sull’autorizzazione commissariale pende anche il ricorso al Tar del Lazio presentato dal Comune di Piombino, con l’udienza di merito già fissata per il mese di marzo 2023.
La mobilitazione popolare contro questo progetto è stata forte, pacifica e continua per tutta l’estate, spinta da motivazioni di ordine ambientale, sanitario ed economico. La ex città siderurgica di Piombino e il suo comprensorio (la Val di Cornia) vivono una situazione di difficoltà: crisi industriale irrisolta, perdita di popolazione, servizi in diminuzione, niente bonifiche dei siti inquinati, nessun rilancio di un’industria moderna e ecosostenibile, impianti estesi di fotovoltaico che consumano suolo fertile, una discarica che ha accolto rifiuti da ogni dove… L’arrivo della nave rigassificatrice con tutti i suoi annessi marittimi e terrestri ostacolerebbe il processo di diversificazione economica e darebbe il colpo di grazia.
Per fare questo si adottano forme dirigiste, autoritarie, antidemocratiche. Per questi motivi la vicenda del rigassificatore è una questione ambientale e territoriale, ma anche una questione democratica. Non è, dunque, solo un problema di Piombino, una città dove, dopo l’abbandono dell’industria, energia e rifiuti sono diventati business, speculazione, arroganza del potere, sordità alle istanze dei cittadini. È un allarme che dalla costa toscana si allarga all’Italia intera. Non c’entra niente la questione Nimby che alcuni hanno tirato in ballo per depotenziare la mobilitazione popolare.
Ora che la realizzazione dell’impianto di rigassificazione è stata autorizzata, la mobilitazione si va estendendo su un piano più generale, perché con il rigassificatore, con impianti e procedure come queste, muore anche la fiducia nelle istituzioni centrali e regionali. Del resto, la politica dei commissari e il ricatto delle emergenze sono il contrario della democrazia. Anche sul piano energetico il rigassificatore è una scelta sbagliata, figlia del ricatto di una guerra in cui il governo ha trascinato il Paese e di una visione distorta della questione energetica, che non si può affrontare applicando lo stesso modello che l’ha generata. Per questo i rigassificatori non vanno bene né qui, né altrove se vogliamo interpretare correttamente la transizione verso la pace e l’equilibrio ecologico. Altrimenti sarà la democrazia a diventare gassosa.
L’autore: Rossano Pazzagli è docente all’Università del Molise e fa parte della rete di studiosi dell’Officina dei saperi