Con 401 voti a favore rispetto ai 360 richiesti nasce il Van der Leyen bis. Grazie al voto dei verdi una maggioranza più ampia dei soli 9 voti di scarto del 2019. A favore popolari, socialisti, liberali, verdi. Contro il gruppo The Left. Poi le varie destre, compresa, in ordine sparso, l’Ecr di Meloni. Si è dovuto aspettare lo spoglio perché non solo il voto è segreto ma mentre popolari, socialisti, liberali e verdi avevano preannunciato i loro sì ad esempio Fratelli d’Italia mandava a dire che avrebbe comunicato come aveva votato solo a scrutinio avvenuto. Sulla scia di un rapporto tra Giorgia Meloni e Ursula von Der Leyen assai controverso da ambo i lati e seguito assai provincialmente dai mass media “nostrani” sul leit motiv di “quanto conta l’Italia”. In realtà la partita era un po’più ampia e riguarda gli equilibri europei più generali. Ma andiamo con ordine.
A turbare la vigilia di Von der Leyen ci si era messa anche la Corte dei Conti europea dandole torto su come si era comportata in materia di trasparenza nell’affaire dell’acquisto dei vaccini. Cosa che aveva spinto il gruppo The Left a chiedere un rinvio della votazione.
Alle 9 Ursula von Der Leyen si è presentata in aula con le sue trenta pagine per l’Europa, il programma di legislatura. In continuità con quanto già fatto e facendo il possibile per avere i voti necessari tra la sua maggioranza storica di popolari, socialisti e liberali, l’apertura ai verdi, la non chiusura totale all’Ecr di Meloni, lasciando fuori le destre considerate estremiste e intrattabili.
Dunque le trenta pagine parlano di una Europa dall’Ucraina alla Georgia, che combatte ad oltranza con le armi e non con la diplomazia l’aggressione russa; fa qualcosa per il conflitto mediorientale ma non certo appoggiare le iniziative della Corte Internazionale contro il genocidio, si riarma massicciamente per stare nel nuovo mondo periglioso. Una Ue tutta industrie, competitività e mercato, la sacra triade che tutto sovrintende. Naturalmente puliti e innovativi. Il green deal, che vogliono i verdi ma che fa storcere la bocca ai popolari e all’Ecr, viene ribattezzato clean industry deal. Soprattutto massicciamente militari e infatti bisogna fare con le armi come con i vaccini.
Impegnati anche sul versante sociale dove il modello è il partenariato col pubblico. Resta l’armamentario monetarista, che col rientro del patto di stabilità sarà difficile da gestire. E poi i migranti dove la convergenza di fatto con le destre sui dossier può aiutare Von Der Leyen a trovare convergenze a lei utili. La democrazia è fatta di confronti ed ascolti ma non ci sono Costituzioni in vista. Insomma impianto “funzionalista”:cioè è la funzione che crea l’organo applicato ora a guerra e alla solita competitività. Retorica e un mix tra establishment e ruolo delle nazioni,una unità dall’alto ed intergovernativista.
Nel complesso gioco del riassetto delle figure apicali l’esordio era toccato alla conferma di Roberta Metsola a presidente del Parlamento europeo dove aveva sostituito lo scomparso David Sassoli nella precedente legislatura. In quel caso le erano state contrapposte candidature da The Left e Verdi. Stavolta è rimasta solo quella di The Left, con Irene Montero di Podemos a fare un bel discorso pacifista e a prendere qualche voto in più del numero dei componenti il gruppo. Il voto è segreto ma la cifra record vicina ai 600 voti dice di una convergenza amplissima su Metsola in un Parlamento abbastanza omologato dalla guerra in poi.
Omologazione confermata dall’ennesima risoluzione bellicista sull’Ucraina con tanto di via libera all’uso delle armi in territorio russo. Qui di positivo c’è che gli italiani eletti in AVS e Cinquestelle hanno votato contro. I verdi praticamente da soli nel loro gruppo. Astenuti i due pacifisti, Cecilia Strada e Marco Tarquinio, eletti nel Pd.
Il problema è che quella linea bellicista è quella degli apicali eletti. Metsola, Von der Leyen e, in attesa di esserlo, l’estone liberale Kallas, ultrà anti russa.
Ma dova andrà questa Ue con questi leaders e molti Paesi in crisi politica, economica e sociale, a partire dalla Germania in recessione dove Von der Leyen attacca il commercio cinese e il cancelliere Scholz cerca di frenare e dalla Francia senza governo? E con il caos delle elezioni Usa di novembre a rendere ancora più incerta la prospettiva? Quella che si vede non è solo la solita subalternità perdente alle politiche Usa, la cui economia tira mentre quella Ue ristagna. Appare una velleità di mettersi in proprio nella crisi della globalizzazione che, fatto salvo il dominus del capitale finanziario, porta tensioni crescenti gestite “orwellianamente”, in modi bellicisti militari ed economici, tra diversi suprematismi, accumulati dal privilegiare i ricchi e aumentare le disuguaglianze. Invece che proporsi come riferimento per il proprio modello sociale avanzato e la ricerca di un governo democratico e cooperativo del Mondo l’Europa in versione Ue si mette in competizione sui terreni, militari e capitalistici, contrari alla sua Storia migliore. Un’altra Europa è sempre più necessaria.
L’autore: politico ed ex parlamentare europeo, Roberto Musacchio collabora con Transform Italia