In Italia si stimano oltre 500 infanticidi dal 2000 ad oggi, dopo i quali molte donne si suicidano ed altre trascorreranno il resto della vita in carcere o in strutture psichiatriche. In alcuni Stati Usa addirittura è prevista la pena di morte. Restiamo basiti, in un mondo che preferisce pensare alla pericolosità piuttosto che alla malattia mentale o a scardinare il culto della madre amorevole

È una notizia che non si dovrebbe mai sentire quella della morte di un bimbo di un anno soltanto, ma soprattutto non si dovrebbe mai provare quell’angoscia e quel senso di impotenza nello scoprire che questo bimbo muore per mano della propria madre.

«Venite, ho ucciso mio figlio» sono le parole di aiuto con cui E. accoglie i carabinieri che giungono sul posto, una frase che svela il dramma di una donna nel momento più atroce della sua vita. Tutta questa storia è un dramma, non solo per l’infausto epilogo, ma perché obbliga a pensare e ripensare a come abbattere i muri dello stigma della maternità edulcorata per permettere non solo alle donne, ma ai partner e alle famiglie d’origine di affrontare in profondità il problema e sostenere la maternità in crisi.

Tutti a casa sapevano che E. stava attraversando un periodo di depressione post partum, che a momenti era più agitata e che uno specialista aveva raccomandato di non lasciarla sola. Le maglie della rete familiare si sono sfilacciate per un’ora soltanto, eppure quell’ora è stata fatale. Un gruppo intero di persone si confronta con la malattia mentale e non ne sostiene il peso.

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