Era la notte dell’8 gennaio 1993 in via Marconi a Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina: dentro la sua Renault 9 amaranto giace il corpo di Beppe Alfano, cronista locale, colpito da tre proiettili calibro 22. Lunghe e “paludose” le indagini che seguono alla sua morte, così come il processo che riesce a condannare soltanto un boss locale, Giuseppe Gullotti, all’ergastolo per aver organizzato l’omicidio: nebbia fitta invece sui veri mandanti e le circostanze che provocarono l’ordine di morte nei suoi confronti.
Uomini d’affari, mafiosi latitanti, amministratori locali e massoneria furono sempre al centro delle inchieste giornalistiche di Alfano. Beppe, come pochi da quelle parti e in quegli anni (v. Ossigeno per l’informazione ndr), ebbe la capacità ed il coraggio di raccontare le lotte fra le cosche mafiose locali. Barcellona non era e non è ancora oggi, nella storia criminale della nostra regione, un posto qualunque, ma un luogo chiave degli intrecci fra mafia, massoneria deviata, servizi segreti e forze eversive.
«Quello di mio padre è un delitto chiave per capire gli intrecci tra mafia ed istituzioni in quegli anni» – dice Sonia Alfano, figlia di Beppe, che dal padre ha senza dubbio ereditato coraggio e caparbietà.
Sono affermazioni forti quelle di una figlia che da sempre è molto impegnata nel preservare la memoria del padre e i diritti delle vittime della mafia, oltre che nel condurre un’intensa attività informativa relativamente alla criminalità organizzata. Sonia Alfano dal 2009 al 2014 è stata eurodeputata. Nell’assemblea di Strasburgo ha ricoperto diversi ruoli, fra cui quello di Presidente della commissione speciale sulla criminalità organizzata, la corruzione e il riciclaggio di denaro. (Sonia Alfano ha raccontato la sua battaglia nel libro La zona d’ombra, Rizzoli, 2011 ndr)
Partiamo da una foto: quella che ritrae il corpo di suo padre nella sua auto colpito dai proiettili mafiosi, una foto che ha odiato per 31 lunghi anni… ed ora?
Ho odiato quella foto perchè mi è stata sbattuta in faccia, attraverso i canali televisivi nazionali, praticamente nelle primissime ore dopo l’omicidio di mio padre: avevo 21 anni e quella foto, agli occhi di una figlia, significava dolore, soltanto profondo dolore. Mi sono fatta mille domande ogni volta che la guardavo: “Avrà sofferto? Avrà capito e provato paura?”. Domande che mi laceravano il cuore. Oggi però, dopo una sorta di lunghissima elaborazione, in quella foto non vedo più soltanto un corpo martoriato e offeso dalla violenza mafiosa ma riesco a scorgere il mio papà, con tutta la tenerezza di una figlia: è come se fosse l’ultimo momento di un percorso di consapevolezza ed autoanalisi che adesso posso archiviare e guardare con occhi diversi. Oggi per me quella fotografia è forza ed è coraggio!
Quanto è distante la verità, dunque la giustizia, sulla morte di suo padre?
Oggi la verità non è molto distante, sembra un paradosso ma non lo è, molto distante purtroppo è la volontà di arrivare a questa verità. I tasselli per ricomporre il puzzle ci sono tutti, manca la decisione di ricomporre il tutto. Ma il tutto è chiaro anche grazie ai numerosissimi elementi ed alle prove che nel corso degli anni io ed il mio legale abbiamo fornito alle varie Procure interessate: abbiamo fornito nomi, anche di un certo calibro, e circostanze, tutti elementi dinanzi ai quali i magistrati non hanno ritenuto di procedere. Quando nel 2012 il Procuratore capo della Dda a Palermo era il dottor Lo Forte, fui io a portare in Procura il numero della matricola della calibro 22 che sparò su mio padre, tra lo stupore di tutti, ma io avevo fatto semplicemente quello che altri non avevano fatto, cioè indagare. Anche in quel caso portai tantissimi elementi utili alle indagini ma ai quali nessuno degli inquirenti diede seguito, inspiegabilmente.
Un altro episodio che suscita interrogativi è quello che intreccia l’agenda di appunti del Generale dei Ros Mario Mori all’omicidio di suo padre.
Nel 2012/13 si celebrava a Palermo il processo contro il generale dei carabinieri Mori ed il Colonnello Mauro Obinu per favoreggiamento aggravato alla mafia per la mancata cattura di Bernardo Provenzano: Pubblici ministeri erano Ingroia e Di Matteo. Io seguivo con attenzione tutte le udienze di quel processo perchè sapevo che sarebbero state le basi per il processo sulla Trattativa Stato-Mafia nel quale io mi sarei poi costituita parte civile. Durante l’esame in aula dell’agenda personale di Mori, emerse ad un certo punto il fatto che nella pagina del 27 febbraio 1993, il generale Mori, di suo pugno, aveva annotato che si era svolta una riunione a Roma nelle sede del Ros, tra Olindo Canali (allora sostituto procuratore a Barcellona), lo stesso Mori ed altri ufficiali dei Ros di Messina per discutere dell’omicidio del giornalista di Barcellona. Io ho sempre dichiarato che da quell’agenda stessimo avendo una conferma eclatante e cioè che lo “stato maggiore” delle attività investigative dell’epoca si stava interessando al caso: nessuno però ha mai chiesto, né a Mori né a chi vi partecipò, di riferire sul contenuto quella riunione, se ci fosse un verbale o meno… nulla. Ufficialmente non esiste niente, nelle attività di indagini neanche, va bene, ma allora qualche domanda andrebbe fatta a quegli alti ufficiali e al magistrato.
Ancora tanti, troppi, buchi neri?
In tante occasioni ho visto appartenenti alla magistratura prodigarsi, come è giusto che sia, per il raggiungimento della verità, e di farlo anche al di fuori delle aule di tribunale nel tentativo di animare il dibattito e scuotere le coscienze… tutto giusto, è così che andrebbe fatto. Su Beppe Alfano però c’è il vuoto: sembra che mio padre metta tutti insieme nel fare silenzio. So bene, continuo a ripeterlo, che quello è un delitto che ha tirato i fili dell’alta tensione, ha toccato le connivenze tra Stato e mafia, le coperture nei confronti della stessa mafia barcellonese, ma anche catanese perchè non dimentichiamo che nelle stesse ore in cui veniva ucciso mio padre, Nitto Santapaola, boss indiscusso della mafia catanese, andava al casello autostradale di Barcellona ad incontrare Aldo Ercolano ed il suo clan. Già mesi prima dell’assassinio è confermata la presenza di Santapaola a Barcellona, nella stessa strada in cui abitavamo noi, a qualche centinaio di metri di distanza. Mio padre era scomodo, era un cronista troppo ingombrante e lo era ogni volta che andava in procura a raccontare quello di cui veniva a conoscenza nella sua attività giornalistica, lo faceva per stimolare l’attività di quella “giovane” procura nata qualche giorno dopo le stragi del ’92. Era un problema anche quando scriveva sul suo giornale ed i suoi pezzi venivano di fatto censurati. Era scomodo e continua ad esserlo!
Ha detto di essere pronta a riprendere la battaglia, ma con quale spirito?
Sa, molti in questi anni hanno spesso dimenticato che dietro tutto questo c’è il dolore di una figlia per la morte del proprio padre: questa è una cosa che ha generato spesso fraintendimenti ed equivoci sulla mia persona, ho suscitato, senza vie di mezzo, o grande simpatia o pesante antipatia. La mia rabbia nasce quell’8 gennaio del ’93, da tutto il dolore di una ragazza di 21 anni che deve “gestire” una cosa enorme come la perdita del padre in quel modo. Ancora oggi provo rabbia e piango mio padre, ma lo faccio con un sentimento ed uno spirito diversi: se in passato sono stata un problema per il crimine organizzato barcellonese, adesso potrei iniziare ad esserlo anche per altri ambienti. Sono determinata e lucida, ma soprattutto cosciente del fatto che le battaglie, quelle vere, spesso si portano avanti in solitudine, ed io questo lo farò, lo devo a mio padre e a me stessa.
L’autore: Alberto Castiglione è documentarista e giornalista d’inchiesta
Il convegno
Oggi, 8 gennaio (a partire dalle 16.30), a Barcellona Pozzo di Gotto si tiene il convegno “La mafia barcellonese a trentuno anni dall’omicidio di Beppe Alfano: La lotta per la verità sul delitto e sui depistaggi, continua!”. Insieme a Sonia Alfano intervengono parlamentari, avvocati e giornalisti
Nella foto: Beppe Alfano (dal profilo facebook di Sonia Alfano)