«Mi sono avvicinato al cinema perché figlio unico di un padre lavoratore… La sera, dopo cena, si alzava e invitava mia madre al cinema. Lui sarebbe andato al cinema tutte le sere. Quando si poteva e non c’era scuola, portava anche me. Oggi è molto difficile pensare di andare al cinema ogni giorno. Io appartengo a quella generazione che invece andava al cinema tutte le sere», scrive il noto sociologo Alberto Abruzzese nel volume Il Politecnico, curato da Amedeo Fago e Lia Francesca Morandini per l’editore Timìa.
Anche per la costumista e sceneggiatrice Lia Francesca Morandini il Politecnico, di cui divenne fondamentale animatrice fu «la scoperta di un nuovo cineclub a Roma!», ricorda con un pizzico di auto ironia. Era il 1975, il Politecnico era nato due anni prima per intuizione dell’architetto, drammaturgo, scenografo e regista Amedeo Fago, lei veniva da Milano dove era stata assidua frequentatrice della cineteca di piazza San Marco; dunque benché giovanissima già con una ampia e solida formazione cinematografica, sviluppata anche nel rapporto con Morando Morandini, il più colto e acuto critico cinematografico italiano del secondo Novecento (del quale su Left abbiamo avuto l’onore di pubblicare recensioni fin quasi alla sua scomparsa a 91 anni nel 2015).
Ma torniamo alla storia del Politecnico, come divenne un centro culturale polivalente e progetto pilota per il Paese? Il fatto particolarmente interessante dal nostro punto di vista è che tutto cominciò da un collettivo di artisti, dall’esigenza di realizzare la propria ricerca e di realizzarsi insieme agli altri. «Io lì mi trovai subito a casa- racconta Lia Francesca Morandini-. Non solo vedevo interessanti rassegne di cinema ma il Politecnico era anche diventato un punto di ritrovo tra amici». Non era “solo” cinema, era socialità, e poi il teatro, la ricerca su nuovi linguaggi, l’arte, le nuove strade della tecnologia.
Quello spazio di archeologia industriale di oltre mille metri nel quartiere Flaminio divenne così un luogo di avanguardia, di incontro e di contaminazione dei linguaggi. Il nome – con tutta evidenza – era un omaggio all’avventura culturale del Politecnico di Vittorini, che seppe allargare lo sguardo oltre i confini italiani. Ma modello ispiratore fu anche il Bauhaus, per quella sua idea di interdisciplinarità che negli Settanta tornava a farsi strada in una nuova idea di architettura che, nell’idea di Amedeo Fago, metteva al centro il teatro come luogo di interconnessione fra i vari linguaggi dell’arte.
Non dobbiamo però trascurare il contesto storico e politico in cui il Politecnico prese vita. La Facoltà di architettura a Roma dove Fago si formò fu “teatro” di rivolte e occupazioni ancor prima della rivolta di Berkley del ’64, ben prima del ’68. Poi vennero gli anni Settanta, con tutte le aperture e le contraddizioni di quel periodo. Nonostante l’inaccettabile violenza dei gruppi terroristi e lo sgomento che generavano furono anni anche di grandi cambiamenti, vitali dal punto di vista creativo e sociale, basti pensare alla legge del 1970 sul divorzio, allo statuto dei lavoratori del 1971, alla riforma del diritto di famiglia del 1975 che aboliva la figura del pater familias alla legge sull’aborto del 1978, solo per fare alcuni esempi.
A Roma in particolare dal 1975 salì l’onda della rivoluzione culturale rappresentata dall’analisi collettiva dello psichiatra Massimo Fagioli, a cui Amedeo Fago partecipò per lunghi anni come ricorda in questo libro. «Dopo un incontro a casa di Marco Bellocchio cominciai a leggere Istinto di morte e conoscenza di Massimo Fagioli e la settimana dopo andai in via di villa Massimo, a vedere in che cosa consistesse l’analisi collettiva. Non sapevo in quel momento che da lì sarebbe iniziato un lungo percorso che avrebbe cambiato la mia vita».
Lasciamo ai lettori il piacere di saperne di più dal libro su questo punto cruciale e torniamo alla storia del Politecnico che prese linfa vitale da questo fatto solo apparentemente privato del fondatore, Amedeo Fago. Torniamo anche al quadro sociale, a quella Roma di sinistra che era stata guidata dal grande storico dell’arte e soprintendente come Giulio Carlo Argan, dal sindaco Petroselli e da Ugo Vetere, come ricorda lo storico e assessore alla cultura di Roma Miguel Gotor nell’introduzione; parliamo di una Roma dove dal 1976 al 1985 fiorì una rigogliosa stagione culturale. Tre anni dopo la nascita del Politecnico, l’architetto Renato Nicolini, ideò l’Estate romana «con la volontà di aprire le piazze a tutta la cittadinanza, coinvolgendo studenti, bambini, anziani e intere famiglie». Non a caso Nicolini, per la programmazione cinematografica a Massenzio, chiese aiuto a Alberto Abruzzese, a Bruno Restuccia e a Giancarlo Guastini del Politecnico. Ma anche questo è solo uno dei fatti, fra i tanti eccezionali che accaddero. È in quella fucina creativa del Politecnico che il futuro editore di Left e della casa editrice L’Asino d’oro, Matteo Fago, all’epoca studente universitario, fondò il giornale del movimento studentesco la Pantera prodotto con una stampante laser e poi cominciò a esplorare le possibilità del web, inventando Venere.com, il primo sito in Italia di prenotazioni alberghiere. «Il Politecnico era una realtà proiettata nel futuro», scrive l’editore in questo prezioso volume.
E la sensazione di un affascinante ritorno al futuro è quella che si sperimenta tuffandosi nelle 565 pagine di quest’opera, composta da un caleidoscopio di testimonianze dirette dei protagonisti, di documenti, foto, fulgide schegge di memoria. Il Politecnico nella Roma degli anni Settanta e Ottanta era un luogo di ricerca artistica collettiva che attraversava e interrogava la politica in maniera aperta, laica e progressista. Ben presto questo complesso e articolato centro culturale divenne un progetto pilota a livello nazionale. Restando al contempo un luogo unico e irripetibile per l’atmosfera che vi si respirava. «In quel bellissimo cortile su cui si affacciavano tantissime attività (studi di architetti, di scultori, grafici, ceramisti, musicisti..). si respirava un’aria molto particolare. L’utopia degli anni Sessanta era la filosofia alla base della creazione del Politecnico», approfondisce Lia Francesca Morandini. «C’era una grande tensione alla ricerca del nuovo. L’esigenza di condividere esperienze creative, il bisogno degli artisti di confrontarsi, discutere e lavorare insieme… c’era l’esigenza di guardare al futuro con occhi nuovi».
L’appuntamento: Con i curatori Amedo Fago e Lia Francesca Morandini, con Alberto Abruzzese e la consigliera del Lazio Marta Bonafoni ne parliamo il 5 aprile alle 17 a Roma, alla Biblioteca Villino Corsini – Villa Pamphilj).
Qualche notizia in più sulla storia del progetto editoriale. La parola alla casa editrice Timìa: «Il progetto editoriale prende spunto da un documentario di Amedeo Fago, della durata di 72’, (prodotto dalla Famosa s.a.s.) in collaborazione con il dipartimento di architettura e progetto dell’Università di Roma “la Sapienza”, che del progetto stesso è parte integrante come allegato del libro, accessibile tramite link. Il Politecnico, che si insediò nei locali di una vecchia fabbrica artigiana all’interno di un cortile del quartiere Flaminio, fu fondato nel 1973 come “associazione culturale”, su idea e iniziativa di Amedeo Fago, ed è stato l’unico spazio a Roma, e forse in Italia, in cui, accanto ad una sala teatrale, una sala cinematografica e uno spazio espositivo, avevano sede una serie di studi – laboratori, di architettura, di scultura, di pittura, di ceramica, di fotografia, di musica ai quali era stato aggiunto, nei primi anni Ottanta, un “bistrot”, luogo di incontro conviviale e di discussioni culturali per coloro che al Politecnico lavoravano e per coloro che lo frequentavano come “pubblico”. È stato uno spazio che, nella sua struttura originaria, è rimasto attivo per quasi quarant’anni, fino al 2013, e che, specialmente nei primi due decenni della sua esistenza, è stato uno dei motori dell’avanguardia culturale romana sia attraverso la pro-duzione interna, che attraverso l’apertura a esperienze artistiche nazionali e internazionali. Fondamentale in questo senso fu la collaborazione, dal 1977 in poi, con Renato Nicolini e l’assessorato alla cultura del Comune di Roma, per l’ideazione e la realizzazione di progetti per “l’estate Romana”. Dopo la chiusura del teatro e del cinema e l’abbandono degli studi di pittura, scultura e fotografia, quell’insieme di spazi ha, fortunatamente, trovato una continuità con quella trasformazione che era avvenuta agli inizi degli anni Settanta. Vi hanno trovato sede 5 studi di architettura, tra i quali quello di Sergio Bianconcini, architetto che aveva aderito al progetto del “Politecnico” e lo studio Valle 3.0, di Gilberto, Emanuela, Maria Camilla e Silvano Valle. Accanto a questi, dove era il cinema, una scuola di danza e infine “la piccola scuola delle arti” di Stefano Stefa. L’unico spazio che è sopravvissuto con le stesse caratteristiche che aveva negli anni d’oro del Politecnico è il bistrot. Scopo principale del progetto è quello di raccogliere e riorganizzare le memorie della più interessante esperienza culturale tra le tante che avvenivano a Roma in quegli anni Settanta , che sono da qualche tempo oggetto di studio e di rivalutazione, e in tal senso, offrire uno strumento di studio e di conoscenza sia per addetti ai lavori che per il vasto pubblico di cultori di memorie storiche. Nelle pagine interne di questo sintetico layout si può trovare la struttura dell’intera opera, che è suddivisa in 4 sezioni più un appendice documentale. Nel volume, tutte le sezioni sono arricchite da preziose immagini d’epoca (fotografie di luoghi e di spettacoli, locandine, disegni, riproduzioni di opere pittoriche, di sculture, di ceramiche, di progetti architettonici, di scenografie ecc.) che rappresentano la traccia più eloquente di ciò che “Il Politecnico” ha rappresentato nella storia culturale del nostro Paese».
In foto, dall’alto, gli spazi del Politecnico con giardini