«Sono orgoglioso del fatto che, per la prima volta in quasi un decennio, i tassi di aggressioni e molestie sessuali siano in calo all’interno delle forze armate. Questo è merito della vostra leadership». Così il Presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden si è rivolto lo scorso 15 maggio ai generali dell’esercito statunitense riuniti per l’occasione alla Casa Bianca. A prima vista Biden sembrerebbe avere ragione: secondo uno studio del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti circa 29mila militari – per la quasi totalità donne – nel corso del 2023 hanno denunciato molestie sessuali avvenute all’interno dell’esercito, un dato in leggera flessione rispetto alle 31mila denunce rilevate nel 2022. Anche i casi di violenza sessuale, sono diminuiti: da 8.942 casi nel 2022 si è passati a 8.515 casi nel 2023.
In realtà questi dati, che già di per sé indicano una diminuzione non particolarmente rilevante del fenomeno, vanno interpretati e inseriti in un contesto specifico. Innanzitutto, il dato di 8.515 casi nel 2023 è il peggiore da quando esistono le rilevazioni, se si esclude il conteggio del 2022. Questo significa che, se anche i nuovi dati sono in leggero calo rispetto all’anno precedente, restano molto più alti di quelli rilevati nei dieci anni precedenti (5.518 casi nel 2013), per non parlare del dato di 2.846 riportato per l’anno 2007. In altre parole, senza una visione di lungo periodo, considerare soltanto i dati degli ultimi due o tre anni potrebbe risultare estremamente fuorviante. Inoltre, una diminuzione dei casi rilevati da questo studio potrebbe essere dovuta non a una effettiva diminuzione degli episodi di violenza sessuale nell’esercito degli Stati Uniti, quanto piuttosto a una maggiore difficoltà per le vittime di denunciare tali abusi.
Un recente fatto di cronaca può aiutarci a dare sostanza a questa affermazione. In Florida nello scorso mese di maggio un ufficiale di alto livello della Home Guard, Michael Di Giacomo, è stato accusato di gravi molestie sessuali ai danni di una sua collaboratrice, avvenute durante una trasferta di lavoro al confine fra Texas e Messico. Secondo Tiffany Cruz, l’avvocato difensore della donna, la vittima sarebbe stata licenziata dalla Home Guard dopo aver presentato regolare denuncia ai superiori di quanto accaduto. Michael Di Giacomo, invece, sarebbe stato promosso.
La Florida Home Guard assicura la difesa e gli interventi in situazioni emergenziali in tutto lo Stato della Florida. Nato nel 1941 all’indomani di Pearl Harbor e sciolto nel 1946, cessata l’emergenza bellica, questo corpo è stato riattivato nel 2022 dal governatore della Florida Ron De Santis, repubblicano e – dopo una deludente campagna elettorale per le primarie – oggi tiepido sostenitore di Donald Trump alle prossime elezioni. Alcuni esponenti democratici avevano giudicato questa mossa un tentativo di costituire una vera e propria milizia paramilitare. Forte di 1.500 volontari che ricevono regolare stipendio, la Florida Home Guard è stata impiegata anche in attività di contrasto dell’immigrazione illegale al confine tra Texas e Messico: proprio in questo contesto avrebbero avuto luogo le molestie, che sarebbero durate almeno quattro mesi.
Ad aggravare la situazione è il clima di omertà che circonda questi fatti. Nessun membro della Florida Home Guard coinvolto nella faccenda ha accettato di parlare con i giornalisti giunti sul posto: come da regolamento dell’organizzazione, chi si confronta con un giornalista a proposito di qualunque argomento rischia un procedimento disciplinare immediato. Inoltre, nemmeno l’ufficio del governatore della Florida, Ron De Santis, ha rilasciato dichiarazioni.
Queste molestie e questi scandali che hanno investito la Florida Home Guard non sono che un riflesso di una tendenza presente in tutte le forze armate – a livello nazionale o federale – degli Stati Uniti d’America. Nel dicembre 2023 quattro donne hanno testimoniato davanti al Congresso degli Stati Uniti a proposito delle molestie subite mentre frequentavano l’Accademia preparatoria della Guardia costiera degli Stati Uniti a New London, nel Connecticut. Nel 2019, ancora una volta in Florida, il comandante in seconda della Guardia nazionale Michael Calhoun ha rassegnato le dimissioni poiché accusato di aver insabbiato nei dieci anni precedenti una serie di casi di molestie sessuali all’interno del corpo militare di appartenenza. Poi c’è stato il caso di Vanessa Guillen, militare dell’esercito americano, che nel 2020 è stata uccisa a Fort Hood, nel Texas, da un collega di grado superiore, Aaron Robinson, che dopo averla uccisa ne ha occultato il cadavere per oltre due mesi. L’omicidio, in questo caso, è avvenuto come esito di ripetute molestie che Robinson aveva rivolto a Guillen e che la ragazza, secondo le testimonianze dei familiari per paura di ritorsioni, aveva evitato di denunciare con un rapporto formale ai comandanti della propria unità.
Nel 2020 il caso Guillen scatenò proteste davanti a molte basi militari in tutto il Paese. Decine di manifestanti portavano cartelli su cui si poteva leggere “S.H.A.R.P. non funziona perché nessuno sta a sentire”. Il riferimento era al Sexual harassment assault response prevention (S.H.A.R.P.), il programma governativo che dovrebbe occuparsi di prevenire le molestie sessuali all’interno dell’esercito ma che troppo spesso si scontra con l’omertà presente tra le gerarchie militari. A seguito di queste proteste e della lunga battaglia legale portata avanti dalla famiglia Guillen, Joe Biden nel 2022 ha finalmente fatto inserire nel Codice di Giustizia militare il reato specifico di molestia e violenza sessuale, che fino ad allora non era nemmeno contemplato come tale. Peraltro, con questo provvedimento lo stesso Joe Biden ha dimostrato nei fatti di diffidare delle gerarchie dell’esercito, tentando di trasferire i principali processi decisionali al di fuori della catena di comando militare in caso di reati particolarmente gravi.
Dunque, il problema più grande all’interno dell’esercito statunitense sembra in realtà essere la difficoltà di denunciare i molestatori, che in molti casi, come abbiamo visto, sono stati protetti e in alcuni casi perfino promossi dalle alte sfere delle organizzazioni di cui fanno parte. Solo con la scarsa propensione a denunciare le violenze da parte delle vittime, del resto, possiamo spiegare la differenza fra i dati delle molestie all’interno dell’esercito e i dati ben diversi raccolti da organizzazioni terze all’interno di diversi settori della società statunitense: secondo il National sexual violence resource center (Nsvrc), organizzazione no-profit statunitense che si occupa del tema, una donna su cinque negli Stati Uniti (il 24.8%) avrebbe subito uno stupro o un tentativo di violenza sessuale, mentre l’81% delle donne afferma di aver subito una qualche forma di molestia fisica o psicologica. Stando a questi dati, quanto accade nei corridoi delle caserme negli Usa non sembra un fatto isolato, ma potrebbe essere descritto come la manifestazione di un problema di violenza di genere organico all’intera società statunitense, a partire dalle sue forze armate.
L’autore: Davide Longo è cultore della materia
Nella foto: Jackie Speier e altri membri del Congresso chiedono giustizia per Vanessa Guillen, luglio 2020