L’accordo al Consiglio d’Europa sulle tutele degli operatori delle piattaforme digitali prevede alcuni standard minimi. Ma per garantire i diritti a un numero crescente di addetti - 40 milioni nel 2025 - occorre una più forte integrazione europea per evitare squilibri tra gli Stati
L'accordo sul trattamento dei lavoratori delle piattaforme digitali raggiunto l’11 marzo dal Consiglio d’Europa dei ministri del Lavoro e degli affari sociali squaderna sotto i nostri occhi tre interrogativi estremamente concreti. Primo, il futuro immediato del lavoro stesso; secondo, quanto sia urgente una reale e ben più robusta integrazione europea; terzo, quanto, di fronte all’evoluzione tecnologica dei rapporti di lavoro, sia adeguato alla realtà circostanze il sistema della contrattazione. In primo luogo, di cosa si parla quando si tratta l’argomento del lavoro nelle piattaforme digitali, ossia, quella che si chiama anche Gig economy? Nella vulgata più comune, il pensiero corre subito ai cosiddetti “ciclofattorini” che consegnano cibo a domicilio. Si tratta di una visione abbastanza riduttiva della realtà di questo settore. Certamente, il rider è estremamente visibile e, perciò, capace di attirare l’attenzione su di sé. Una figura che è diventata emblematica di questa forma di relazione di lavoro. Ma la realtà è assai più articolata. Perciò, cominciamo a definire questo aggregato di lavoratori nelle sue realtà, dimensione, composizione. L’Unione calcola che, nel 2022, la forza lavoro delle piattaforme digitali fosse costituita da oltre 28 milioni di persone, molto vicina a quella dell’industria manifatturiera che ammonta - sempre riferendoci al 2022 - a 29 milioni di attivi. Una coorte che si calcola destinata a crescere esponenzialmente per raggiungere i 43 milioni di operatori nel 2025. Il reddito proveniente dal lavoro per piattaforme digitali è così suddiviso: 39% autisti di servizi assimilati ai taxi per esempio, l’App Uber; 24% consegne di cibo, traslochi, trasporti e spesa a domicilio; 19% servizi domestici; 7% servizi professionali come la contabilità; 6% attività freelance di graphic design e photo editing; 3% assistenza a domicilio all’infanzia e per la salute; 2% altri “micro compiti”. Una varietà di funzioni, perciò, ben più ampia di quanto si possa immaginare di primo acchito.

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