«Il governo Meloni mette a rischio la sicurezza di tutte le donne», dice la ex ministra dell'Uguaglianza e candidata di Podemos alle elezioni europee a proposito dell'emendamento della destra che apre ancora di più le porte dei consultori agli anti-abortisti

«Il Governo Meloni mette a rischio la sicurezza di tutte le donne. Sempre educazione sessuale per decidere, anticoncezionali per non abortire e aborto sicuro per non morire» (El Gobierno de Meloni pone en riesgo la seguridad de todas las mujeres. Siempre educación sexual para decidir, anticonceptivos para no abortar y aborto seguro para no morir).

Irene Montero, ex ministra spagnola dell’Uguaglianza e attuale candidata di Podemos alle elezioni europee del 9 giugno, così si è espressa dopo l’approvazione da parte del Parlamento italiano di una norma che attaccherebbe la possibilità delle donne in Italia di abortire.

Eppure, un anno e mezzo fa, a pochissimi giorni dalle elezioni politiche del 25 settembre 2022, Meloni sembrava aver messo fine alla polemica sul presunto attacco alla legge 194 del 1978, che regola l’interruzione volontaria di gravidanza:
«Non intendo abolire la Legge 194, non intendo modificare la Legge 194. La legge sull’aborto rimane con Fratelli d’Italia esattamente com’è».
(Dichiarazione ripetuta quasi identica più e più volte, sia su radio – Rtl 102.5 – che su Tv nazionali – La7, Rai3).

E, in effetti, il primo punto del programma elettorale del partito di Meloni, quello su famiglia e natalità, a proposito dell’aborto proponeva «la piena applicazione della legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, a partire dalla prevenzione».

Che succede quindi in Italia? Ha preso un abbaglio Irene Montero o, al contrario, dietro la cortina fumogena delle dichiarazioni di Meloni e dei/delle dirigenti dell’ultradestra si nasconde un reale attacco alla possibilità delle donne di decidere?

Venerdì 12 aprile la Commissione Bilancio della Camera dei Deputati approva un emendamento al disegno di legge per la conversione del decreto “Pnrr-quater”, che prevede misure per l’attuazione del Pnrr, ovvero il Piano italiano per l’utilizzo dei fondi del Next generation Eu.
Il testo dell’emendamento dispone che nell’organizzazione dei Consultori familiari – le strutture pubbliche e a libero accesso, che dovrebbero avere un ruolo cardine nell’accompagnamento di qualsiasi donna all’Interruzione volontaria di gravidanza – le Regioni «possono avvalersi anche del coinvolgimento di soggetti del Terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità».
L’emendamento è stato quindi approvato martedì 16 aprile dalla Camera e giovedì 18 aprile dal Senato. È, dunque, legge.

Nei fatti significa la possibilità che le associazioni pro-vita, cioè gruppi ultra-cattolici e anti-abortisti, potranno entrare nei Consultori pubblici ed esercitare pressioni – cioè violenza – sulle donne che sono lì per abortire.

Ad aver proposto quello che Montero definisce «una crociata contro i diritti di più della metà della popolazione» (una cruzada contra los derechos de más de la mitad de la población) è un maschio, il deputato di Fratelli d’Italia, Malagola. Che, sul proprio sito, nella parte in cui si auto-descrive come paladino della famiglia e delle politiche per la natalità, sostiene che «anche per questo ci opponiamo a chi diffonde la cultura dello scarto». A cosa si riferirà mai con “cultura dello scarto” un deputato che ha proposto una simile norma?

Eppure, l’ultradestra di governo continua a sostenere di aver semplicemente applicato ciò che è già previsto dalla legge 194/1978.
Potrà sorprendere qualcuno ma, in realtà, non dice il falso. Anzi.

L’attacco all’aborto volontario, oggi in Italia, infatti, non sta passando per l’abolizione o la modifica della 194/1978, ma attraverso la sua applicazione integrale.

Il vulnus, infatti, è nella legge stessa, che è frutto di un compromesso ormai lontano nel tempo. In un Paese cattolico come l’Italia, in cui la donna che “si procurava un aborto” era punita con una pena da 1 a 4 anni di carcere (art. 547 del codice penale), in cui l’influenza del Vaticano è sempre stata determinante, la conquista della possibilità di abortire, così come del diritto al divorzio, è stata tutt’altro che scontata.
Nel 1981 fu necessaria una vittoria referendaria (con un 80% di partecipazione elettorale e un 68% di cittadine e cittadini a proteggere la possibilità per le donne di abortire) per difendere la 194/1978 dal tentativo di eliminarla messo in campo da Vaticano, buona parte della Democrazia Cristiana e dalla destra neofascista del Movimento sociale italiano, il partito di cui è erede Giorgia Meloni.
In Parlamento il relatore contro la Legge 194 fu Pino Rauti, poi segretario del Msi nel 1990-91, e padre di Isabella, senatrice di Fratelli d’Italia e viceministra della Difesa.

Quel compromesso, avanzato per l’epoca, offre oggi le basi all’ultradestra per un nuovo e pesante attacco al diritto all’aborto.
Ad esempio, l’articolo 2 della 194/78 stabilisce che i Consultori contribuiscano «a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza». È questo l’appiglio giuridico di Malagola e dell’attuale attacco dell’ultradestra.

E, in realtà, già esistono casi in cui le associazioni anti-abortiste (dette malamente pro-vita, ma la stessa accettazione della loro auto-definizione segna una sconfitta per chi gli si oppone, perché chi mai si può opporre alla vita?) operano all’interno dei Consultori. L’esempio è quello del Piemonte, in cui la giunta di destra che guida la Regione nell’ottobre 2022 ha deciso di stanziare 400mila euro che in buona parte rischiano di finire proprio nelle tasche degli anti-abortisti, ovviamente dietro la scusa di mettere in piedi progetti che possano accompagnare le donne «in una scelta individuale consapevole» e per «percorsi di sostegno psicologico individuale e di gruppo».

L’attuale emendamento dell’ultradestra, dunque, non inventa una nuova realtà, ma contribuisce ad allargare una pratica purtroppo già esistente e, soprattutto, la finanzia coi fondi del Pnrr (Next Generation EU).

Ma non finisce qui. Perché quando a Rai3 Giorgia Meloni, sempre nel settembre 2022, quindi prima della vittoria elettorale e della sua nomina a presidente del Consiglio, affermava che «il diritto all’aborto in Italia è sempre stato garantito» mentiva sapendo di mentire.

Sempre la legge 194/78 prevede, infatti, la possibilità che i ginecologi pratichino l’obiezione di coscienza. Possono cioè rifiutarsi di praticare aborti, perché pratica contraria alla propria personale sensibilità e alle proprie credenze. Questa possibilità è diventata il cavallo di Troia per rendere di fatto inesigibile la possibilità di abortire per molte, troppe donne in Italia.

Si calcola, infatti, che 7 operatori sanitari su 10 in Italia siano obiettori di coscienza, con Regioni con una percentuale superiore al 90%. Per avere un metro di paragone, nel Regno Unito gli obiettori sono il 12% del totale, in Francia il 7%, in Svezia praticamente non esistono.
In Molise, ad esempio, una Regione di 300mila abitanti, esiste una sola struttura pubblica presso cui si può praticare l’interruzione di gravidanza. Fino al 2021 in servizio c’era un solo medico non obiettore, Michele Mariano. A maggio 2021 sarebbe dovuto andare in pensione, ma non ha potuto. Perché il bando per assumere chi avrebbe dovuto sostituirlo è andato deserto. E così ha dovuto ritardare il pensionamento, fino a quando non è arrivata una ginecologa non obiettrice (che inizialmente ha comunque dovuto affiancare).
La situazione è particolarmente grave nel Sud Italia, tanto che in un reportage di Politico Europe si diceva che «la migliore maniera di ottenere un aborto in Sicilia è prendere un aereo».

Il problema, dunque, è che un attacco al diritto all’aborto c’è, ma non passa tramite lo smantellamento della 194/78.
Si tratta di un’osservazione importante, perché implica un cambiamento di prospettiva da parte di chi lotta, invece, perché l’aborto volontario divenga un diritto e non una concessione elargita di volta in volta, magari strappata in una disperata e dolorosa corsa contro il tempo e contro i tanti ostacoli nell’accesso ai servizi pubblici dedicati. La legge attuale prevede infatti che l’obiettivo sia tutelare la vita “fin dal suo inizio”, altra espressione ambigua su cui marcia l’ultradestra.

Il cambiamento di prospettiva necessario è passare dalla lotta per la difesa della 194/78 a una battaglia per una sua profonda trasformazione.
Per conquistare posizioni più avanzate che facciano sì che del corpo delle donne non debbano disporre lo Stato o la Chiesa, né tantomeno l’ultradestra al momento al governo, ma le donne stesse.

Questo articolo di Giuliano Granato (portavoce di Pap) è pubblicato in collaborazione con Canal Red, fondato e diretto da Pablo Iglesias