Non solo le elezioni europee ma anche quelle amministrative. Ecco gli scenari che si aprono dopo il 7 giugno. I principali partiti della coalizione di governo hanno tenuto ma si profila anche l’ipotesi delle elezioni politiche anticipate. Cala il consenso per il partito di opposizione Sinn Féin. Mentre l’estrema destra resta al palo, volano i candidati indipendenti. Analisi di Carlo Gianuzzi, profondo conoscitore della politica irlandese.
Il voto per le elezioni europee 2024, nella Repubblica d’Irlanda, ha avuto luogo venerdì 7 giugno. Nella stessa occasione le elettrici e gli elettori hanno trovato ai seggi anche le schede per il voto amministrativo che, ogni cinque anni, rinnova le 31 autorità locali, vale a dire i consigli comunali e i consigli di contea. A Limerick, inoltre, l’elettorato è stato chiamato a votare per eleggere il sindaco (o la sindaca) del municipio e della contea (che, in questo e nel caso di Waterford, sono governati da un’unica autorità locale) nel primo caso di elezione diretta di questa carica nella storia della Repubblica d’Irlanda.
Il doppio appuntamento elettorale del 7 giugno era atteso anche per vagliare lo stato di salute dei principali partiti politici in vista delle prossime elezioni generali, che si dovranno tenere entro la fine del marzo 2025. L’attenzione generale era concentrata soprattutto sulle forze della coalizione di governo (i due partiti di centro destra Fine Gael e Fianna Fáil e i Verdi) e sul principale partito di opposizione, Sinn Féin (Sinistra al Parlamento europeo – Gue/Ngl) che gli ultimi sondaggi sulle intenzioni di voto per le prossime elezioni generali davano, ancora a fine maggio, in testa alla classifica per punti percentuali, seppure in forte calo dalla scorsa estate. Inoltre c’era una certa curiosità (non priva di apprensione) rispetto ai tentativi dell’estrema destra xenofoba di convertire in risultati elettorali concreti le mobilitazioni di piazza degli ultimi due anni contro i richiedenti asilo.
Il sistema elettorale in vigore per l’elezione dei membri irlandesi del Parlamento europeo è il sistema proporzionale a voto singolo trasferibile, che permette di indicare sulla scheda più di una preferenza elencando i candidati nell’ordine desiderato: 1 alla prima scelta, 2 alla seconda e così via. I candidati vengono eletti non appena i voti ottenuti come prima preferenza superano una determinata soglia. Se dopo questo primo conteggio restano dei seggi non assegnati si procede a un secondo spoglio nel quale le schede che indicano il candidato più votato come prima preferenza vengono suddivise in base alle preferenze indicate con il numero 2. A questo seguono altri conteggi (per le preferenze successive) fino a quando emergono candidati con un numero di voti superiore alla quota necessaria per essere eletti. Una volta ripartiti i voti in eccesso, se restano ancora seggi da assegnare si procede all’eliminazione dei candidati che non hanno raggiunto la quota, partendo da quello che ha preso il minor numero di voti; anche in questo caso, i voti ottenuti dal candidato vengono ripartiti in base alle preferenze indicate sulla scheda e così via. Nella Repubblica d’Irlanda il sistema proporzionale a voto singolo trasferibile è utilizzato per tutte le consultazioni elettorali, comprese le elezioni generali e quelle amministrative.
Per quanto riguarda i partiti di governo va ricordato che lo scorso 20 marzo il Taoiseach (Primo ministro) Leo Varadkar ha annunciato a sorpresa le proprie dimissioni dalla guida del Fine Gael (Gruppo Ppe) e dalla carica di capo del governo. Varadkar aveva preso la guida dell’esecutivo nel dicembre 2022 in base a un accordo di avvicendamento stretto con il leader del secondo partner di maggioranza di coalizione, Fianna Fáil (Renew Europe) dopo le elezioni generali del 2020. Le dimissioni, motivate da Leo Varadkar citando ragioni personali, hanno inizialmente spiazzato la politica irlandese e messo addirittura in forse le possibilità della coalizione di governo di portare a termine la legislatura, la cui scadenza naturale è fissata al termine del marzo 2025. Con l’uscita di scena di Varadkar i ruoli di guida del principale partito della coalizione e di Taoiseach sono stati assunti da Simon Harris, ex ministro della Salute sopravvissuto a qualche scandalo e alla delicata fase della pandemia e adesso, a 37 anni, Primo ministro più giovane della storia irlandese. C’era quindi attesa per vedere se il passaggio di testimone avrebbe convinto o meno l’elettorato del Fine Gael e della coalizione.
Per Sinn Féin, d’altro canto, si trattava di verificare il proprio sostegno in una prova elettorale “vera”. Alle ultime elezioni generali (febbraio 2020) il partito guidato da Mary Lou McDonald si era affermato come primo partito con uno strabiliante 24,5 per cento dei voti (con una crescita del 10,7 per cento rispetto alle elezioni parlamentari del 2016), contro il 22,2 per cento di Fianna Fáil e il 20,9 per cento di Fine Gael. Nonostante i 37 seggi conquistati (stesso numero dei deputati eletti da Fianna Fáil e due in più di quelli di Fine Gael), Sinn Féin venne relegato all’opposizione grazie al patto di coalizione stretto fra i due partiti di centro insieme ai Verdi. Da allora, il partito repubblicano (storicamente legato all’Ira) ha iniziato una parabola ascendente segnata dalla crescita nei sondaggi d’opinione al Sud e dalla straordinaria vittoria elettorale al Nord. Alle elezioni per l’Assemblea legislativa di Belfast, che si sono tenute nel maggio 2022, Sinn Féin è diventato il primo partito anche nell’Irlanda del Nord con il 29 per cento dei voti e uno scarto di oltre otto punti percentuali sul secondo partito, il Democratic Unionist Party (Dup, Partito Unionista Democratico, il principale partito della comunità unionista). La conquista della maggioranza relativa nell’Assemblea di Belfast (29 seggi) ha consentito alla candidata di Sinn Féin Michelle O’Neill (una volta superato lo scoglio del boicottaggio delle istituzioni da parte del Dup grazie all’intervento di Londra e dell’Unione europea) di essere finalmente nominata Prima ministra dell’esecutivo di Belfast, lo scorso febbraio.
Al Sud, tuttavia, la crescita nei sondaggi ha toccato il picco nell’ottobre 2022 (36 per cento delle intenzioni di voto) per poi iniziare un progressivo declino che ha portato Sinn Féin al 23 per cento nel giro di 18 mesi.
Elezioni amministrative
I risultati delle elezioni amministrative sono stati accolti con grande sollievo dai due principali partner di governo (Fine Gael e Fianna Fáil, quasi appaiati intorno al 23 per cento, con 245 e 248 seggi locali rispettivamente; meno bene il terzo partner di coalizione, il partito dei Verdi, che ha preso il 3,62 per cento e conquistato solo 23 seggi). In realtà, sia Fianna Fáil sia Fine Gael registrano un calo di seggi e di percentuali (31 e 10 e 4 per cento e 2,26 per cento rispettivamente) rispetto alle amministrative del 2019. Tuttavia, poiché qualcuno paventava risultati ancora peggiori, l’esito delle elezioni ha finito per dare ossigeno al governo ed è stato generalmente commentato come decisamente favorevole.
Il Taoiseach Simon Harris si è affrettato a escludere la possibilità di un voto anticipato (settembre-ottobre 2024) ribadendo di volere rispettare la fine della legislatura (marzo 2025). Le sue parole, va detto, vengono commentate con una certa dose di scetticismo, per una serie di ragioni. La prima è che la scommessa sulla tenuta della coalizione potrebbe rivelarsi azzardata: un voto il prossimo autunno avrebbe migliori possibilità di capitalizzare il buon risultato del voto europeo e locale. La seconda è che, visto il numero di deputati al Parlamento di Dublino che hanno conquistato un seggio a Strasburgo (e il ministro delle Finanze Michael McGrath in corsa per un posto nella Commissione Ue), dopo l’estate saranno probabilmente necessarie almeno cinque elezioni suppletive per riempire i seggi parlamentari resi vacanti. Poiché queste elezioni sono spesso terreno difficile per i governi in carica, Simon Harris e i suoi due partner di governo potrebbero ritenere preferibile anticipare la data del voto all’inizio dell’autunno per non rischiare di andare alle urne sulla scia di una serie di risultati non del tutto positivi nelle suppletive.
Martedì 18 giugno, inoltre, è arrivata una notizia destinata a far crescere le pressioni all’interno della coalizione di governo per anticipare il voto al prossimo autunno: il segretario dei Verdi Eamon Ryan ha annunciato le sue dimissioni dalla guida del partito. Ryan, 61 anni, segretario dei Verdi dal maggio 2011, ha aggiunto che non intende candidarsi alle prossime elezioni generali e ha citato, fra le ragioni che lo hanno convinto a farsi da parte, i modesti risultati ottenuti dal partito nelle ultime elezioni europee, la volontà di dedicare più tempo alla sua famiglia e il clima di disinformazione e di aggressività nei confronti del ceto politico imperanti sui social network. Eamon Ryan ha voluto d’altro canto rivendicare quelli che ha definito i passi avanti fatti dall’Irlanda grazie ai Verdi negli ambiti del trasporto pubblico, delle energie rinnovabili e della salvaguardia dell’ambiente. Eamon Ryan è il secondo dei leader dei tre partiti della coalizione di governo che si dimette in soli 3 mesi.
Sul fronte opposto, le elezioni amministrative hanno confermato il momento difficile del principale partito di opposizione, cui si è già accennato: nonostante una crescita del 2,23 per cento e di 21 seggi rispetto alle amministrative del 2019, Sinn Féin si è fermato all’11,8 per cento e ha portato a casa 102 seggi. Fra le ragioni che possono aiutare a comprendere il risultato deludente di queste elezioni amministrative per i repubblicani vale la pena citarne due, una di carattere organizzativo e una di respiro più sociale e politico. La prima è che, come ha riconosciuto la presidente di Sinn Féin, Mary Lou McDonald, a spoglio ancora in corso, il partito ha schierato troppi candidati. L’esempio più evidente è dato dal caso del collegio amministrativo Cabra/Glasnevin di Dublino, che copre una porzione del seggio parlamentare nazionale della stessa leader di Sinn Féin, nel quale il partito avrebbe potuto ottimizzare la quota di voti di prima preferenza se non avesse candidato quattro persone. Sembra inoltre che la macchina organizzativa non sia stata all’altezza di un tale numero di candidati (in Irlanda, a differenza dell’Italia, è ancora molto diffusa la propaganda porta a porta, considerata essenziale per il buon esito delle elezioni). Ironia della sorte, nelle elezioni generali del 2020 fu un numero ridotto di candidati a impedire a Sinn Féin di conquistare più seggi al Dáil, cioè la Camera dei deputati.
La seconda ragione è la posizione sempre più scomoda in cui si trova il partito repubblicano di fronte al crescente movimento di protesta contro l’accoglienza ai richiedenti asilo. Sinn Féin è un partito fortemente radicato nei quartieri popolari delle città e più in generale negli strati sociali più svantaggiati della popolazione, che costituiscono l’area di espansione dell’estrema destra; sulle questioni dell’immigrazione e dell’accoglienza, mantiene da sempre una linea di rispetto per le persone in cerca di asilo e di rifiuto della xenofobia. Per questa ragione, accanto ai partiti di governo, Sinn Féin è il bersaglio privilegiato della propaganda aggressiva e virulenta dell’estrema destra irlandese. Nonostante il grosso della sua base elettorale veda ancora nel partito repubblicano la prospettiva di cambiamento più affidabile e concreta rispetto alla linea neo-liberista Fine Gael/Fianna Fáil (soprattutto sul fronte drammatico della crisi degli alloggi), è un dato di fatto che non avere ceduto terreno rispetto alla propria linea di rifiuto della demonizzazione dell’immigrazione abbia raffreddato una parte del proprio elettorato.
Elezioni europee
Le percentuali del voto di prima preferenza delle elezioni europee riflettono grosso modo quelle delle amministrative: Fine Gael e Fianna Fáil poco sopra il 20 per cento, i Verdi al 5,36 per cento, Sinn Féin all’11,14 per cento. I due partner di maggioranza della coalizione di governo hanno conquistato quattro seggi ciascuno, mentre i Verdi, pur con una buona percentuale di voti, hanno perso i due che avevano nella passata legislatura. I voti trasferiti dalle schede del loro candidato nella circoscrizione di Dublino hanno aiutato il Partito Laburista a conquistare un seggio, pur con una percentuale di prime preferenze del 3,38 per cento. Sinn Féin ha aumentato il proprio numero di seggi da uno a due.
Estrema destra
Per quanto riguarda l’estrema destra, la prova del voto non ha portato l’exploit che qualcuno si augurava, né a livello europeo né a livello locale. Nelle amministrative i quattro partiti di estrema destra National party (Partito della nazione), Irish Freedom Party (Partito per la libertà dell’Irlanda), Irish People (Popolo irlandese) e Ireland First (Prima l’Irlanda) hanno accumulato, a livello nazionale, l’1,7 per cento.
L’Irish Freedom Party ha eletto un consigliere in un collegio della periferia sud della Capitale con il 10 per cento di voti di prima preferenza. Il National Party ha eletto un consigliere nella contea di Fingal (hinterland nord di Dublino) con il 7,5 per cento. Nell’unico collegio (Carlow) nel quale erano presenti tutti e quattro, i partiti di estrema destra hanno accumulato il 7,5 per cento ma senza eleggere alcun candidato. Irish People ha mancato di poco l’elezione di un consigliere in un collegio della contea di Cavan, pur con una percentuale dell’8,1 per cento.
Più incoraggiante per l’estrema destra il dato cumulativo nelle elezioni europee (sebbene, ovviamente, ben lontano dalla possibilità di vincere seggi): 4,94 per cento, all’interno del quale si va dallo 0,63 per cento di Irish People all’1,87 per cento di Ireland First.
L’estrema destra irlandese, per il momento, si presenta come un’area magmatica priva di vere basi ideologiche e programmatiche, molto simile per diversi aspetti al movimento dei forconi in Italia, che riesce a fare notizia soprattutto per la comunicazione social di alcune figure particolarmente attive che girano il Paese cercando di fomentare proteste locali, soprattutto nei luoghi nei quali vengono di volta in volta annunciate aperture di centri di accoglienza per i richiedenti asilo. Queste, negli anni e nei mesi scorsi, hanno provocato più di un grattacapo alle autorità, con diversi edifici dati alle fiamme e una vera e propria offensiva di vandalismo e saccheggi nel centro di Dublino, lo scorso 23 novembre, che ha messo a dura prova le capacità di contenimento della polizia.
Altra debolezza di questo movimento identitario etno-nazionalista è la mancanza di un volto riconoscibile a livello nazionale che riesca a consolidare il sostegno popolare, dato non secondario per una fetta di popolazione generalmente sensibile al richiamo della figura del capo. Anche l’operazione di rilettura della storia nazionale in chiave identitario-sovranista (come il tentativo di strappare la narrazione della Pasqua 1916 o la figura di James Connolly al nazionalismo anti-imperialista progressista o quello di “localizzare” la teoria della “Grande sostituzione” accostandola alla “Plantation”, la colonizzazione britannica e protestante dell’Ulster nel XVII secolo) non sta per il momento funzionando come sperato.
Candidati indipendenti
Quello dei candidati indipendenti è un fenomeno tipicamente irlandese. Gli ultimi sondaggi per le elezioni legislative nazionali lo collocano sopra il 17 per cento del voto. In queste ultime elezioni amministrative, gli indipendenti hanno conquistato poco meno di 190 seggi, contro i 245 e 248 di Fine Gael e Fianna Fáil; quasi il doppio rispetto ai seggi portati a casa da Sinn Féin. Alle elezioni europee hanno totalizzato una percentuale di voti di prima preferenza del 24 per cento, decisamente avanti rispetto ai due partiti principali e più del doppio rispetto al voto del partito guidato da Mary Lou McDonald.
Il peso degli indipendenti nella scena politica irlandese ha diverse ragioni. Come prima cosa occorre tenere presente il fatto che in Irlanda (come peraltro in Gran Bretagna) esiste un rapporto più diretto fra le elettrici e gli elettori e i loro rappresentanti eletti rispetto ad altri Paesi europei (come l’Italia). Qui conta meno la fedeltà a un partito e più il rapporto di fiducia che si crea (quando capita) fra elettori ed eletti. Ad esempio, in Gran Bretagna e in Irlanda i rappresentanti eletti mettono a disposizione appositi uffici, visibili e facilmente accessibili al pubblico, dove è possibile recarsi (in alcuni casi persino senza appuntamento) per incontrarli e fare loro domande, avanzare proposte o critiche e così via. Questa tendenza a preferire candidati indipendenti a quelli espressi dai partiti è aumentata, in anni recenti, di pari passo con la crescente disaffezione rispetto alla politica tradizionale, che spinge molte persone a sostenere figure percepite come più libere, oneste e vicine ai problemi della gente comune.
Alcune di queste figure hanno costituito in anni recenti nuovi partiti politici, come Independents 4 Change (Indipendenti per il cambiamento), formazione di sinistra che nella legislatura appena conclusa esprimeva due europarlamentari molto noti anche all’estero, Clare Daly e Mick Wallace (non rieletti), o Independent Ireland (Irlanda indipendente), di opposta tendenza politica, che in quest’ultima tornata elettorale ha fatto eleggere un eurodeputato, l’ex giornalista Ciaran Mullooly. Gli altri due candidati indipendenti appena eletti in Europa sono Michael McNamara, ex deputato laburista al Dáil, e Luke ‘Ming’ Flanagan, che ha fatto il pieno di voti nella circoscrizione centro-nordovest. Partito come attivista per la legalizzazione della cannabis, Flanagan ha condotto diverse battaglie, come quella contro alcuni casi di corruzione all’interno della Garda Síochána, la polizia della Repubblica d’Irlanda. Inizialmente euroscettico, ha progressivamente attenuato questa posizione rivalutando il ruolo delle istituzioni europee. Affiliato al gruppo della Sinistra al Parlamento europeo, ha promesso di battersi per il benessere dei coltivatori e degli allevatori irlandesi. Dopo la notizia della sua elezione, ha aggiunto di non escludere la possibilità di candidarsi alla presidenza della Repubblica nelle elezioni del 2025, a conclusione del secondo mandato dell’attuale presidente, Michael D. Higgins.
Indipendente è anche il candidato che è stato eletto alla carica di sindaco della città e della contea di Limerick: si tratta di John Moran, avvocato, un passato nel mondo della finanza e già segretario generale al Ministero delle finanze irlandese fra il 2012 e il 2014.
Come commento generale, va rilevato che il quadro del voto in Irlanda è sempre più instabile. Prima della crisi finanziaria del 2008 (che ha colpito pesantemente la società irlandese), la percentuale di elettori che non si erano mantenuti fedeli allo stesso partito nelle tre elezioni generali del 1997, 2002 e 2007 era del 28 per cento. Dopo la crisi, questo dato ha superato il 40 per cento per le consultazioni del 2011, 2016 e del 2020. Lo spoglio dei voti delle elezioni amministrative di quest’anno ha evidenziato un’ulteriore spia di questa tendenza: il meccanismo del trasferimento del voto, tradizionalmente ispirato da principi di contiguità ideologica o territoriale, si è fatto decisamente più volatile, con voti che ormai migrano da destra a sinistra e viceversa.
L’autore: Carlo Gianuzzi è co-autore e co-conduttore di Diario d’Irlanda, trasmissione diffusa da Radio Onda d’Urto
Nella foto: il primo ministro Simon Harris (con il premier britannico Sunak) al vertice in Svizzera sull’Ucraina, 16 giugno 2024 (Simon Walker / No 10 Downing Street)