La nostra cultura ha una visione deformata della realtà dei bambini e dei ragazzi. Li vede difettivi finché non si adattano alle regole e pericolosi perché ancora non sottomessi al controllo razionale. Alcune riflessioni a partire dalla vicenda di Abbiategrasso
Dopo l’arresto con l’accusa di tentato omicidio aggravato, è calato il silenzio sulla vicenda dello studente sedicenne che il 29 maggio scorso ha accoltellato in classe la sua professoressa di italiano e storia, ad Abbiategrasso, nell’hinteland milanese. Nei giorni successivi ancora dei rari commenti, qualche intervista a neuropsichiatri infantili di fama (che azzardano una diagnosi o, per lo più, oscillano tra la chiave della diseducazione emotiva, quella della crisi della società, della scuola, della famiglia), alla professoressa vittima dell’aggressione (che lamenta l’assenza di messaggi di scuse da parte dei genitori del ragazzo), al ministro Valditara (confortato dal fatto che non siamo ai livelli delle stragi americane). Gli spunti di riflessione più seri vengono da una nota della Procura per i minori di Milano, della quale alcune testate citano passaggi attribuiti al giudice per le indagini preliminari Nicoletta Cremona che ha disposto la custodia cautelare in carcere. La Gip sostiene si tratti di un «episodio isolato», non ascrivibile «al disagio e malessere diffuso in alcune fasce della popolazione giovanile e adolescenziale», e annota che il ragazzo «non ha formulato alcuna riflessione critica rispetto alla gravità dei propri agiti». Questo articolo è riservato agli abbonati
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