L'aggressione squadrista del Michelangiolo non può essere considerata come una circostanza estemporanea e come un episodio avulso dal momento storico e istituzionale che stiamo vivendo. È d'obbligo il rigore della ricostruzione storica scrivono tre docenti del Liceo Machiavelli-Capponi di Firenze

Il pestaggio di alcuni studenti di fronte a una scuola pubblica avvenuto a Firenze alcuni giorni fa è una cosa gravissima, che non può essere taciuta.
La preside Annalisa Savino ha dichiarato di aver scritto il suo comunicato – ormai noto ai più – perché gli studenti non avessero paura, per difenderli. Sì, perché la reazione dei giovani di fronte all’accaduto è stata prima di tutto la paura. E noi, che nella scuola ci lavoriamo e che a quei ragazzi e a quelle ragazze diamo risposte ogni giorno, non possiamo tacere, come ha fatto il governo. È un nostro dovere proteggerli e non deluderli.
Ci difenderemo e li proteggeremo sempre dalla violenza, dalla prepotenza, dall’ignoranza con fermezza e coraggio perché, come scriveva un grande intellettuale morto di botte dopo un pestaggio fascista, Piero Gobetti, “l’antifascismo è una questione di stile” e se al fascismo sta il “rimestare”, a noi conviene il puntualizzare, il definire, a noi spetta il compito di parlare con chiarezza e classificare gli eventi con il loro nome. Ci tocca, per dovere professionale, per coscienza individuale e civica non solo sostenere ma anche seguire la linea della preside Savino che, con estrema puntualità storica, non ha fatto altro che riportare alla luce i dati oggettivi relativi alle origini di una delle pagine più dolorose e tragiche della nostra storia.

I fatti del Michelangiolo non possono essere considerati come una circostanza estemporanea e come un episodio avulso dal momento storico e istituzionale che stiamo vivendo. Proprio per questo motivo la circostanza ci sollecita al rigore della ricostruzione storica, quello stesso rigore che la renda inattaccabile da argomenti pretestuosi e legati a logiche ideologiche sempre più fuori tempo e fuori luogo, sempre più anacronistiche e assurde. In questo momento, più che mai, ci è richiesto di comportarci come deve fare qualsiasi storico che voglia rivendicare la dignità epistemologica della sua ricerca. Di fronte ai fatti è necessario rispondere attraverso un’indagine che si riferisca alle origini di questa “malapianta” che ha determinato la violenza e bisogna farlo, come diceva Marc Bloch, come “giudici istruttori”. È urgente che i fatti vengano combattuti con una conoscenza oggettiva e documentata. Questo atteggiamento e l’onestà intellettuale devono rappresentare gli strumenti necessari per entrare in classe e rispondere in modo adeguato e puntuale alle sollecitazioni, allo stato di confusione, se non di sconforto e di paura, che si possono riscontrare tra i ragazzi dopo i fatti tristemente noti.

Nella loro costernazione, nello spaesamento che rappresenta il tratto comune della loro reazione si percepisce forte la richiesta di rassicurazioni. Questa esigenza può essere soddisfatta solo evitando di salire sulla giostra dell’ipocrisia e cercando di riaffermare con forza i principi e i valori che sono alla base della democrazia e che sono stati traditi in quella triste mattinata davanti a un luogo di cultura. E’ necessario, oggi più che mai, far capire loro l’importanza e il senso delle istituzioni di fronte a una classe dirigente che le utilizza e le umilia a scopo politico e per tornaconti elettorali.

È sempre più urgente tutelare ogni presidio di democrazia, primo tra tutte la scuola pubblica, sottolineare con chiarezza il valore della libertà di opinione sancita dalla Costituzione e calpestata dalle scomposte parole del ministro Valditara che avrebbero voluto intimidire la Preside Savino. Non è semplice, in questo complesso momento, chiedere a ragazzi, poco più che adolescenti, di rispondere alla violenza con le idee, di reagire allo scempio con proposte che manifestino una visione di mondo, di realtà e di futuro alternativo alla deriva che stanno vivendo. Il nostro ruolo di insegnanti, tuttavia, non può che avere questa direzione. Non ci sono altre possibilità se non quella di chiedere a ognuno di loro di iniziare a essere donne e uomini consapevoli, di iniziare a recitare un ruolo attivo e di partecipazione, di “schivare” i pugni con i valori che sono a fondamento della nostra Repubblica. Di formarsi e informarsi e con la formazione e l’informazione manifestare l’eventuale dissenso nei modi e con comportamenti che, quanto più fondati su argomenti forti, tanto più non hanno bisogno di essere sostenuti dalle pratiche violente che hanno messo in atto i ragazzotti vestiti da sgherri davanti a un luogo di sapere e di cultura. L’antifascismo è una questione morale prima che politica (diceva sempre Gobetti), perché il fascismo e i suoi principi sono indifendibili, da un punto di vista umano e sociale. Il fascismo ha usato sistematicamente l’aggressione contro il dissenso. E gli scontri davanti al Liceo Michelangiolo sono da condannare e “spiegare” in quanto sono l’opposto esatto di quel circolo virtuoso che la convivenza tra donne, uomini e idee dovrebbe innescare.
Secondo il ministro Valditara la scuola non si deve occupare di politica… Quale comunità non si occupa di politica? E’ possibile una comunità senza politica? Non crediamo affatto. Ogni atto sociale è atto politico e dunque ogni azione educativa è azione politica. A scuola noi formiamo i cittadini di domani. E allora noi insorgeremo e ci indigneremo sempre di fronte alla violenza e alla violazione dei diritti perché la scuola è quel luogo dove si forma la nostra essenza più propria di esseri umani.

Gli autori: Pietro Abate, Massimo Rubino, Elisabetta Amalfitano sono insegnanti del Liceo Machiavelli-Capponi di Firenze

Foto di Giancarlo Leonelli, manifestazione di Firenze 21 febbraio 2023