La ricerca “Chiedimi come sto” ha evidenziato alcuni di questi disagi con dei dati allarmanti: il 28% dei giovani tra i 14 e i 26 anni dichiara di avere un Disturbo del comportamento alimentare (Dca), il 14,5% di aver avuto episodi di autolesionismo e il 60% di essere preoccupato per la propria salute mentale.

La pandemia, la crisi climatica, la precarietà come dimensione nella quale siamo nati e cresciuti, una società che ci chiede di fare sempre di più, di non fermarci mai. La società nel quale fallire è vietato. Il futuro vissuto come incertezza più che come speranza. Tutto questo può aiutare a capire un po’ meglio – ma non certo a spiegare del tutto – i dati sui suicidi, l’aumento del numero delle persone che soffrono di autolesionismo, di chi sviluppa un disturbo del comportamento alimentare. Il disagio che la nostra generazione vive aumenta e si sta facendo troppo poco per fermarlo.

Il 15 marzo è la Giornata di attenzionamento ai disturbi del comportamento alimentare. Studenti e studentesse si ritroveranno davanti al ministero della Salute per chiedere alle istituzioni di prendere seriamente il tema della salute mentale e trattarla al pari di quella fisica.

L’anno scorso la ricerca “Chiedimi come sto” ha evidenziato alcuni di questi disagi con dei dati allarmanti: il 28% dei giovani tra i 14 e i 26 anni dichiara di avere un Disturbo del comportamento alimentare (Dca), il 14,5% di aver avuto episodi di autolesionismo e il 60% di essere preoccupato per la propria salute mentale.
Ma forse, bastava guardarsi intorno per capire che qualcosa che non va c’è, che la pandemia non se n’è andata e basta ma ha lasciato delle cicatrici nelle menti di ognuno di noi. Sembra evidente che qualcosa non funziona come dovrebbe se si nota la serie di suicidi compiuti da studenti e studentesse universitari che sono stati schiacciati dalle aspettative e dai miti di eccellenza irraggiungibili che gli vengono imposti.

Eppure ancora non è stato fatto quasi niente per cercare delle soluzioni.
Ancora nessun governo ha fatto qualcosa per eliminare il tabù che copre il tema della salute mentale, per cui si ha difficoltà a comprendere che i disagi psicologici sono reali e non sono capricci o “fasi della vita” ma possono essere problemi di salute e come tali vanno risolti da un professionista esperto.

Ad oggi però, iniziare una terapia psicologica da privati ha dei costi esorbitanti e non è affatto accessibile a tutti. Se si tenta di accedere ai servizi gratuiti delle Asl ci si ritrova ad aspettare mesi, (attesa che in alcuni casi può essere fatale) e se e quando si riesce ad avere un appuntamento il servizio offerto è estremamente scadente se non addirittura, in alcuni casi,  dannoso.
Oggi, bisogna dire che la salute non è ancora un diritto per tutti, perché il benessere psicologico resta inequivocabilmente un privilegio di pochi benestanti che possono permettersi le cure.

Solo qualche Regione ha avviato delle pratiche e si è mossa per cercare delle soluzioni, tra queste la Campania che già dal 2020 ha introdotto una nuova figura nel Ssr: lo psicologo di base. Questa figura- di cui chiedono l’introduzione gli stessi ragazzi che saranno in piazza il 15 marzo- collabora accanto al medico di base, offrendo assistenza psicologica primaria per poi, qualora servisse, indirizzare i pazienti verso alcuni specialisti che si occuperebbero della rapida presa a carico del paziente. Questo sistema serve chiaramente a eliminare lo stigma legato alla ricerca di uno psicologo e rende più facile per chiunque chiedere aiuto, così come costituisce un presidio di prevenzione importante.

E’ allo stesso modo evidente che seppur questo sistema possa rappresentare un’ottima soluzione rimane decisamente insufficiente se contemporaneamente non si finanziano i luoghi che dovrebbero occuparsi della rapida presa a carico dei pazienti riformandoli e dandogli gli strumenti per affrontare questa nuova emergenza sanitaria.

I consultori, che dovrebbero essere un altro presidio territoriale fondamentale in particolare per il benessere psicologico delle donne, prevedono un numero di residenti a carico per consultorio sotto i 25 mila solo in 5 Regioni in tutta Italia (quando la legge nazionale prevede che dovrebbero essere tutti sotto i 20mila) e addirittura alcune Regioni, tra cui il Lazio, sfiorano i 45mila.
Così come i Centri di Informazione e Consulenza (Cic), ovvero i cosiddetti “psicologi scolastici” che però sono quasi sempre insufficienti per il numero di studenti di una scuola, spesso sono sotto qualificati, oppure non hanno uno spazio fisico a disposizione per svolgere il loro servizio nelle scuole.

Forse è arrivato il momento di dare voce alle nuove generazioni che, giustamente, non chiedono ma pretendono di non essere presi in giro con bonus sporadici o con misure e e luoghi, che dovrebbero essere un loro diritto ma che, di fatto, non vengono garantiti. Forse è ora che iniziamo tutti a pretendere le cure psicologiche come pretendiamo quelle fisiche, perché la salute mentale è salute. Forse il 15 marzo non solo dovremmo fermarci a riflettere su cosa siano i disturbi del comportamento alimentare ma dovremmo scendere in piazza con i giovani e le giovani  che sfileranno in corteo dal Ministero della Salute a quello dell’Istruzione e del merito perché non si muoia più a vent’anni solo perché non si sa a chi chiedere aiuto.

Tullia Nargiso fa parte della Rete degli studenti medi

Aggiornamento del 22 marzo 2023

Appello degli studenti, presidi psicologici a scuola

Una proposta di legge è stata presentata il 22 marzo alla Camera dall’Unione degli Universitari e la Rete degli Studenti Medi insieme ai parlamentari Elisabetta Piccolotti, di Avs, Elisa Pirro del M5S, Rachele Scarpa, promotrice dell’intergruppo parlamentare per la tutela e la promozione della salute mentale, e Nicola Zingaretti del Pd.

La proposta arriva dopo la diffusione con la collaborazione di Spi Cgil di un questionario in tutto il Paese, che ha visto oltre 30mila risposte. I risultati del questionario, è stato spiegato, “hanno evidenziato molti elementi di preoccupazione: il sentimento più provato durante il periodo pandemico è stata la noia per il 76% dei rispondenti; emergono anche l’ansia al 59% e il senso di solitudine al 57%. Vi sono poi risultati particolarmente allarmanti: il 28% del campione ha avuto esperienza di disturbi alimentari, mentre il 14,5% ha avuto esperienze di autolesionismo. Alla luce di questi dati, abbiamo auspicato che la politica reagisse per cercare di supportare la salute mentale degli studenti e prevenire qualsiasi forma di disagio”. “Così non è stato – afferma Camilla Piredda, Coordinatrice dell’Unione degli Universitari – in quanto le uniche risposte positive le abbiamo viste da singoli istituti, università o al massimo regioni. Ma è mancata una risposta complessiva e adeguati finanziamenti: così, oggi siamo costretti nella maggior parte dei casi a psicologi privati, cui prezzo medio di una seduta della durata di 60 minuti è di circa 70/80 euro. Anche il bonus psicologo, soluzione temporanea ma utile, quest’anno è stato rifinanziato per soli 5 milioni di euro, con un taglio dell’80% rispetto al finanziamento del 2022. La politica ha deciso di ignorare le esigenze e le richieste di un’intera generazione: infatti, la quasi totalità del campione da noi intercettato l’anno scorso aveva detto di considerare utile un supporto psicologico nella propria scuola o università. Addirittura, uno studente su tre vorrebbe usufruirne”.  “La proposta di legge – spiega Camilla Velotta, dell’Esecutivo degli studenti medi – punta ad istituire, regolare e finanziare un servizio di assistenza psicologica, psicoterapeutica e di counselling scolastico e universitario, che possa basarsi su personale professionista e interfacciarsi con il servizio sanitario territoriale assicurando la presa in carico degli studenti che ne avessero bisogno. Noi chiediamo che lo Stato investa almeno cento milioni di euro all’anno per arruolare sul territorio dei team multidisciplinari di professionisti, le cui competenze devono garantire l’assistenza in relazione alle necessità specifiche degli studenti”. (ANSA).