Come documentato da Copernicus climate change (C3s), il programma di osservazione della Terra dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) e della Commissione europea, nei 12 mesi intercorsi tra il febbraio del 2023 e il gennaio del 2024, per la prima volta la temperatura media globale ha sforato il tetto di 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali. È stata quindi superata quella “linea rossa” che i Paesi del mondo si erano promessi di non violare con l’Accordo di Parigi del 2015.
Esperti e scienziati della materia non hanno dubbi: se non riduciamo immediatamente l’uso dei combustibili fossili, le conseguenze legate al riscaldamento globale saranno irreversibili.
Dunque, nel 2024 è ancora possibile negare l’emergenza climatica?
Nonostante l’evidenza dell’emergenza climatica in atto e la sostanziale unanimità della comunità scientifica internazionale nell’imputarne la responsabilità alle attività umane, c’è ancora chi contesta l’origine antropica dei cambiamenti climatici, minimizzandone i rischi.
Certo, tracciare un identikit dei negazionisti climatici è complicato. Ma se analizziamo la propaganda anti-antiambientalista è facile riscontrare che molti fan di petrolio e carbone hanno un minimo comun denominatore per il nero, il colore della destra radicale. Un nero che tra meno di un mese rischia di travolgere l’Unione europea.
A poche settimane dalle elezioni europee di giugno, il sostegno ai partiti di estrema destra sembra incrollabile in molti Stati membri dell’Unione. Complessivamente, secondo un sondaggio di Euronews/Ipsos, i gruppi sovranisti potrebbero contare complessivamente su una trentina di eurodeputati in più nella prossima legislatura. In diversi Paesi queste formazioni sono prime o seconde nei principali sondaggi nazionali: basti pensare che il francese Rassemblement National dovrebbe avanzare di dieci seggi, diventando il maggiore partito dell’emiciclo insieme alla Cdu/Csu tedesca.
Geert Wilders in Olanda, Marine Le Pen in Francia, Giorgia Meloni e Matteo Salvini in Italia, Alice Weidel in Germania sono leader sicuramente molto diversi fra loro, per idee e temperamento, ma hanno nel mirino un nemico comune: il Green Deal europeo. Certo, la destra-destra che siede tra Bruxelles e Strasburgo è divisa in due formazioni, i Conservatori e riformisti (Ecr) e Identità e democrazia (Id). Ma sono molte più le analogie che le differenze: spesso e volentieri, nel corso della passata legislatura Id e Ecr hanno fatto fronte comune contro le proposte della Commissione Ue presentate nell’ambito del Green deal e del Fit for 55, il pacchetto di riforme e regolamenti economici e sociali dall’Unione europea per abbattere le emissioni di gas serra.
Secondo gli identitari, le politiche ambientali ed energetiche contro il cambiamento climatico promosse dall’Unione europea sono costose, ingiuste, addirittura dannose per il clima. O al limite, del tutto ininfluenti. Tra le tesi ricorrenti: il rispetto dell’ambiente è un capriccio da radical chic che non tiene conto dei “reali problemi” delle persone, è inconciliabile con la crescita economica, è un pretesto per farci colonizzare dai cinesi, minaccia la sovranità nazionale per il suo approccio multilaterale.
Nel nome di questa crociata tutto viene contestato: i quartieri a basso traffico, le città da 15 minuti, le zone 30 Km/h, le pompe di calore, le piste ciclabili, i suv, la carne coltivata, lo stop agli allevamenti intensivi, le auto elettriche e molto ancora.
L’allergia degli ultraconservatori alla transizione ecologica non è un mistero. Anzi, spesso le formazioni sovraniste traggono la propria linfa da posizioni radicalmente anti-ambientali. Un esempio? Il muso duro dei reazionari contro la Direttiva Epbd, rinominata “Case Green”, un provvedimento chiave del Fit for 55 che traccia una roadmap per riqualificare il parco edilizio, approvata ad aprile dal Consiglio Ue. L’unico Paese che si è opposto oltre all’Ungheria di Orban? L’Italia di Giorgia Meloni, ovviamente. Motivazione? Il provvedimento costa troppo, secondo le parole del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. A rimarcarlo ci pensa il compagno di partito del responsabile di via XX Settembre, Matteo Salvini, secondo cui «La Lega farà tutto il necessario per fermare tasse e patrimoniali green volute dalla sinistra, a giugno si volta pagina».
Durante la discussione, le pattuglie di Ecr ed Id hanno mostrato tutto il loro disprezzo per la decarbonizzazione delle nostre abitazioni, respingendola in blocco. Secondo l’onorevole Isabella Tovaglieri (Id, Lega), la Epbd sarebbe una «patrimoniale occulta sulla casa degli italiani» che in nome di un «ambientalismo ideologico» manderà in tilt il settore delle costruzioni e farà «un altro enorme regalo alla Cina». Non ha peli sulla lingua nemmeno l’eurodeputato tedesco Markus Bucheit (Id, Afd), secondo cui l’obiettivo della normativa è quello di demolire la casa, «l’ultimo rifugio dalla follia di genere e climatica»; mentre per il polacco Witold Jan Waszczykowski (Diritto e giustizia, Ecr) la direttiva è l’esempio di politiche dannose dettate dal «fervore ideologico delle élite europee di sinistra liberale». Poco importa che il patrimonio edilizio europeo sia responsabile del 36% delle emissioni totali e che nel 2022 oltre 41 milioni di persone nell’Ue, pari al 9,3% della popolazione, non erano in grado di riscaldare bene le proprie abitazioni. Al massimo se la prenderanno con Greta o con i cinesi.
L’assalto alle politiche green da parte dei nazionalisti non si ferma nemmeno davanti alla natura. Lo scorso febbraio Bruxelles ha approvato la legge sul ripristino della natura (Nature Restauration Law), che obbliga i Paesi Ue a ristabilire gli habitat naturali in cattive condizioni. In questa occasione, l’alleanza tra il moderato Partito Popolare europeo (Ppe, centrodestra) e i gruppi più radicali non è riuscita comunque a scalfire l’esito della votazione: 21 eurodeputati appartenenti al partito che fu di Angela Merkel hanno sconfessato la linea ufficiale dell’attuale presidente del Ppe, il tedesco Manfred Weber. Assalto respinto, legge approvata – anche se sul filo del rasoio. Ma anche in questo caso le destre non l’hanno certo mandata a dire: per l’eurodeputato italiano Nicola Procaccini la direttiva sulla natura è «figlia del ‘Green Chic’ anziché del Green Deal», e il testo fatto «da persone che dalle loro Ztl parlano di natura senza mai averci messo piede». Per il francese Gilles Lebreton (Id, Rassemblement National) l’Unione europea deve smetterla di «imporci ambizioni ambientali deliranti che stanno distruggendo la nostra agricoltura» mentre per la tedesca Silvia Limmer (Id, Afd) la legge non è altro che «un gigantesco programma di esproprio e distruzione dei mezzi di sussistenza degli agricoltori». Chiude la rassegna Teuvo Hakkarainen (Ecr, Freedom Alliance) secondo cui bisogna subito fermare la «follia verde» che non dimostra «segnali di cedimento».
Ma le boutade degli estremisti contro l’ecologismo si sprecano: l’ecologia di Bruxelles è «punitiva», mentre la transizione ecologica è «parente diretta della rivoluzione culturale cinese». Copyright? L’eurodeputato del Rassemblement national Philippe Olivier, che lo ha dichiarato in occasione del via libera allo stop ai motori a combustione al 2035. Altra battaglia che tutta la destra e parte del Ppe hanno sposato in toto ma anch’essa naufragata grazie all’appoggio di una pattuglia di popolari alla maggioranza di socialisti, verdi e liberali.
Il Green Deal invece cos’è? Un «progetto autoritario di ingegneria sociale» secondo l’eurodeputato spagnolo di Vox Hermann Tertsch (Ecr), un piano per «distruggere le piccole e medie imprese» per Andrey Slabakov, del Movimento nazionale bulgaro, parte di uno “schema comunista” insieme al Fondo sociale per il clima, che attinge risorse da coloro che pensi siano ricchi per darli a coloro che pensi siano poveri.
Insomma, di fronte all’evidenza scientifica e all’aumento delle calamità naturali, Il negazionismo climatico sembrava quasi superato, travolto dall’aumento dei barometri, dalle siccità, dalle tragedie, dai morti per inquinamento, e dalle piazze piene del movimento Fridays For Future. Ma invece è riemerso prepotente. E in tutta Europa, dove gli ambientalisti hanno provato ad alzare la testa, sono stati travolti dalla destra radicale, che li contesta e li ridicolizza, gli addita a fighetti borghesi e vegetariani da ztl, li trasforma in un pericolo pubblico e imminente per le tasche dei cittadini.
Le elezioni europee di giugno possono essere il banco di prova di una nuova legislatura pronta a lavorare per smantellare i provvedimenti green, se i popolari dovessero iniziare a lavorare con Ecr e Id – ipotesi già in parte sdoganata dal Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. E con la nuova legislatura di un Parlamento europeo che, in base ai sondaggi, si annuncia la più a destra di sempre, il Green Deal appare fortemente compromesso. E i reazionari di tutta Europa già cominciano a sfregarsi le mani.
Nella foto: Marine Le Pen e Matteo Salvini, Pontida, 17 settembre 2023 (Elisa Gestri – Ipa agency)