Il Rassemblement National, che ha le radici nel collaborazionismo francese con i nazisti durante la seconda guerra mondiale e prima ancora con la destra più reazionaria, è riuscito a convincere parti significative di elettorato popolare del suo essere una vera alternativa al “macronismo”. E su questo ci dobbiamo interrogare

Il quotidiano parigino Le Monde intitola l’edizione dedicata ai risultati elettorali: “L’estrema destra alla soglia del potere”. Un modo per incitare i suoi lettori a mobilitarsi ma anche il riconoscimento di una stato di fatto che vede concretamente la possibilità per il Rassemblement National di Marine Le Pen di conquistare il governo della Francia.
Il primo turno del voto per la nuova Assemblea nazionale, ha consolidato l’RN come primo partito di Francia col 33,2%, un dato nel quale vanno inglobati i voti ottenuti dai Repubblicani dissidenti di Eric Ciotti.

In un contesto segnato da un clamoroso ma atteso aumento della partecipazione al voto che è salita di quasi venti punti, ottiene 10 milioni e mezzo di voti. La sua espansione è forte soprattutto nelle zone rurali e nei piccoli centri, quella parte di Francia che si è sentita ulteriormente abbandonata dalle politiche arroganti di Emmanuel Macron e non più adeguatamente rappresentata dalla sinistra. Lo segnala, se mai ce ne fosse ancora bisogno, la sconfitta al primo turno da parte di un esponente dell’RN nella ventesima circoscrizione della Regione Nord, del segretario del PCF, Fabien Roussel. Nonostante Roussel abbia tentato di ridisegnare una proposta politica ritenuta più in sintonia con quei settori popolari che da tempo si sono allontanati dalla sinistra.

Il Rassemblement National, che ha le radici nel collaborazionismo francese con i nazisti durante la seconda guerra mondiale e prima ancora con la destra più reazionaria, è riuscito a convincere parti significative di elettorato popolare del suo essere una vera alternativa al “macronismo”. Macron è stato in una qualche misura una sorta di populismo a parti inverse. Anziché rappresentare l’odio del “popolo” per le “élite” è riuscito ad incarnare perfettamente l’ostilità altezzosa delle seconde per il primo. Ma le politiche concrete del Rassemblement National che si sono espresse nel luogo dove si fanno le scelte reali e meno conta la demagogia, l’Assemblea Nazionale, hanno sempre avuto come bussola la difesa degli interessi dei ricchi, della proprietà privata e dei grandi interessi economici.
L’estrema destra, qui come altrove, è riuscita ad imporre il tema dell’immigrazione come centrale e quello della difesa della “Francia di papà” (o di nonno), in larga misura immaginaria, che viene rimpianta da molti elettori che si sono sentiti sballottati e minacciati dall’evoluzione del contesto economico, sociale e culturale nel quale vivono.
La destra tradizionale dei Repubblicani, quella che si richiama a De Gaulle di cui però ha archiviato tutto il posizionamento in politica estera (sui rapporti con gli Stati Uniti, sulla Russia, sul Medio Oriente) si è fermata al 6,6%. Un tempo era il contraltare della sinistra. La grande balena che ha dominato lo scenario politico della Quinta Repubblica almeno fino alla vittoria di Mitterrand e anche dopo. Ora è ridotta ai margini e in brandelli. Un pezzo se ne è andato direttamente nelle braccia della Le Pen e il partito ufficiale sembra orientato a non dare indicazione di voto per il secondo turno.
Il campo presidenziale è anch’esso terremotato. La mossa di Macron di indire le elezioni parlamentari anticipate subito dopo il risultato delle elezioni europee è apparso a molti, anche tra i suoi sostenitori, un vero e proprio suicidio. Si è discusso se la decisione avesse qualche secondo fine. Ad esempio di costringere la destra a governare in una difficile coalizione per arrivare già logorata alle prossime elezioni presidenziali. Che ci fosse o meno una strategia la scelta è stata avventuristica. Il dato delle europee non poteva restare senza risposta ma le elezioni avrebbero potuto essere organizzate con un tempo ragionevole, tale da non offrire all’onda bruna della Le Pen il vantaggio di essere sulla cresta dell’onda.
La “macronia” come viene definita da molti per indicare quasi un mondo a parte, lontano dai sentimenti e dai problemi quotidiani dei e delle francesi, esce seccamente sconfitta dal voto. Ha recuperato qualche punto percentuale sul voto delle politiche ma si è collocata al terzo posto, lontana sia dell’RN che dal Nuovo Fronte Popolare che ha unito le sinistre.
Forse Macron pensava di mettere all’angolo le sinistre che si erano presentate al voto europeo divise e in forte polemica tra loro. Il primo calcolo si è rivelato sbagliato. Il secondo, in campagna elettorale, lo ha condotto ad attaccare soprattutto la sinistra, il cui programma sociale ed economico è stato considerato più pericoloso di quello dell’estrema destra (il che per i ceti benestanti è certamente vero). Macron, già dimentico della cerimonia che portò al Pantheon i Manouchian e altri antifascisti stranieri che avevano combattuto nella resistenza francese ( vedi l’articolo di Franco Ferrari  E Macron si fa bello con i partigiani immigrati ndr), ha accusato le sinistre di “immigrazionismo”. Un termine che era stato gettato nel dibattito politico francese da Le Pen padre.

Attaccare la sinistra ma soprattutto La France Insoumise (LFI) e Melenchon per le più diverse ragioni aveva come obbiettivo tattico di provare a sottrarre i voti della componente più moderata dell’elettorato per capovolgere i rapporti di forza con il NFP e poi presentarsi al secondo turno come baluardo repubblicano. Questa operazione ha funzionato marginalmente, spostando qualche percentuale di voto, ma è politicamente fallita. Ora il campo di Macron balbetta e si divide sul secondo turno.
Anziché aderire coerentemente alla prospettiva del “fronte repubblicano” (che storicamente univa tutti dai borghesi liberali alla classe operaia contro il pericolo della destra estrema) emergono distinguo. Chi non ne vuole sapere, chi vuole appoggiare solo qualche candidato del “fronte popolare”, chi invece sostiene che bisogna schierarsi senza sé e senza ma contro l’arrivo dell’RN al potere. Il problema è che ora le argomentazioni utilizzate dal campo macroniano contro La France Insoumise e la sinistra vengono riprese dalla Le Pen per impedire il coagularsi dell’elettorato sul candidato che ha migliori possibilità di battere il suo partito.
L’estrema destra, nella cui storia ci sono ancora le tracce della collaborazione con la Gestapo nelle “rafles” contro gli ebrei, compresa la più vergognosa di tutte, quella del Vel d’Hiv di Parigi, oggi si presenta come paladina della lotta all’antisemitismo. Un tema che è stato agitato per mesi contro LFI dai grandi media.
Il “Nuovo Fronte Popolare” ha unito la gran parte della sinistra; dall’ex presidente socialista Hollande, ancora considerato uno dei maggiori responsabili delle sconfitte subite dalla sinistra negli anni scorsi, fino al trotskista Philippe Poutou, che è riuscito anche se per un soffio ad andare al secondo turno contro un candidato RN.
Un programma certamente avanzato per quanto riguarda i temi di politica sociale, redistributivi e di tutela delle classi popolari, ma che ha praticamente evitato di affrontare il tema del cambiamento in politica estera, in particolare sulla guerra in Ucraina. Questione sulla quale anche l’RN ha tenuto un bassissimo profilo lasciando intendere che certe critiche alle prese di posizione di Macron non vanno intese come preannuncio di un vero cambiamento di rotta.
Il risultato del Nuovo Fronte Popolare si è attestato sul 28%, in crescita di un paio di punti sulla NUPES ma meno del quasi 32% ottenuto dalle singole liste alle europee. Una percentuale che attesta certamente una crescita in termini di voti ma che non rende facile la conquista di una maggioranza assoluta. La sinistra deve giocare una partita non facile tra il richiamo al “fronte repubblicano” che si rivolge specialmente all’elettorato di Macron e la necessità di non lasciare all’RN il monopolio della parola d’ordine della rottura con le politiche perseguite dall’attuale Presidente.
Franco Ferrari

 

L’autore: Franco Ferrari è politologo e saggista, fra i suoi libri Indagine su Picelli (2023). Collabora con Transform Italia