Il nuovo libro dello storico Dario Petti ripercorre i fatti della Federazione comunista nel dopoguerra: l'invasione dell'Ungheria, la destalinizzazione, il congresso del Pci del 1960. Il 15 giugno la presentazione al Teatro di Cori

In quei territori del Pontino che dal 1934 avevano subito il regime fascista come si mosse la sinistra? Dove affondò le sue radici? Quali difficoltà, quali speranze e quali delusioni incontrarono dopo la guerra i militanti del Partito comunista? Questa pagina di storia viene raccontata da Dario Petti che sulla scia del libro Il Partito comunista italiano nella provincia di Latina 1921 – 1956 uscito nel 2007, prosegue la sua ricostruzione del percorso del Pci nel Pontino. Un territorio, ricordiamo, dove con l’Opera nazionale combattenti vennero costruite città nuove e 3mila poderi. Qui  vissero famiglie di contadini di diverse regioni arrivati principalmente dal Nord Italia nella speranza di trovare una vita migliore, comunità che nel dopoguerra erano «spesso nostalgiche del ventennio mussoliniano che le aveva rese protagoniste di un’epopea» esaltata dalla propaganda fascista. Ma anche la burocrazia cittadina era rimasta ancorata al passato. Questo il clima storico e sociale indagato dal nuovo saggio di Dario Petti che viene presentato il 15 giugno a Cori (al teatro Luigi Pistilli, ore 18) alla presenza del sindaco Mauro De Lillis, il delegato alla cultura Michele Todini e il saggista Pietro Vitelli.

Un monumento alto fino al cielo. La Federazione del Pci di Latina, dall’”indimenticabile 1956” al IX congresso nazionale del 1960, Atlantide Editore, (con la prefazione di Gianluca Fiocco) indaga la storia della Federazione comunista di Latina e come su questa si rifletterono i fatti del 1956, l’invasione dell’Ungheria, le denunce di Krusciov contro Stalin, l’VIII congresso del Pci e poi le vicende degli anni immediatamente successivi fino al IX congresso del 1960. L’intento è quello di capire come questi fatti incisero sull‘organizzazione provinciale ovvero, come spiega l’autore, se «vi furono abbandoni, cedimenti elettorali, resistenze verso la linea della “via italiana al socialismo”» e come queste vennero superate in una Federazione che Pietro Ingrao, membro del Comitato federale dal ’53 al ’60, definiva affetta «da diffuso settarismo».

Quale fosse lo stato d’animo diffuso tra i militanti, lo spiega già il titolo del libro di Petti che si riferisce ad un episodio preciso. Un contadino dei monti Lepini, segretario della sezione del Pci di Prossedi, non potendo partecipare alla riunione convocata dai quadri dirigenti delle Federazione pontina nel marzo del 1956, inviò una lettera al Comitato federale in cui, esprimendo la sua contrarietà alle critiche rivolte a Stalin, scrive che semmai bisognerebbe fare «un monumento alto fino cielo» per le cose realizzate come guida dell’Unione Sovietica esprimendo un sentimento che era molto diffuso e condiviso tra i militanti comunisti.

Dalla Latina degli anni 50 con la Federazione che sostituisce nel dicembre ’55 il segretario Severino Spaccatrosi dopo aver guidato il Partito pontino per dieci anni, ci si avvia in quel periodo che seguì la “bomba” di Krusciov, la destalinizzazione. Nel microcosmo pontino la base del partito, costituita principalmente da contadini, si sostituisce con quella dell’operaio di fabbrica, «senza il retroterra culturale del primo, senza tradizioni di lotta, né profondi legami con i territori. Si trattava – spiega Dario Petti – spesso di giovani immigrati dal meridione d’Italia».

Attraverso una scia di fatti si analizzano le vicende del ’57, del ’58 fino all’IX congresso del Pci. Il libro di Petti è una ricerca attenta di storia locale, svolta principalmente tra l’Archivio di Stato di Latina e la Fondazione Gramsci che evidenzia come «la linea della via italiana al socialismo, potrà passare con gradualità grazie al ricambio del gruppo dirigente» attraversando quella fase di rinnovamento in cui il socialismo fu liberato dai suoi caratteri autoritari per interpretare le esigenze della nuova classe operaia. La ricerca cioè, di una vita migliore, di uno stare bene, sinonimo imprescindibile per chi sceglieva la via della sinistra dopo l’incubo del ventennio fascista.

L’autrice: Licia Pastore è giornalista e autrice del libro “Fernando Bassoli: primo sindaco di Latina”, Atlantide editore