L’inchiesta undercover su Gioventù Nazionale ha scoperchiato un vaso di Pandora che molti preferivano ignorare. Le immagini raccolte da Fanpage mostrano un’organizzazione che nasconde idee e retaggi che non possono essere tollerati e che dovrebbero indurre una profonda riflessione sulle derive che minacciano la nostra democrazia.
Le reazioni delle opposizioni non si sono fatte attendere, chiedendo a gran voce chiarezza e conseguenze. Le accuse di connivenza e di mancata vigilanza sulle attività di Gioventù Nazionale sono state lanciate con forza, evidenziando come un’organizzazione giovanile che dovrebbe rappresentare la futura classe dirigente del Paese sia, invece, radicata in un passato oscuro e pericoloso. Di fronte a tali accuse, le dichiarazioni di Giorgia Meloni sono apparse tardive e contraddittorie.
Una morsa autoritaria sulla società: il giornalismo nel mirino
Meloni ha cercato di prendere le distanze dai fatti emersi e, allo stesso tempo, evocando minacce di infiltrazioni nelle organizzazioni politiche, non ha esitato a gridare al regime contro Fanpage. Provando a spostare, senza troppo successo, l’attenzione dal merito dei contenuti al metodo dell’inchiesta. La stessa Meloni in passato ha querelato Saviano ed altri, ha attaccato i media, mentre è sempre più debordante la presenza del governo sulla tv pubblica. La sua posizione appare, quindi, non solo tardiva, ma anche strategicamente confusa, incapace di rispondere adeguatamente alla gravità delle accuse. Ancora una volta a finire nel mirino è il giornalismo, quando pone domande scomode.
Il fascismo folcloristico di Gioventù Nazionale non è solo una questione di simboli e retorica, ma si inserisce in una tela più ampia che Meloni e i suoi sodali stanno calando sulla società italiana: una morsa autoritaria che minaccia le fondamenta della nostra democrazia. Tra i fascistelli di Gioventù Nazionale e la fascistizzazione del diritto penale, le opposizioni sociali e politiche dovrebbero trovare la forza e il coraggio di alzare le barricate contro queste derive. Non si può permettere che misure come il Decreto-legge Sicurezza passino senza una resistenza feroce.
Il Decreto Sicurezza: nuova fascistizzazione del diritto penale?
Questo decreto, a firma Nordio-Piantedosi, prevede pene detentive fino a due anni per blocchi stradali e una ulteriore stretta alla repressione degli attivisti climatici e dei lavoratori. Misure draconiane che rappresentano un attacco diretto al diritto di protesta e di dissenso, strumenti essenziali in una democrazia sana e vitale. Così, non solo si criminalizzano atti di protesta pacifica, ma si cerca di intimidire e silenziare quei movimenti sociali che rappresentano una voce critica e necessaria nel dibattito pubblico. Le conseguenze sono devastanti: limitano la libertà di espressione, creano un clima di paura e repressione, minano la fiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche.
Nella proposta di decreto-legge compaiono norme che ricordano il reato di propaganda sovversiva, eredità del Codice Rocco, con forme di restrizione sulla diffusione di materiale informativo e politico destabilizzante per l’ordine pubblico. Insomma, un ulteriore attacco diretto alla libertà di informazione, un pilastro fondamentale di qualsiasi democrazia, che rischia di essere soffocata sotto il peso della censura e dell’intimidazione.
Altrettanto preoccupanti sono le norme che riguardano il carcere. Un inasprimento generale delle condizioni detentive, con l’aumento delle pene e la riduzione delle possibilità di riabilitazione e reintegrazione sociale dei detenuti. Per dirne alcune: l’eliminazione dell’obbligo di rinvio per l’esecuzione della pena in caso di detenute madri e la repressione delle rivolte, anche se pacifiche. Un approccio punitivo che disumanizza i detenuti e alimenta un sistema penale più repressivo e meno orientato alla rieducazione, incrementando il rischio di recidiva e perpetuando un ciclo di violenza e criminalità. Amnesty International ha già espresso profonde preoccupazioni riguardo a questo pacchetto sicurezza, denunciando le gravi violazioni dei diritti umani che potrebbe comportare.
La limitazione dei diritti fondamentali non può essere giustificata in nome della sicurezza; al contrario, questa rappresenta un passo verso una stretta autoritaria che utilizza la legge per reprimere il dissenso e consolidare il potere.
Guardare nella giusta direzione: l’opposizione necessaria
L’allarme per un ipotetico ritorno del fascismo spesso guarda nella direzione sbagliata. L’attenzione si concentra sui segnali più vistosi: gesti identitari come saluti romani e manifestazioni di odio razziale. Questi fenomeni sono certamente esecrabili, ma proprio perché plateali, forse meno pericolosi di misure legislative che mostrano, tra le righe, chiari tratti ereditari del fascismo novecentesco. È questa fascistizzazione strisciante del nostro ordinamento, mascherata da legalità e disciplina, che rappresenta la minaccia più insidiosa.
Le piazze francesi di queste ore riempiono il cuore di speranza: la destra in tutto il mondo va fermata erigendo un argine anche a difesa dello stato di diritto. In Italia, è necessaria una serrata opposizione parlamentare a questa deriva autoritaria voluta dal governo Meloni. Essa rivela l’anima reazionaria che collega l’esperienza del fascismo novecentesco alle destre reazionarie di mezza Europa. Le forze parlamentari e sociali devono unire le loro voci per animare una mobilitazione popolare che si affianchi all’opposizione nelle aule istituzionali, per difendere i valori democratici e prevenire un ritorno a forme di autoritarismo che pensavamo di aver lasciato definitivamente alle spalle.
L’autore: Claudio Marotta è consigliere per Alleanza Verdi e Sinistra alla Regione Lazio