L’Italia è l’unico Paese europeo a non regolamentare in modo uniforme la presenza di uno psicologo scolastico. Il ministro Valditara ha proposto di istituire il servizio ma solo laddove ci siano criticità. È la solita politica dell’emergenza, che non tiene conto delle esigenze e richieste dei giovani
«È impossibile pensare alla scuola senza psicologi: senza di loro non c’è sistema formativo che funzioni come dovrebbe», ha detto in apertura del quinto congresso dell’associazione portoghese degli psicologi, il ministro dell’Istruzione João Costa, ricordando il lavoro svolto, soprattutto negli ultimi anni, dai professionisti riuniti per l’occasione. In Italia la situazione è molto diversa ed è sempre triste constatare che la politica si muove per un obiettivo che sarebbe di interesse comune solo quando è costretta da circostanze avverse e non, come dovrebbe essere, perché spinta dall’attenzione per il progresso e la crescita culturale del Paese. Alludo alle parole del ministro Giuseppe Valditara che, dopo la violenta aggressione subita da una docente di Abbiategrasso, ha parlato in una intervista al Messaggero della necessità della presenza negli istituti scolastici della figura dello psicologo. Se accade un evento drammatico si parla di impegno, di tavoli di lavoro e progetti futuri. Sta di fatto però che negli ultimi due decenni sono stati presentati, senza successo, numerosi disegni di legge per inserire nel contesto scolastico un professionista della salute mentale, e che, elemento ancor più preoccupante dopo una pandemia, la convezione stipulata nel 2020 tra l’ordine degli psicologi (Cnop) e il ministero dell’Istruzione, che permetteva alle scuole di ottenere piccoli finanziamenti per i servizi psicologici, dal 2022 non è stata riconfermata.

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