«Non è vero che i giovani oggi si disinteressino della vita pubblica. Vedo tante e tanti coetanei e anche molto più giovani di me, impegnarsi sui diritti civili o per la difesa dell’ambiente», dice la giornalista di Servizio pubblico e candidata della lista Pace, Terra e Dignità alle Europee 2024

Benedetta Sabene è una giovane impegnata da anni nell’analisi del conflitto fra Russia e Ucraina. Laureata in Scienze politiche e Relazioni internazionali, segue il conflitto ucraino dal 2017 e su questo tema ha già pubblicato, per Meltemi, il saggio Ucraina. Controstoria del conflitto. Lavora con Michele Santoro sul web media Servizio Pubblico e ha accettato di candidarsi con lui nella lista “Pace, Terra e Dignità” le cui attiviste e attivisti sono in questi giorni impegnati a raccogliere almeno 75 mila firme su tutto il territorio nazionale per poter essere presente alle elezioni europee di giugno. «Ho accettato di candidarmi perché credo nel profilo di questa lista, ma il mio impegno principale resta nell’ambito dell’informazione. – racconta –. Considero la lista come un’altra piattaforma su cui portare alcuni temi che si rivolgono ad un settore più ampio dell’opinione pubblica, non più solo su un piano informativo, ma anche sul piano politico. Trovo l’invasione di un Paese e tutto ciò che ne consegue, in termini di distruzione e sofferenza dei civili, ingiustificabile. Ma non penso sia accettare tacciare di filoputinismo chiunque parli di pace. Se è pur vero che in Italia ci sono alcuni che supportano l’invasione russa e chi si riconoscono, soprattutto a destra, nel “modello russo”, mi domando però perché deve finire nello stesso calderone chi si oppone all’invio delle armi? Secondo tutti i sondaggi effettuati dall’inizio dell’invasione a oggi la maggioranza degli italiani è contraria alla strategia militare per risolvere il conflitto e vorrebbe che si intraprendessero vie diplomatiche. Questa maggioranza non trova però rappresentazione né mediatica né politica».

Informazione unilaterale e assenza di una forte proposta politica di mediazione sono simili anche, secondo Sabene, nel massacro che sta avvenendo a Gaza: Si continua giustamente a parlare  della strage di israeliani commessa da Hamas il 7 ottobre «ma non altrettanto degli oltre 32 mila morti fra i civili palestinesi a Gaza in meno di 5 mesi. Vengono usati due pesi e due misure. Servirebbe un’informazione più plurale e coraggiosa. Servirebbe soprattutto ascoltare anche le voci dei palestinesi» E poi aggiunge: «Questi conflitti sono scoppiati anche a causa dell’inazione dell’Unione europea, che in politica estera è totalmente schiacciata sulle posizioni Usa e Nato, andando contro gli stessi interessi europei: la bilancia commerciale della Germania, il motore dell’economia europea, è in negativo per la prima volta dopo decenni. Questo- ricostruisce la giornalista – perché il mercato tedesco era legato a doppio filo all’energia a basso costo proveniente dalla Russia. La guerra ha creato un aumento dell’inflazione e del prezzo dell’energia, che sta danneggiando i cittadini europei, in particolare quelli più poveri. Anche per questo è importante che l’Europa si imponga come mediatore non solo in Ucraina, ma anche nel mediterraneo orientale, in Palestina. Persino Erdogan è riuscito a far concludere alcuni accordi tra Russia e Ucraina, come quelli sul grano o sullo scambio di prigionieri. In questo modo l’Unione Europea finisce per ricoprire un ruolo di ultimo piano nelle relazioni internazionali, e in questo vuoto si inseriscono inevitabilmente terze parti. Questi conflitti poi non sono nati da un giorno all’altro: si poteva e doveva intervenire prima e in modo radicale per evitare a tutti i costi un’escalation e garantire la stabilità del continente europeo». Riguardo l’impatto della guerra sulla vita quotidiana dei cittadini europei e italiani, Benedetta Sabene risponde: «La scelta della guerra come condizione di “normalità” ha soltanto accentuato quanto accade da tempo. I bisogni e le esigenze dei cittadini sono spesso all’ultimo posto. Io sono nata negli anni Novanta e la mia è la prima generazione più povera rispetto a quella che l’ha preceduta dai tempi del dopoguerra. La mia è la generazione del “lavoro povero”: lavoriamo ma fatichiamo a poterci permettere anche solo l’affitto di una stanza. Mentre l’Ue spende soldi pubblici per il riarmo e la Nato impone che il 2% del Pil venga destinato alle spese per l’alleanza, si continuano i tagli su settori strategici come sanità e scuola. Viviamo in un Paese che ha i salari fermi agli anni Novanta e, con l’aumento dell’inflazione causata anche dalla guerra, il potere d’acquisto dei lavoratori è in costante diminuzione. Questo è indipendente dalle politiche di guerra, che hanno però acuito queste dinamiche». Sabene è espressione di quella generazione che si affaccia alla politica e rompe, almeno in parte, la vulgata che vuole chi è giovane distante dall’impegno. Tesi che lei respinge al mittente: «Secondo me è nell’interesse primario di ogni cittadina e cittadino interessarsi a quanto accade nel Paese e nel contesto internazionale. Come lo è essere informati. Poi ognuno di noi trova un modo diverso per agire nella maniera che gli risulta più consona. La candidatura è un esempio, ma va di pari passo a qualsiasi forma di partecipazione alla vita pubblica, in un collettivo, in un’associazione, nelle mobilitazioni. Ognuna di queste forme di attivismo è importante. Io oggi vedo tante e tanti coetanei, anche molto più giovani di me, impegnarsi sui diritti civili o per la difesa dell’ambiente. E quindi smentisco i pregiudizi noi giovani disinteressato alla vita pubblica, anzi. Vedo tante ragazze e ragazzi molto più consapevoli su alcuni temi, come la violenza di genere, i diritti civili, la tutela ambientale, rispetto alle generazioni più grandi. Il problema è che spesso la politica ci allontana dalla partecipazione».