Il format televisivo Rai "La prima donna che" fino al 26 maggio racconta le vite, le idee e il lavoro delle protagoniste di una straordinaria battaglia culturale contro gli stereotipi. La storia della prima corrispondente Rai all'estero, impegnata negli anni 70 per la legge sul divorzio

Donne italiane straordinarie, nomi noti e donne comuni, che con il loro coraggio e la loro determinazione, sono riuscite a vivere una ‘prima volta’ in Italia o nel mondo, che è stato un passo avanti per cambiare la nostra società.

Questa storia poco conosciuta viene raccontata da La prima donna che, un format televisivo breve, semplice e incisivo. Ideato da Alessandra di Michele Bragadin, prodotto dalla Direzione Rai intrattenimento day time e fortemente voluto dalla direttrice Simona Sala, ha una durata di poco meno di tre minuti e va in onda su Rai 3 alle 16 e 05 fino al 26 maggio (la serie è iniziata il 23 aprile). Una sorta di «pillola giornaliera contro gli stereotipi di genere», come l’ha definito Karina Laterza che presiede la commissione Pari Opportunità di viale Mazzini, realizzata grazie al patrimonio di immagini delle Teche Rai.

La prima donna che, alla seconda edizione, ci racconta la storia di quelle singole donne, vere e proprie pioniere, che per prime hanno fatto qualcosa che prima di loro era interdetto a tutte le donne. Sono raccontate in prima persona da ragazze che alla fine si palesano in video, creando un efficace effetto staffetta, senza retorica. In alcuni casi sono ragazzi che parlano per bocca di uomini che raccontano le proprie madri, mogli, compagne o idoli.

Aldo Grasso, riferendosi alla prima edizione, ha definito questo abbattimento del muro la primavoltità. Dunque, ecco in video la prima donna camionista, vice-presidente della Camera, minatrice, laureata in ingegneria, inviata di guerra, giornalista, direttrice di un teatro, vincitrice di un oscar, conducente di autobus, e così via.

Alcuni nomi delle protagoniste di questa seconda edizione: Lea Pericoli, record di campionati italiani di tennis, prima donna “in minigonna” e prima testimonial nella lotta contro i tumori, Anna Maria Guidi Cingolani madre costituente prima donna ad avere un incarico ufficiale al Governo (con De Gasperi nel 1951), Valentina Zurru  tra le prime donne minatrici nella miniera di Nuraxi Figus, Laura Bassi, prima donna al mondo ad ottenere una cattedra universitaria vissuta a Bologna nel 1700, Nives Meroi prima scalatrice italiana in vetta agli 8.000 (Nanga Parbat) nel 1988. E ancora: Matilde Serao, Maria Montessori, Cristina Trivulzio di Belgiojoso, Anna Magnani, le sorelle Fontana e molte altre.

Profili importantissimi nella storia del nostro Paese ma non abbastanza ricordati se non del tutto dimenticati. Come quello di Gianna Radiconcini, la prima donna corrispondente Rai all’estero. Che viene ricordata senza dubbio per questa primavoltità ma che ha una vita così intensa da costituire un vero e proprio esempio di emancipazione per le donne in generale e per tutti i giovani.

Gianna Radiconcini, scomparsa nel 2020, era nata nel 1926, in pieno fascismo. Diventa antifascista all’età di nove anni. Quando nel settembre del 1943 arrivano i nazisti a Roma, la ragazza, che ormai ha 17 anni, insieme ad alcune sue compagne di classe, diventa una staffetta partigiana. Porta di tutto, finanche dinamite, acquistata vendendo gioielli di famiglia. Entra a far parte del Partito d’Azione e poi dal 1946 di quello repubblicano. Tra il 1953 e il 1958 diventa responsabile de la Voce della Donna, la pagina del quotidiano del partito da dove denuncia il maschilismo imperante anche dentro la stessa formazione politica in cui milita.

Il maschilismo è dappertutto in quegli anni, pure dentro la Rai dove inizia a lavorare come giornalista. Ed è in Rai che diventa la prima corrispondente donna dall’estero, da Bruxelles.
La vita privata di Gianna Radiconcini è turbolenta. Ma riesce a farla diventare una battaglia pubblica. Il suo primo marito, con il quale ha due figli, lascia il tetto coniugale e va ad abitare con l’amante. Quando si innamora di un altro uomo è costretta a nascondersi, perché secondo la legge, non può tradire un marito che l’ha abbandonata. È il 1970, ancora non c’è il divorzio. Ma lei comunque non accetta una legge profondamente sbagliata. Ha un figlio col nuovo compagno e dà scandalo. Ma quello scandalo orgogliosamente e giustamente rivendicato apre la strada alla grande battaglia per il divorzio e alla più vasta opera culturale per la rivendicazione della parità di genere.

Le altre cinquantaquattro donne raccontate finora non coprono tutte le attività umane, ma iniziano a dare un affresco di un pezzo di storia davvero troppo poco indagato.
In attesa della terza serie, le cinquantacinque prime donne si possono sentire su Radio 1 e si trovano tutte su Rai Play.

Nella foto: Gianna Radiconcini, frame del video dell’intervista di Gad Lerner, La scelta. I partigiani raccontano, Rai 3