Sono stati giorni in cui in tutta Italia si è parlato di storia e memoria. A Roma lo ha fatto la Festa della Resistenza, alla sua seconda edizione dal 23 al 25 aprile, che ha visto un susseguirsi incontri, lezioni, e spettacoli promossi e sostenuti dall’assessorato alla Cultura con l’Anpi e la curatela degli storici Davide Conti (qui la recensione del suo Fascisti contro la democrazia) e Michela Ponzani (qui l’intervista) dal vivo e con il suo libro Processo alla resistenza edito da Einaudi che ricostruisce i processi ai partigiani nel dopo guerra mentre i fascisti venivano assolti.
E’ stato un festival che ha visto molti appuntamenti importanti, dedicati alla letteratura e la guerra (con Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino raccontato da Marco Belpoliti), “Le donne e la Resistenza” (una lezione di Benedetta Tobagi tratta dal suo libro Einaudi La Resistenza delle donne), il racconto delle tappe della Liberazione dal nazifascismo fatto da Michela Ponzani con Corrado Augias.
In questo 25 aprile appena trascorso, e mai così contrastato da forze avverse alla libertà e alla giustizia sociale, colpisce la quantità di eventi tra la cronaca e lo spettacolo teatrale vero e proprio, una tendenza che sta crescendo con storici, giornalisti, intellettuali che hanno preso l’iniziativa come se televisione, network e la stessa carta stampata non bastassero più. Va detto che già da qualche tempo i giornalisti della redazioni cultura avevano cominciato a costruire piccoli e grandi spettacoli. Nel luglio 2023, per esempio, lo storico, studioso di ebraismo Andrea Vitello aveva scritto su Left di uno spettacolo su Gramsci messo in scena da Gad Lerner e Silvia Truzzi del Fatto quotidiano. Lerner aveva trovato tre temi liceali del grande politico e intellettuale sardo, conservati in un armadio dal partigiano Francesco Scotti, primo segretario della federazione comunista milanese e deputato all’Assemblea costituente. Su questa grande suggestione era nato lo spettacolo di Lerner e Truzzi, Il sogno di Gramsci, partendo dalle tre pagine autografe in cui il giovanissimo studente già enunciava le convinzioni che più tardi avrebbe teorizzato ampiamente nei Quaderni dal carcere. Lerner raccontava in quell’occasione di come dieci anni prima della nascita della Costituente, Gramsci parlando con i compagni reclusi, teorizzasse la necessità di unire tutte le forze antifasciste per ricostruire il Paese. E di come la Scuola fosse importante per i giovani, e la cultura per il progresso di una società. Discorsi attualissimi, che infiammano ancora il dibattito nel nostro Paese. Ma dicevamo della “contaminazione” tra giornalismo e teatro: nel 2022, all’inizio della guerra in Ucraina, Ezio Mauro e Bernard Henry Levi, al Teatro Franco Parenti di Milano, spiegavano al pubblico quelle che, secondo loro, erano le ragioni del conflitto, in un confronto che conservava i termini di una pièce teatrale.
Nel mese scorso al Teatro Miela Bonaventura di Trieste i giornalisti impegnati contro la mafia Attilio Bolzoni (voce de il Domani, autore de Il capo dei capi, Parola d’onore, Il Padrino dell’Antimafia), Giovanni Tizian (autore de Il silenzio in Italia 1992-2022), Lucio Luca (firma di Repubblica, autore de La notte dell’antimafia) hanno ricordato con uno spettacolo un collega, ucciso moralmente dalla ‘ndrangheta attraverso una rete sottile e opprimente di false accuse, che hanno poi finito per farlo morire fisicamente.
Citiamo ancora Stefano Nazzi (giornalista di cronaca nera al Post) che da poco ha messo in scena al Teatro Arcimboldi di Milano (il Tam) il suo Indagini. Ricordiamo lo stesso Roberto Saviano, uno dei primi a sperimentare la formula di cronaca teatrale, che sarà in scena a maggio con il suo Sex and Mafia, la vita intima del potere criminale. Vogliamo citare anche il teatro politico di un giornalista, ma anche scrittore e collaboratore di Left come Giulio Cavalli nel 2009 con Do ut des Mafia e potere e nel 2011 L’innocenza di Giulio (Andreotti) e oggi in giro con Falcone, Borsellino e le teste di minchia e altri spettacoli di impegno civile.
La forma è sempre quella del pamphlet, fra inchiesta e narrazione in cui realtà e racconto si uniscono per ricostruire le ragioni, per descrivere i personaggi di cui si parla, per suggerire ipotesi.
Fra i primi giornalisti a praticare questa forma è stato Marco Travaglio, direttore del Fatto quotidiano, da anni quasi sempre in scena, dopo i successi di Slurp nel 2016, un recital definito nella ottimistica presentazione, come “terapeutico” verso i danni provocati dalla peggior classe politica del mondo, è tuttora in tournée in varie città italiane, fino al 20 maggio prossimo, al Lirico Gaber di Milano, con I migliori danni della nostra vita.
Cosa unisce queste differenti esperienze? In fondo tutti i giornalisti vogliono indagare lo stesso argomento: i poteri perversi di politica, finanza e di un certo tipo di informazione che riescono a condizionare il voto degli italiani. In tutte queste cronache-spettacolo si parla del clima di restaurazione, della guerra, (le guerre) infinita, della perdita di rapporto con quella che veniva chiamata “questione morale”. Locuzione famosa che chiama in causa, quasi per associazione di idee, l’ultima fatica letteraria di un altro volto noto di La7, quello di Luca Telese. La scorta di Enrico, il libro che parla della vita del leader del Pci Enrico Berlinguer attraverso i racconti e le testimonianze degli uomini che lo hanno accompagnato nella sua lunga vita politica, a cominciare da Alberto Menichelli, il suo autista, la sua “ombra”, presente nella sua vita pubblica e privata, vicino a lui in tutti i momenti salienti della storia degli ultimi quaranta anni. E poi Lauro Righi, Dante Franceschini, Pietro Alessandrelli, Torquato “Otto” Grassi, Alberto Marani, Roberto Bertuzzi. In filigrana si legge la storia, il dopo’68 in Italia, l’invasione di Praga, lo strappo con l’Unione sovietica, la strage di piazza Fontana nel dicembre 69 di matrice neofascista. Nel libro e spettacolo di Telese si parla anche di “questione morale” ricordando una intervista concessa da Berlinguer a Scalfari nel Luglio 1981 in cui dichiara “i partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela”. Dunque la figura di Enrico Berlinguer raccontata attraverso le testimonianze, i racconti, gli aneddoti, dei suoi fidatissimi uomini, delle compagne, delle figlie, che però restano in secondo piano, come un’eco familiare che non turba lo svolgersi del racconto, anzi lo arricchisce di umanità. In questa narrazione di Telese sfilano i più noti dirigenti comunisti, visti attraverso la lente della quotidianità, ma anche battaglie come quella per il divorzio votato in Parlamento nella proposta di legge, relatori l’ex partigiano Loris Fortuna e il giornalista-imprenditore Antonio Baslini, deputato liberale. In quel momento si ricorda nel libro, i Radicali non erano rappresentati alla Camera né in Senato, senza possibilità di trascinare voti a favore del No, ma fu grande la loro partecipazione. I documenti nel libro di Telese citano il discorso pronunciato dal leader a Padova nell’aprile ’74, in cui invita a votare No e ricordano il maggio ‘74 negli studi Rai a via Teulada in cui Berlinguer scherza dietro le quinte di Tribuna politica sui comunisti sfascia famiglie, prima di leggere un serissimo discorso in cui conclude “le donne della famiglia Cervi votano No”.
E poi l’illusione del compromesso storico e l’abbandono di quello che forse aveva capito essere stato un errore. I duri rapporti con il Psi, gli anni faticosi culminati in una ultima campagna, nel 1984, nell’ultimo discorso in cui parte dalla pace e dal disarmo. Scritto con la distanza che si addice al cronista, il libro chiede alla messa in scena che ne è stata tratta la partecipazione di attori-autori:Francesco Freyrie, Michela Gallio e Andrea Zalone che daranno voce ai personaggi e sarà presentato al Teatro Sala Umberto di Roma il 20 maggio, con repliche il 24 al Piccolo Teatro Grassi di Milano nell’ambito del Festival Gaber e l’11 giugno all’Arena del Sole a Bologna. Ma ci chiedevamo: perché il teatro? Perché non bastano tv e web e social? “Forse perché” , ci ha suggerito Giuseppe Cederna, il bravissimo interprete di tanto cinema (Salvatore, Amelio, Scola, Bellocchio, Chiesa) e tanto teatro (con Lavia, Orsini, Giorgio Gallione), scrittore, appassionato esploratore del mondo, “Perché il tempo teatrale non è così superficiale come quello televisivo, aiuta il pensiero. Chi parla ad un pubblico che vive e respira con lui, guarisce dalla frustrazione che coglie chi è obbligato a scrivere in poche righe tutto quello che si vorrebbe dire”. Il rapporto cambia, diventa più intimo, più complesso” Parola di attore.