Fino al 13 ottobre il Centro per l’arte contemporanea di Prato raccoglie le opere di artiste, toscane di origine o di adozione, di generazioni diverse, che utilizzano i supporti e i materiali più disparati, ma che hanno in comune il legame con il territorio

Colorescenze, artiste, Toscana, futuro è una mostra collettiva di artiste, aperta fino al 13 ottobre al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato che raccoglie le opere di artiste, toscane di origine o di adozione, di generazioni diverse, che utilizzano i supporti e i materiali più disparati, ma che hanno in comune molte cose. Prima di tutto il legame con un territorio particolare, come quello della loro regione, che implica anche un inevitabile dialogo con la grande tradizione figurativa del rinascimento.

Il centro Luigi Pecci, è stato rinnovato con una ristrutturazione (completata nel 2016) che ha cambiato radicalmente il rendering dell’edificio. Il progetto dell’olandese Maurice Nio Sensing the Waves ha rivoluzionato il progetto razionalista originario firmato dall’architetto Italo Gamberini, e quindi di conseguenza anche il senso dell’intera struttura, non solo raddoppiando lo spazio espositivo, passato a 3000 mq, ma rendendo la visita del medesimo un’esperienza sensoriale differente. Il visitatore adesso non segue un percorso lineare, ma è chiamato a entrare in una struttura circolare, una sorta di “tubo digerente” nel quale i sensi vengono stimolati anche dalla insolita disposizione delle creazioni artistiche in uno spazio dalle proporzioni non geometriche, nel quale “contenitore” e “contenuto” quasi si equivalgono. A completare questa struttura. In cima all’anello, in posizione laterale rispetto all’asse di simmetria del complesso museale, si erge l’“antenna”, simbolo della missione del nuovo programma culturale: captare emergenze creative e segnalare la loro presenza sul territorio.

Quest’ultimo elemento architettonico dal forte significato simbolico rappresenta un buon punto di partenza per comprendere meglio il senso di questa mostra, che ha l’ambizione di raccogliere e dare visibilità alle artiste che vivono e lavorano in Toscana, regione nella quale la creazione artistica appare spesso decentralizzata (anche i borghi e le campagne spesso sono diventati veri e propri centri d’arte) e diffusa in modo capillare in tutto il territorio. Il richiamo del paesaggio, celebrato per le sue forme dolci e armoniose fin dai tempi del rinascimento, ha continuato a richiamare qui artisti da tutto il mondo. Vale la pena ricordare, tra gli altri, lo scultore Henry Moore, che soggiornava spesso in Toscana (a Prato è conservata la sua monumentale Forma squadrata con taglio, acquistata da un consorzio di industriali locali dopo la storica mostra di Forte Belvedere a Firenze nel 1972). In Colorescenze sono esposte anche opere Isabella Costabile nata a New York, nel 1991, che vive tra Grosseto e Milano, Christiane Löhr, nata a Wiesbaden, in Germania, nel 1965, che vive tra Colonia e Vernio, Prato e Helena Hladilová nata a Kroměříž, in Repubblica Ceca, nel 1983, che vive a Seggiano, in provincia di Grosseto, artiste che hanno saputo “rileggere”, ma con una chiave e una sensibilità radicalmente nuove, le tradizioni e il paesaggio locali.

Di Christiane Löhr sono esposte opere realizzate con l’uso di elementi organici come crini di cavallo, semi di piante, soffioni o gambi d’erba. «L’artista dà vita a sculture apparentemente fragili e vulnerabili, di estrema laboriosità costruttiva: le sue microarchitetture dipendono dall’ “autonomia del materiale”, il criterio geometrico della loro costruzione è assoggettato a regole che attingono direttamente all’intelligenza dei materiali utilizzati. Le sue opere sono di fatto microcosmi essenziali, vulnerabili ma allo stesso tempo radicali nella modalità attraverso cui abitano lo spazio, resistenti nel tempo nonostante la loro caducità», recita la didascalia.

l’artista statunitense Isabella Costabile presenta nove sculture, molte delle quali composte da elementi recuperati da luoghi industriali, rimesse agricole o dalle spiagge del grossetano, riassemblati secondo riconfigurazioni che complicano i significati simbolici o funzionali a loro solitamente attribuiti («L’artista ridiscute il concetto di object trouvé introdotto da Marcel Duchamp, per cui un oggetto trovato può diventare opera d’arte sulla base del semplice volere dell’artista, indipendentemente dal suo significato e valore culturale» si legge nella presentazione). Anche la monumentale opera di Giulia Cenci (nata a Cortona, Arezzo, nel 1988) Progresso Scorsoio (2021) si compone di frammenti di macchine agricole e rottami di automobili, ricomposti in una configurazione che ricorda l’esoscheletro di un animale, al contempo preistorico e futuribile. Con le sue braccia meccaniche, l’opera potrebbe accogliere o aggredire chi vi si confronta. Il titolo dell’opera presentata riprende l’idea del nodo scorsoio e del suo scorrere lento. La suggestione deriva dai versi del poeta Andrea Zanzotto: «In questo progresso scorsoio / non so se vengo ingoiato / o se ingoio». La artista, come il poeta, si interroga sullo sfruttamento della terra, sull’industrializzazione dell’agricoltura, sugli allevamenti intensivi che hanno mutato il paesaggio, intaccandone bellezza e l’equilibrio, producendo gravi dissesti ambientali.

Helena Hladilová, che aveva studiato all’Accademia di Carrara, attraverso la ricomposizione fantasiosa di spunti tratti dal folklore italiano e ceco, ha elaborato «sculture e installazioni ispirate a un suo personale storytelling materno»; le sculture di marmo proposte a Colorescenze rappresentano creature fantasiose, generate dalla fantasia personale dell’autrice, «creature sui generis, esseri deformati e metamorfici, animali ibridi, con innesti di pietre e metallo che ne moltiplicano organi e teste, o aggiungono arti umani alle loro forme animali». Analogamente possiamo ritrovare un uso “straniato” e deformato del mondo figurativo della tradizione in una artista locale, come Sandra Tomboloni, nata a Pelago, in provincia di Firenze, nel 1961. I suoi bassorilievi realizzati col plastilina inevitabilmente richiamano quelli della celebre bottega dei Della Robbia sparsi per tutta la Toscana realizzati nella tecnica della terracotta policroma invetriata inventata proprio da Luca Della Robbia. A differenza di quelli, nei bassorilievi della Tomboloni sono rappresentate creature metamorfiche, metà bestie e metà uomini. «Gli animali rappresentati da Tomboloni compongono una sorta di bestiario fantastico: in Disubbidire al padre, il dittico nero, il riferimento è al cane e alla sua proverbiale fedeltà; in Purezza, l’idea di candore e virtù, simboleggiata anche dal colore bianco, viene accostata alla figura del maiale, in netto contrasto con l’usuale connotazione dell’animale nella cultura europea».

Nei lavori presentati da  Daniela De Lorenzo, nata a Firenze nel 1959, il punto di partenza invece è  Melancholia di Lucas Cranach il Vecchio, un dipinto del 1532 da lei manipolato in una serie di collage fotografici. Uno di questi collage ha fornito lo spunto per la scultura centrale in feltro, materiale a lungo indagato dall’artista per le sue qualità plastiche e la sua relazione con la sapienza antica della manifattura del tessuto.

A guidare il plotone delle artiste di questa mostra è Lucia Marcucci, la decana del gruppo: nata a Firenze nel 1933, fu tra i fondatori del “Gruppo 70”, che a partire dagli anni Sessanta,  «indaga le modalità con cui il potere patriarcale modella la società attraverso il linguaggio e le immagini che circolano nei mass-media, riferendosi, in particolare, ai rotocalchi femminili e ai loro dettami repressivi di comportamento femminile». In Colorescenze sono esposti alcuni dei suoi storici collage, nei quali «l’artista utilizza cortocircuiti tra immagini e testi, offrendo alle osservatrici e agli osservatori l’opportunità di stabilire i propri percorsi di lettura e di scorgere nelle opere i significati legati alla loro esperienza», in sintonia con le istanze che il movimento femminista stava portando all’attenzione dell’opinione pubblica in Italia proprio in quegli anni.