Nel dibattito politico e giornalistico torna spesso la polemica della tragicità del terrorismo degli anni Settanta e delle opposte ragioni nella valutazione di un periodo drammatico per il nostro Paese. Raramente emerge quanto sia cambiato, anche in quella terribile emergenza, sia nelle condizioni sociali che nella crescita culturale e giuridica rispetto al passato. A cominciare dalle condizioni delle donne che erano state coinvolte e protagoniste di quello straordinario sommovimento giovanile, studentesco e sindacale e contro la guerra, degli anni Sessanta. Lotte che senza respiro le donne italiane, dell’Udi in particolare dopo la Resistenza e la Costituzione, avevano instancabilmente continuato a proporre per attuare i principi costituzionali di emancipazione e parità: dal diritto alla scuola e alla materna, al diritto ai nidi – per cui si lottava da dieci anni -, fino al lavoro, alla pensione per le casalinghe, all’abolizione del coefficiente Serpieri e molte altre proposte per creare nuovi servizi e allargare una nuova coscienza del proprio diritto personale e collettivo in una democrazia finalmente compiuta che fuoriusciva non solo dal Codice Rocco, ancora esistente decenni dopo la fine del fascismo, ma anche da una delle forme più arretrate della storia italiana.
Nel 1970 la legge 898 dell’1 dicembre introduce il divorzio con la proposta Fortuna-Baslini. Legge immediatamente contestata da parte democristiana e conservatrice oltre che dal Msi e da parte della Chiesa che cercò soluzioni per bloccare quei partiti che l’appoggiavano, come il Psi il Pci, i Radicali e liberali e le voci del mondo cattolico di base e più vicino al Concilio Vaticano II. Fu un momento di grandi discussioni, incontri e scontri, ma che si concluse con la scelta di sottoporre la legge a un referendum abrogativo, il primo in assoluto. Quello del 12 maggio 1974 infatti è passato alla storia come il primo referendum abrogativo della Repubblica. Si presentarono alle urne oltre 33 milioni di elettori, pari all’87,72% degli aventi diritto. Si votò nei giorni 12 e 13 maggio. Gli italiani che dissero “No” all’abrogazione della legge sul divorzio furono oltre 19 milioni, pari al 59,26%, superando di gran lunga coloro che votarono “Sì”, appena oltre i 13 milioni, pari al 40,74%.
La legge sul divorzio era frutto di una maturazione della società che diventava sempre più consapevole riguardo a valori e diritti. A votarla in Parlamento era stato un ampio schieramento che riuscì a mettere in minoranza gli oppositori: dalla Dc ai monarchici e al Movimento sociale italiano. Tuttavia, appena poche ore dopo l’approvazione legislativa, venne subito annunciata, da parte di un comitato di ispirazione cattolica, la raccolta, per la successiva presentazione, delle firme con le quali attraverso il referendum abrogativo avrebbero chiamato gli italiani ad esprimersi su questo provvedimento normativo. Nel segreto delle urne, gli italiani e le italiane, quattro anni dopo, non ebbero dubbi nel confermare, a grandissima maggioranza, nonostante tutta la propaganda terroristica scatenata sulla dissoluzione della famiglia e la debolezza femminile se il divorzio fosse rimasto come principio di una visione laica contro l’indissolubilità del matrimonio.
Alla legge sul divorzio, nota come legge Fortuna-Baslini, che erano stati i primi firmatari, si era giunti in un contesto storico e sociale in cui aveva già preso piede un cambiamento di mentalità. Dalla seconda metà degli anni Sessanta, questo contesto culturale con una concezione laica dei diritti andò affermandosi, caratterizzando i movimenti dei diritti civili degli anni Settanta. Attraverso questo referendum, all’epoca molto discusso, gli elettori ratificarono la legge sul divorzio, riconoscendo dunque allo Stato il diritto di fissare le regole sullo scioglimento dell’unione coniugale, che fino a quel momento era stato riservato esclusivamente ai tribunali ecclesiastici della Sacra Rota. L’esito di quel referendum ebbe un peso fondamentale nella concezione stessa della famiglia, salvaguardando il diritto di scelta e riconoscendo quello di abbandonare, in qualsiasi momento, situazioni coniugali infelici, spesso segnate da violenze e sopraffazione.
I problemi giuridici della famiglia sono stati sempre presenti tra i temi affrontati dall’Udi come problemi essenziali per una modifica della condizione femminile. Per la stessa ragione, non stupisce che l’Udi fu la prima organizzazione femminile ad aprire un dibattito sui problemi del divorzio. Ciò avvenne nel Congresso del 1964 con Giglia Tedesco. Nelle tesi erano prospettate le motivazioni pro e contro il divorzio; il Congresso decise di attuare una consultazione, che avvenne mediante un questionario Udi. Al termine della consultazione, ebbe luogo il seminario del 1966, come si può vedere dagli Atti conservati in Archivio, che si concluse a favore della legge di divorzio. La scelta fu a favore di una posizione politica e non ideologica: a sostegno, cioè, del divorzio come istituto civile.
L’autrice: Vittoria Tola è responsabile nazionale dell’Udi (Unione donne in Italia)
(estratto dall’introduzione al libro di Left La battaglia sul divorzio. Dalla Costituente al referendum)