Una marea di persone è scesa in piazza il 25 novembre scorso a Roma e in altre città per dire no alla violenza contro le donne. Rimettere al centro l’affettività: è ciò che chiedono alla società degli adulti migliaia di giovani donne e uomini. Non rimaniamo sordi a questo richiamo
Le ragazze ed i ragazzi di molte scuole superiori ed università italiane, in risposta alla disposizione del ministro dell’Istruzione e del merito Valditara di osservare un minuto di silenzio per le vittime di femminicidio ed in particolare per Giulia Cecchettin, hanno invece fatto più di un minuto di rumore, con ogni mezzo. La rappresentante degli studenti universitari di Padova, Emma Ruzzon, in un recente talk televisivo ha detto che il silenzio rappresenta la rassegnazione; il reagire, la lotta, invece fanno rumore. Noi concordiamo con lei e vorremmo continuare a fare rumore; un rumore come quello che fa un pensiero sulle donne diverso da quello dominante, che ancora uccide. Proviamo a mettere qualche dato in fila. Una indagine Istat di questo anno sugli stereotipi di genere, i cui dati ancora provvisori sono stati presentati il 22 novembre al convegno La prevenzione della violenza contro le donne. Stereotipi, big data e strumenti per la valutazione del rischio, a Roma, mette in evidenza come tra i giovani tra i 18 e i 29 anni venga considerato normale ed accettabile il controllo della fidanzata tramite cellulare e sui social (16% dei maschi rispetto al 10% della popolazione generale); come ancora il 9% della popolazione ritenga normale uno schiaffo nella vita di coppia; come il 48% degli uomini sia convinto che se una donna vuole evitare un rapporto sessuale ci riesce sempre (contro il 30% delle donne intervistate), dando un segnale allarmante di colpevolizzazione delle donne in caso di stupro. Per alcuni aspetti, ci viene detto, i dati sono migliorati rispetto alla precedente inchiesta del 2018, ma è evidente quanto lavoro ci sia da fare, anche tra i giovani, perché cambino radicalmente la mentalità ed i comportamenti. Le radici profonde della violenza contro donne e ragazze, ma anche bambine e bambini, vanno conosciute per eliminarla. Molto spesso su Left ne abbiamo parlato da diversi punti di vista e qui ne riparla Maria Gabriella Gatti.

Questo articolo è riservato agli abbonati

Per continuare la lettura dell'articolo abbonati alla rivista
Se sei già abbonato effettua il login