Il reportage del blogger diventa il pretesto per dialogare con la società civile, con chi si occupa di cultura, di scienza, con la gente. Ecco il racconto su una città solidale e vitale, determinata a rivendicare la propria identità, al di là degli stereotipi che le vengono affibbiati

Come puoi non amare una città che ha inventato il sospeso, il caffè pagato all’estraneo che non può permetterselo. Napoli è anche questo. È una città che ho sempre amato, capace di infondere la stessa energia che ho trovato a New York. È l’unica tra le città italiane in grado di farlo.
Questo viaggio in carrozzina a Napoli è nato dopo aver parlato con Sara della Glamurga, banda danzante di Milano che si ispira alle bande argentine. Sono bastate poche parole.
«Vai a Scampia. Là per il carnevale si radunano tutte le murghe d’Italia (forme teatro di strada ndr)».

Così ho preso il mio treno e sono arrivato in città.
Con me c’erano Pasquale, Enzo e Camilla. Camilla è la mia giovane nipote diciannovenne. Volevo che vivesse qualche cosa di autentico, al di fuori delle comodità famigliari. A Napoli si è rivelata una giovane donna intelligente e attenta.
Per la prima volta in un viaggio in carrozzina ho scelto di pernottare in un B&B, casa Gifuni. Ero perplesso, ma si è rivelata all’altezza delle mie necessità, ottima l’accessibilità e la cordialità di Matteo. Quel luogo è sulla buona strada per diventare un indispensabile punto di riferimento per i miei viaggi. Pasquale non si è fermato con noi.
La sera sono passati a prenderci Carmela e Michele. Hanno due figli affetti da disturbi dello spettro autistico però non hanno perso il sorriso, e nel viaggio da Salvatore Rosa a Posillipo mi hanno raccontato aneddoti e preoccupazioni. Nel periodo del Covid sono stati malati tutti e quattro contemporaneamente. Non potevano uscire. La Rai li ha intervistati grazie a un drone. Mentre il figlio maschio continuava a ripetere: «Posso abbatterlo? Posso abbatterlo?». La loro più grande preoccupazione è «che cosa faranno i figli quando loro non ci saranno più».

Con mia grande sorpresa Carmela è un nome che è tornato spesso nei giorni napoletani. È il nome della protagonista del mio ultimo romanzo.
Si chiama Carmela anche il ristorante dove io e Pasquale siamo andati a pranzo con Gabriele Russo, il direttore artistico del teatro Bellini. Gabriele si è raccontato con simpatia davanti a un piatto di spaghetti e zucchine veramente delicato e dei fiori di zucca profumati ripieni di ricotta.
Il papà di Gabriele è Tato Russo colonna portante del teatro napoletano e italiano, un vero monumento, la sua rigidità era proverbiale. È su questa rigidità che ha scommesso all’inizio della carriera Gabriele.
«Ero molto complice degli attori fin da piccolo, quindi vedere questa rigidità mi faceva star male. Però dall’altro lato mi rassicurava sul suo rigore nei nostri confronti. Cioè dicevo se questo ci dà una chance è perché è convinto. Devo dire con onestà che invece quando cominciammo avvertii un po’ più di morbidezza nei nostri confronti. Questa cosa mi mandò in allarme». Fu questo a spingerlo verso altre esperienze, per mettersi alla prova. Per crescere è importante staccarsi dai luoghi familiari per compiere un viaggio verso sé stessi, in seguito tornare.

Simone Repele nel backstage di Lili Elbe Show (foto di Camilla Rusconi)

Gabriele si è lamentato del modo in cui Napoli viene raccontata. Si cerca sempre l’aspetto folkloristico, l’evento particolare, ma diventa difficile raccontare Napoli nella sua normalità, nella sua cultura. La sera sono andato con Enzo e Camilla al teatro Bellini a vedere lo spettacolo di danza Lili Elbe Show della compagnia Riva & Repele. Finalmente uno spettacolo di raffinata poesia, in cui i significati, i passi, le coreografie creano un tutto armonico. Camilla è andata nel backstage per qualche foto. Io non potevo arrivarci. Serata interessante al Bellini che è un piccolo gioiello, curato in ogni particolare. Ma giuro che se non lavoreranno di più sull’accessibilità gli farò una macumba.

Napoli è talmente affascinante, talmente avvincente, gli incontri in programma così numerosi che non abbiamo sicuramente perso tempo a cercare ristoranti e cibi. Ci siamo riempiti prevalentemente di pizza.
Napoli è una città elegante, ed è un piacere passeggiare per le sue strade, attraversare le sue piazze, incrociare luoghi in cui ricchezza e povertà convivono insieme. Milano è suddivisa più nettamente. Presenta zone di povertà e zone di ricchezza ben definite. Invece a Napoli nella stessa via si possono presentare entrambe le facce del vivere.
Napoli è una città colma di tesori. Dopo anni che ci provavo, sono riuscito finalmente ad ammirare il Cristo velato. È commovente la raffinatezza di quella scultura, lo è anche la sofferenza del Cristo adagiato.

Napoli è una città colta, come mi ha raccontato durante una passeggiata Luciano Mayol, in tempi recenti presidente del Polo delle Scienze e delle Tecnologie per la vita dell’ateneo Federiciano.
Il ritratto che mi ha fornito si scosta da qualsiasi immaginetta precotta per turisti e per una certa Italia che non vuole ascoltare, non vuole vedere.
«Il primo corso di laurea in scienze biotecnologiche in Italia è nato a Napoli intorno al 2000, grazie al fatto che a Napoli ci sono dei centri di ricerca in campo biomedico di altissimo livello. C’è l’Istituto internazionale di genetica e di biofisica (Igb) del Cnr, ci sono due università che hanno corsi di laurea di tipo scientifico, la Federico II e la Seconda Università di Napoli. Poi c’è la Stazione zoologica Anton Dohrn dove pure fanno ricerche.
Poi la chimica è molto famosa a Napoli. Qui abbiamo avuto Paolo Corradini. Giulio Natta ebbe il premio Nobel per i catalizzatori nella sintesi del polipropilene. Ma gran parte del merito di questo premio Nobel lo si deve a Paolo Corradini, che in effetti fu il primo ad accorgersi che il polipropilene che si riusciva a realizzare grazie a questi catalizzatori a base di titanio, praticamente aveva una percentuale di cristallinità molto elevata».

I viaggi in carrozzina non sono soltanto una vicenda turistica. Sono il pretesto per dialogare con la società civile, con la cultura, con la gente che si fa carico di quella casa comune che è la polis. Proprio per questo ho voluto incontrare Antonio Memoli, distinto architetto ottantacinquenne dalla straordinaria energia. La sua storia è una storia di lotte sociali, di comitati, di assunzione di responsabilità nei confronti della cittadinanza. Mi sono sprofondato nei suoi racconti con golosità. È indispensabile ascoltare la voce degli anziani, rappresentano la nostra memoria storica, le nostre radici. Senza queste la vita non cresce, non trova il giusto rigoglio.
Antonio mi ha raccontato delle sue prime battaglie perché il quartiere Sant’Alfonso, che adesso non esiste più, fosse ristrutturato e si dessero case dignitose alle quattrocentoquaranta famiglie che abitavano nelle baracche. Mi ha parlato della sua militanza in Democrazia proletaria, di amori giovanili, delle lotte perché cinque delle sette vele di Scampia venissero abbattute. Le vele sono di quanto di più orrido si possa immaginare in fatto di edilizia popolare. Con lui ho parlato anche di Bagnoli, dell’inquinamento di quell’area che si vorrebbe trasformare in un parco di centoventi ettari, ma che ancora aspetta di essere bonificato. Ma soprattutto abbiamo compiuto un viaggio nella storia. È stato una lectio magistralis sempre sostenuta da una viva umanità e dalla necessità di difendere il diritto alla casa.

Le Vele a Scampia (foto Gianfranco Falcone)

«Perché poi tutta questa storia ha un nucleo centrale. La dimora è una dignità che tu non puoi togliere alle persone. Se tu togli la dimora intesa proprio come diritto alla socializzazione, al decoro di sé stessi, tu veramente togli alle persone un elemento di qualità, la possibilità di instaurare rapporti sociali. Se dai una casa decente sicuramente troverai ancora quello che spaccia dentro, però incominci già ad avere delle relazioni che consentono forse di avere un’alternativa. Insomma la modalità con cui tu stabilisci un modo di costruzione non è semplicemente un elemento da ex tempore nell’università. È un modo con cui tu ti avvicini a dire: Metto insieme un falansterio con duecento – trecento famiglie, oppure incomincio a dare una vita?».

Diritto, decoro, dignità, e tutto ciò che è tolto ai senzatetto che occupano i portici della Galleria Principe di Napoli. La mattina e la sera ci passavamo accanto, e lì la città mostra il suo volto peggiore. Fatto di cartoni, di stracci, di una povertà abissale che sembra senza rimedio.
Napoli è la città dai mille volti, sicuramente percorribile da chi come me è in carrozzina, ma sempre con una rosa in mano e un coltello tra i denti. La rosa per ricambiare la gentilezza, il coltello simbolo di risposte argute e ferme a chi non è disposto, per cattiva coscienza o ignavia, a consentire diritti dignità e decoro anche a chi ha una forma fisica altra, rispetto a quella che la società delle performance si aspetta.

Come sempre ci sono stati degli intoppi. Una mattina Pasquale ha telefonato per chiedere se la funicolare per il Vomero a Montesanto fosse funzionante. La risposta è stata affermativa. Ma quando siamo arrivati abbiamo scoperto che la fermata del Vomero è impraticabile da qualche tempo.
Alla Certosa di San Martino stanno aspettando i fondi del Pnnr, mi ha detto il direttore Francesco Delizia. Gli ho ribadito che con cinquanta euro è in grado di approntare due pedane in legno, e guadagnare così l’accessibilità al chiostro grande e al belvedere. Spesso non servono investimenti milionari per risolvere i problemi ma un po’ di lungimiranza.

Carnevale a Scampia (Foto Gianfranco Falcone)

Finito il corteo di carnevale a Scampia eravamo cotti e stravolti. C’era una bella pizzeria che ci faceva l’occhiolino. Pasquale insisteva perché chiedessimo la pedana e io lo guardavo strafottente, pensando tra me e me che a tutto c’è un limite, anche all’ottimismo sfrenato di Pasquale. Invece magicamente la pedana a Scampia c’era.
Aveva ragione la mia amica Sara. Scampia con il suo carnevale è magia, è un tumulto di risate, di colori, di bellezza. Sembrava di partecipare alle dionisiache con baccanti e fauni. Grazie Mirella La Magna grazie Felice Pignataro che vi siete inventati questa possibilità di riscatto.

Quando faccio un viaggio carrozzina arrivo al limite delle risorse fisiche e psichiche, tanta è la brama di vita, tanta è la brama di incontri. Questa stessa brama mi ha spinto a voler dialogare con Enzo D’Errico, direttore del Corriere del Mezzogiorno. Si è presentato all’appuntamento con un sigaro in un angolo della bocca e si è raccontato con generosità, senza peli sulla lingua. Ha rivelato ancora una volta come Napoli sia ricca di persone raffinate e lucide. Anche lui come Gabriele soffre del modo in cui Napoli viene raccontata.
«In generale il Mezzogiorno è un luogo non comune. Piuttosto che comprendere e analizzare la complessità è molto più facile rinchiudere un luogo non comune in un luogo comune. Quindi è molto difficile narrare il Mezzogiorno in maniera che non sia riconducibile agli stereotipi. Perché nella narrazione nazionale il Sud, per sua colpa e per colpa altrui, è ancora rinchiuso nei luoghi comuni».

L’analisi di D’Errico si è fatta ancora più articolata quando ha sottolineato i mali di Napoli.
«Napoli non ha mai avuto nella sua storia una borghesia produttiva. Ma soprattutto Napoli è da sempre governata dal notabilato e oggi proprio all’ennesima potenza con Manfredi (l’attuale sindaco di Napoli ndr). Cosa è il notabilato? Il notabilato sono i ceti professionali, ossia i professori universitari, gli avvocati, i medici, i primari, i notai. Il notabilato prevede per sua costituzione, ha nel suo dna, la trasmissione del potere, la trasmissione della ricchezza, non la redistribuzione».
Con D’Errico abbiamo parlato di disabilità. Ha l’intelligenza e la sensibilità per farlo. Poiché sua figlia ha una disabilità cognitiva. Si è trovato d’accordo nel dire che le Rsa non sono l’unica risposta per il dopo di noi, cioè per il momento in cui i genitori non ci saranno più e i figli dovranno avere cure e contesti in cui vivere, diversi da quelli familiari che li hanno protetti fino ad allora. Le Rsa così come sono concepite adesso spesso sono solo un business utile al perpetuarsi di un sistema. Rendere autonomi e indipendenti le persone con disagi fisici e mentali costerebbe allo Stato molto meno. Farlo si può, lo si può con buone pratiche e buone politiche. E soprattutto cambiando modo di ragionare come ha sottolineato.

«Ragionare come comunità e non come Io. Far prevalere il Noi sull’Io. Purtroppo a Napoli prevale l’Io. Certo, prevale in quasi tutto il Paese».
Napoli non è stata soltanto un incontro con gli intellettuali e i protagonisti della società civile con cui desideravo dialogare. È stato anche l’incontro con le sue persone, con i suoi palazzi, con i suoi quartieri arroccati in collina, con il moderno e con l’antico, con i presepi della Certosa, con la poesia dei quartieri spagnoli, con il calore dei parenti di Pasquale autenticamente e veracemente napoletani.
È stato un altro viaggio in carrozzina.

In apertura: Carnevale a Scampia (foto Gianfranco Falcone)

L’autore: Gianfranco Falcone è psicologo e blogger (Viaggi in carrozzina,  DisAccordi) e collabora con la rivista on line Mentinfuga, dove scrive di temi culturali, di teatro e diritti. Da alcuni anni è costretto a vivere su una sedia a rotelle. Ha da poco pubblicato il romanzo 21 volte Carmela (Morellini editore)

Leggi il suo reportage da Palermo su Left del 31 agosto 2022