Lo so…il titolo è forte, ma volutamente forte, provocatorio. Riguarda la reazione sana umana a certi fatti di cronaca che non si possono assolutamente accettare e che non possono solo provocarci emozioni di sgomento e tristezza.
Si deve reagire! Reagire bene, senza farsi sopraffare dalla rabbia che acceca. E questa volta, dopo la morte ingiusta e violenta di Giulia (l’ennesima purtroppo) per opera di un uomo, il suo ex ragazzo, siamo tutti molto tristi, amareggiati ma anche molto incazzati!
Ma l’incazzatura è per quello che sentiamo ogni giorno in televisione e leggiamo sui giornali. I media non fanno altro che ingarbugliare una matassa di nozioni non chiare sulla realtà umana e sicuramente molto confondenti; informazioni date senza alcun fondamento scientifico, molto pericolose perché fanno aumentare nelle persone una angoscia profonda, come se in tutti noi ci potesse essere il pericolo di diventare degli assassini.
I media continuano a definire i delitti contro le donne come “delitto passionale”, “raptus”. Tutti increduli sì, ma pronti a dire sempre le stesse cose orribili dell’uomo “naturalmente violento” che perde il controllo, che ha gli istinti irrazionali animali e che se non riesce più a controllarli con la ragione può diventare pericoloso.
Insomma una cultura dominante agghiacciante che non prende assolutamente in considerazione l’unica vera possibilità di comprensione di questi fatti, ovvero riconoscere la presenza di una grave malattia mentale. E attenzione perché ora si apre un altro problema, perché tanti non vogliono proprio sentire parlare di malattia mentale perché altrimenti è giustificare l’assassino. E no! Qui si deve parlare di malattia mentale , altrimenti non si capirà mai quale dinamica latente porta un ragazzo di 22 anni, apparentemente “normale”, solo un po’ taciturno, a rapire la sua ex ragazza, riempirla di calci e di coltellate e quindi, ad ucciderla.
Tutti gli esseri umani alla nascita sono sani mentalmente. E se riconosciamo una sanità di base alla nascita, possiamo parlare anche di malattia che può insorgere successivamente e che ha una sua causa (eziopatogenesi come nelle malattie del corpo). E allora possiamo anche pensare di curarla questa malattia mentale, magari anche poter fare prevenzione. Tutto questo lo troviamo nella “Teoria della nascita” dello psichiatra Massimo Fagioli che è prassi ormai da quasi 60 anni, e che ha scoperto e teorizzato la naturale fisiologia della nascita e dello sviluppo psichico dell’uomo, partendo dal concetto di “sanità”. Per decenni si è occupato di realtà non cosciente (inconscio) degli esseri umani, dove c’è quella irrazionalità che non è vista come animalità ma come verità dell’uomo, fatta di affettività, interesse per gli altri essere umani, creatività, intuizione e sensibilità.
Ed è sempre in questa realtà non cosciente che si devono ricercare i segni della malattia mentale che, quando presente determina, nel malato di mente, un annullamento/perdita della propria affettività e conseguentemente gli altri esseri umani diventano solo corpi che si muovono ed eventualmente percepiti come pericolosi e aggressivi. Disse Fagioli in un intervista su left nel luglio del 2010, dal titolo “Uomini che uccidono le donne”, la donna diventa la cattiva, la madre persecutrice. Quella che effettivamente può essere stata quando era bambino, magari una madre anaffettiva. E poi focalizza l’attenzione sulla possibilità di cogliere prima i segnali di qualcosa che non va nell’altro, ritrovando quella sensibilità che fa vedere oltre il buon comportamento.
In effetti, il comportamento e il linguaggio articolato non ci dicono nulla sulla realtà interna delle persone e, quindi, sulla presenza/assenza della sanità mentale, in quanto entrambi possono essere ineccepibili e normali. È in questa realtà non cosciente che va ricercato quel pensiero che eventualmente si è ammalato e che fa diventare le persone anaffettive, lucide, violente, malate.
La cultura dominante, anche in ambito psichiatrico, si interessa principalmente di definire il comportamento del paziente, di esplorare i suoi pensieri coscienti, al massimo può descrivere quale personale sensazione gli ha suscitato il paziente durante il colloquio. In contesti istituzionali allo psichiatra viene chiesto di esplorare ciò che emerge dall’osservazione del comportamento e del linguaggio articolato. Ma non sempre da questa valutazione emergono sintomi importanti; solo quando la malattia è ormai manifesta ci possono essere delle alterazioni importanti che si vedono anche nel comportamento o verbalizzate dal paziente. Ma per definizione, chi è affetto da una grave patologia psichiatrica, molto spesso non ne è consapevole e, quindi, è molto difficile che chieda aiuto.
E quindi, ecco, che i bravi ragazzi, la brava persona, il bravo vicino di casa si trasformano all’improvviso in un omicida violento. Ma non è così, e soprattutto non è all’improvviso. È solo all’improvviso che una malattia latente, nascosta, diventa manifesta.
E allora ecco le domande legittime che è giusto farsi: si può capire da qualche segnale che c’è una malattia così grave? Si possono prevenire queste tragedie? Ci si può curare? La risposta a tutte le domande intanto è: Sì.
Poi sicuramente la questione è molto più complessa e articolata, perché tante cose andrebbero cambiate, la prima fra tutte è proprio la cultura. E le tematiche non sono solo il “patriarcato”, “la violenza sulle donne”, ma soprattutto l’idea della malattia mentale come malattia organica e incurabile; o peggio ancora negare la presenza della malattia mentale stessa, facendola passare come un disturbo più o meno presente in tutti gli esseri umani.
l’autrice Donatella De Lisi è psichiatra e psicoterapeuta
In apertura Manifestazione di Non una di meno a Bologna, foto di
Giovanna Dell’Acqua. il 25 novembre le manifestazioni si tengono a Roma (dalle 14,30) e a Messina