Per chi crede ancora nella democrazia è desolante il vuoto pneumatico della conferenza stampa in cui la presidente del Consiglio in sostanza non ha detto niente sulle questioni che toccano la vita dei cittadini – lavoro, sanità, scuola, crisi dell’Ilva ecc- complici i colleghi presenti che si sono prestati alla recita, con domande pre incartate. Nessun contraddittorio. Una sceneggiata a favore di telecamere, con i giornalisti sorteggiati che si sono prestati a far le comparse del presepe.
Nulla o quasi è stato detto riguardo alla realtà del Paese dove, anche grazie al no del governo al salario minimo e alla cancellazione del reddito di cittadinanza, cresce la povertà, dilaga il lavoro povero, lo sfruttamento, la disoccupazione, l’assenza di prospettiva per i giovani (a questo proposito Meloni ha fatto solo un accenno a non meglio precisate pensioni garanzia). Temi che sono stati invece affrontati nel discorso di fine anno dal presidente Mattarella che ha parlato della mancanza di futuro con cui si trovano a combattere i giovani e dell’importanza di sostenere il loro diritto allo studio (cosa ben diversa dalla scuola di “avviamento al lavoro” a cui lavora il governo, che ha già ridotto a quattro anni i corsi agli istituti tecnici).
Nonostante la retorica meloniana sulle donne che non devono rinunciare a maternità e lavoro (portando ad esempio Von Der Leyen e Metsola, che hanno rispettivamente 6 e 4 figli!), l’Italia è il fanalino di coda in Europa per l’occupazione femminile. E, come se non bastasse, il governo restringe l’accesso a Opzione donna e Ape sociale.
Nessuna risposta è venuta dalla presidente del Consiglio neanche riguardo agli scandali che coinvolgono esponenti di fratelli d’Italia e della Lega. Meloni, fa quadrato, intorno ai suoi, come da tradizione del Msi. I panni sporchi semmai si lavano in casa. Nulla sul ministro Salvini, che a detta della presidente del Consiglio, non deve riferire riguardo allo scandalo Verdini, anche se vi è coinvolta una partecipata pubblica, l’Anas, essendo lui ministro dei trasporti. Poco o nulla ha detto poi sul deputato di fratelli d’Italia Pozzolo, che per millanteria, per culto delle armi, ha rischiato che accadesse il peggio alla festa del sottosegretario Delmastro dove erano presenti anche bambini. Meloni dice che sarà deferito ai probi viri di fratelli d’Italia, quasi fosse un fatto privato, quando invece stiamo parlando di un deputato della repubblica, che ha invocato l’immunità parlamentare e dunque di un grave caso politico.
Potremmo proseguire a lungo con il fact checking del discorso di Meloni che ha inanellato molte falsità. Una delle più palesi riguarda quella che lei chiama «La madre di tutte le riforme», ovvero il premierato. La figura del presidente della Repubblica e le sue prerogative non sono toccate dalla riforma, ha detto Meloni. Ma basta leggere il succinto articolato della proposta per capire che le cose non stanno così. La pasticciata e pericolosa riforma presentata da Casellati modifica articoli della Costituzione che regolano i poteri del presidente della Repubblica, il quale non nominerà più il presidente del Consiglio, non potrà sciogliere una sola delle camere e non nominerà più i senatori a vita (poiché non ne saranno più nominati di nuovi). E questo solo per cominciare. Chi volesse approfondire può leggere gli autorevoli giuristi, costituzionalisti che ne scrivono su Left.
Per il resto nessuna visione, solo il solito riferimento al piano Mattei per l’Africa che sta diventando una sorta di araba fenice e la minaccia di tagliare la spesa pubblica per non innalzare ulteriormente le tasse, mentre si intende procedere con il piano da 20 miliardi di privatizzazioni per fare cassa, a tutto vantaggio dei privati. Più in generale niente di concreto sull’economia, niente sulle politiche industriali per creare posti di lavoro, niente nemmeno sui rincari bollette dovuti alla fine del mercato tutelato.
La distanza lunare dalla realtà della conferenza stampa di Meloni, fa apparire il discorso di fine anno di Mattarella (pur per tanti motivi distante da noi) concretissimo e di altissimo profilo istituzionale.
Nel 75esimo della storia della Repubblica italiana il suo è stato un discorso attento alle questioni di giustizia sociale e proprio per questo eminentemente politico, richiamando i valori che innervano la Costituzione calandoli nella realtà quotidiana. Mattarella ha parlato di uguaglianza, di solidarietà, di pace, di libertà, di partecipazione richiamando l’articolo 3 della Carta là dove si dice che la Repubblica è chiamata a rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo della persona. In un momento in cui in Medio Oriente il conflitto rischia di allargarsi e mentre più di ventimila civili palestinesi hanno perso la vita Mattarella ha parlato di pace non come atarassia, come neutralità, come indifferenza, ma come rifiuto attivo della violenza , che produce solo odio e nuova violenza.
Parlare di pace, ha detto, «non è astratto buonismo ma un esercizio di realismo, se si vuole trovare una via d’uscita a una crisi che può essere devastante per il futuro dell’umanità». La parola pace, (parola proibita nel dibattito pubblico italiano), ricorre 9 volte nel suo discorso in cui condanna l’invasione russa dell’ucraina, l’attacco terroristico di Hamas ai civili israeliani ma anche la vendetta del governo israeliano sui civili di Gaza. Anche se a questo proposito – ed è stato il passaggio più deludente del suo discorso – ci saremmo aspettati da lui parole più nette e forti di condanna degli indiscriminati attacchi israeliani alla popolazione palestinese. Meloni su questo è stata altrettanto generica, mentre ha ribadito con forza la necessità di continuare ad armare l’Ucraina. La parola pace ricorre solo una volta nella sua fluviale conferenza durante la quale ha insistito sulla “soluzione” armata del conflitto russo-ucraino. Su questo tema della armi la distanza fra Meloni e Mattarella è nettissima. Il presidente della repubblica ha parlato dell’urgente necessità di opporsi alla diffusione delle armi. E per tutta risposta Pozzolo di Fratelli d’Italia ha fatto un capodanno col botto. Mattarella ha parlato di cultura di pace e di non violenza. E alcuni esponenti di fratelli d’Italia propongono di dare armi da caccia ai sedicenni.
Particolarmente importante è stato il passaggio in cui Mattarella ha parlato di disumanità della guerra individuandone le cause nella deumanizzazione dell’altro. «La guerra – ha detto – nasce dal rifiuto di riconoscersi tra persone e popoli come uguali. Dotati di pari dignità. Per affermare, con il pretesto dell’interesse nazionale un principio di disuguaglianza. Per sottomettere e sfruttare». Parole molto distanti da quelle dei nuovi cantori del nazionalismo, parola chiave per la presidente del Consiglio che vorrebbe un’Europa delle piccole patrie e che in conferenza ha ribadito di essere orgogliosamente leader dei conservatori aggiungendo di guardare con interesse a come sis ta muovendo Marine Le Pen, sodale di Salvini. Ma non voleva Meloni, aspirando a un ruolo di statista, farsi interprete di una nuova destra liberale e conservatrice, lasciando gli ormeggi sovranisti?
E ancora: Mentre la premier tocca solo en passant il tema del contrasto alla violenza contro le donne, il presidente Mattarella ne ha fatto il cuore del suo discorso del 31 dicembre, andando in profondità, interrogandosi su quali siano le cause della violenza. Per costruire una cultura della pace, ha detto, non basta far tacere le armi, che inusitatamente dilagano sulla spinta di grandi interessi economici.
«La guerra non nasce da sola», non è una fatalità, ma nasce da un pensiero violento che nega l’umanità dell’altro, ha lasciato intendere. Ed è questa a mio avviso la parte più importante o originale del suo intervento di fine anno. Con parole apparentemente semplici Mattarella ha toccato corde importanti parlando di rifiuto della violenza visibile – quella della guerra, dei femminicidi – ma anche di quella invisibile che si manifesta nella negazione diritti umani dei migranti, che porta a pensare la donna (parola citata 6volte) come essere inferiore, come un oggetto, da possedere. A questo proposito, rivolgendosi ai giovani, ha detto «l’amore non è egoismo, possesso, dominio, malinteso orgoglio. L’amore – quello vero – è ben più che rispetto: è dono, gratuità, sensibilità». E in queste parole c’è implicito un suo pensiero sul crudele femminicidio di Giulia Cecchettin, ma non solo, il riferimento è anche ai numerosi episodi di violenza (quella «più odiosa è sulle donne») che continuano ogni giorno. Il 2024 si è aperto con l’uccisione di Rosa d’Ascenzo massacrata a colpi di padella dal marito in provincia di Roma ed è proseguitp drammaticamente con il duplice femminicidio di Naro.
Il discorso di Mattarella è stato definito ecumenico, apprezzato da destra e da sinistra, ma a leggere neanche tanto fra le righe emerge una visione politica, certo da moderato e democratico cristiano, ma molto distante da quella del governo. Certamente è stato un discorso equilibrato e super partes, non ha fatto nessun accenno al Mes, al patto di stabilità alla finanziaria, niente sul premierato (anche perché sarebbe sembrata una auto difesa) ma ha preso una posizione ben chiara sul tema del diritto al lavoro, per salari dignitosi, parlando di lotta alla precarietà, della piaga del lavoro povero, dello sfruttamento, della mancanza di sicurezza. Ha parlato di diritto alle cure, di liste di attesa e di sanità pubblica su il governo Meloni non ha detto una parola e non investe. Così come è apparso molto distante da chi dice che le tasse sono un pizzo di Stato quando ha parlato di lotta all’evasione fiscale e delle tasse come partecipazione attiva alla vita della Repubblica.
Rivolgendosi alla società civile italiana, che l’indagine del Censis descrive come affetta da sonnambulismo, il presidente della Repubblica ha dato la sveglia con un appassionato appello al voto e alla libertà come partecipazione (per dirla con Gaber).
Nel 2024 si terranno le elezioni europee per le quali si vota con la legge proporzionale, un’occasione da non perdere (stando bene attenti che strumenti di «intelligenza artificiale o di potere non pretendano di orientare il pubblico sentimento»). E già il 16 gennaio comincia l’iter dell’autonomia differenziata voluta da Calderoli che rischia di spaccare l’Italia e di porre fine ai diritti universali sanciti dalla Carta. Pur senza citare mai l’autonomia regionale, non è parso un caso che in più passaggi Mattarella abbia ripetuto la parola «unità», riferendosi all’unità della Repubblica, una e indivisibile, mentre avanzano pulsioni secessioniste. Ma anche unità come coesione sociale, messa a rischio dalle crescenti disuguaglianze e da ultimo «Unità come Stato d’animo, atteggiamento che accomuna perché ci si riconosce nei valori fondanti della nostra civiltà: solidarietà, libertà, uguaglianza, giustizia, pace», alludendo a un’identità italiana che è in primis culturale, che non è un’identità di sangue da difendere innalzando muri, ma si basa sulla condivisione dei valori costituzionali. Banalmente che cosa ne sarebbe di tutto questo se con la riforma costituzionale per il premierato perdessimo il ruolo di garanzia del presidente della Repubblica, mentre il Parlamento rischia di essere sempre più marginalizzato a tutto favore del premier e dell’esecutivo?