Roma, Circo Massimo, 25 novembre, foto di Renato Ferrantini
Sono passati interminabili giorni, altri insopportabili femminicidi, da quando Giulia è sparita. Tristemente, abbiamo fin dall’inizio sentito che era una sparizione definitiva, ma colpisce che proprio queste parole Giulia stessa abbia usato ripetutamente nel messaggio vocale in cui descriveva, come in un manuale sulla spirale della violenza, la sua consapevolezza paralizzata dal senso di colpa. “Dice che pensa solo ad ammazzarsi”, “sto cominciando ad accumulare rabbia …vorrei che sparisse ….vorrei sparire dalla sua vita, ma il rischio che si faccia del male e che potrebbe essere colpa mia ….mi uccide”. Giulia viveva sulla sua pelle la violenza di quel ricatto, che oggi sappiamo esser stato falso, perché Filippo non pensava ad uccidersi, ma a eliminare Giulia. Non sto parlando di premeditazione, si occuperà l’autorità giudiziaria di stabilire se c’è stata anche questa aggravante, oltre a quella della relazione, finalmente introdotta nella nostra legislazione: gli omicidi “in famiglia”, ovvero di persone alle quali si era legati da un rapporto affettivo, sono agli occhi di ogni essere umano, prima che di fronte alla legge, un abominio, nel senso etimologico della parola: sono disumani. Filippo Turetta verosimilmente non aveva un tormento come quello che abbiamo tutti sentito nella voce oltre che nelle parole di Giulia, non vediamo altro del suo mondo interno se non quelle minacce di suicidio e l’orribile morte che ha dato a Giulia. il “bravo ragazzo”, mai un problema né a scuola, né in famiglia, né fra amici, nascondeva una realtà mentale non cosciente, non visibile, di vuoto e violenza terribili.
Che a monte di ogni femminicidio ci sia la mentalità (basta chiamarla cultura!) patriarcale, è fuori discussione, ma nemmeno si può negare che questo dato strutturale oggi sia cambiato a tal punto da rendere emergenziale la realtà di quasi quotidiani femminicidi che stiamo vivendo. In un bellissimo articolo (su La Stampa di mercoledì 22 novembre), Maurizio Maggiani dipinge un quadro storico, tutto personale ma al tempo stesso collettivo, dell’evoluzione sociale e politica che ha portato a tutto questo: la famiglia patriarcale, la ribellione al padre, gli ideali rivoluzionari finiti in tragedia, la rivoluzione femminista, l’unica “non definitamente fallita”, perché donne e uomini lottavano contro lo stesso nemico, apparentemente, la proprietà e il possesso, volevano“la fine di questo mondo e di questo ordine di potere, e il potere che le femmine rivendicavano era un nuovo ordine d’amore”. Poi quell’amore non l’abbiamo trovato, conclude Maggiani, e i nostri figli ne pagano le conseguenze. “Quanta impotenza e quanto disordine abbiamo lasciato in eredità? quanta frustrazione? (…) Cosa abbiamo lasciato di servibile ai maschi perché trovassero la strada della ribellione se non al sistema almeno ai loro padri?”
Le ragazze di oggi vivono ancora di quell’ideale, dissolvere il sistema patriarcale del possesso, Elena Cecchettin, oggi una per tutte, lo testimonia in questi giorni di profondo dolore. Un sistema ormai moribondo e proprio per questo più pericoloso, per il colpo di coda, la reazione disperata e imprevista di chi è erroneamente considerato già sconfitto o inoffensivo.
Ma a ventidue anni, nel pieno di una relazione ormai scaduta nel grave malessere, non si pensa al patriarcato, non si ragiona di massimi sistemi: l’altro che, incapace di affetti, tenta di esercitare un potere – perché il possesso, è evidente, è pretesa di legame senza affetto – appare così debole da indurre al senso di colpa dell’abbandono. E nel messaggio vocale di Giulia l’abbandono, la sparizione, evoca l’horror vacui della morte interiore, che in psichiatria chiamiamo anaffettvità. E’ in questa condizione che maturano i femminicidi più efferati, e più sconvolgenti perché imprevisti: Giulia temeva il crollo, il suicidio di Filippo, non vedeva oltre l’impotenza la violenza, non sentiva su di sé il pericolo mortale. Forse a momenti aveva avuto paura, ma le mancava la conoscenza.
Hanno ragione i magistrati quando dicono che ogni donna che abbia subito un rapporto di possesso deve temere perla sua incolumità nella separazione. Ma bisogna che si sappia il perché: è la pulsione d’annullamento che nel distacco fa sparire anche l’immagine di quello che era stato: un anno di vita insieme, magari con qualche momento, almeno all’inizio, di speranza in una gioia di vivere. Quando la memoria del rapporto vissuto sparisce totalmente, esplode la violenza che sta sotto all’anaffettività.
E’ vero, ai nostri figli abbiamo consegnato un mondo senza affetti, senza la conoscenza degli affetti. L’amore è ancora considerato impossibile, l’essere umano violento per natura, la diversità tra donne e uomini copre di una coltre di violenta ignoranza la verità dell’uguaglianza di tutti gli esseri umani per nascita. Tante donne costruiscono lo loro identità, sono brave, forti, benché non sia ancora finito per tutte il tempo in cui avevamo bisogno degli uomini per la sopravvivenza perché veniva negata violentemente la nostra intelligenza diversa. Ma sta finendo, il patriarcato non vuole dissolversi, ma accadrà, e non vogliamo più pagare un prezzo così alto di vite umane, di donne e bambini: non dimentichiamo mai che troppo spesso alla violenza e perfino ai femminicidi assistono e non sempre sopravvivono i figli.
Allora se vogliamo fare prevenzione, dobbiamo cominciare ad occuparci di realtà mentale non cosciente: andiamo alle manifestazioni, urliamo per la nostra libertà, ma non chiamiamo sano quello che è così malato da portare la morte. L’uomo violento è figlio di un ideologia violenta, questo è innegabile, ma innegabile è pure che la gelida lucidità che arma la mano di questi assassini e li spinge a portare a termine l’orrendo crimine con una capacità di intendere e volere che spesso rivendicano anche dal carcere a vita, è disumana. Filippo Turetta, Vincenzo Paduano che ha ucciso Sara Di Pietrantonio, 22 anni anche lei, confondono e trascinano nel senso di colpa perché non sono mostri, sono “bravi ragazzi” la cui normalità nasconde un mondo interno distrutto dall’anaffettività che questa società vuole ancora considerare sana.
Torniamo più numerosi che mai a lottare per un nuovo ordine d’amore, con la forza di un pensiero nuovo.
L’autrice: Barbara Pelletti è psichiatra e psicoterapeuta. E’ presidente dell’associazione Cassandra onlus