Nella parola Repubblica, dal latino res publica, c’è dentro tutto: la Costituzione con la sua tavola di principi fondamentali e valori irrinunciabili, la divisione dei poteri (per evitare che uno sovrasti e schiacci l’altro e per assicurare così i diritti dei cittadini), le istituzioni democratiche e la dialettica politica, il popolo, i singoli cittadini e le loro variegate formazioni sociali e tanto altro ancora.
Le fondamenta sono antiche e solide, costituzionali appunto, dove “costituzionale” sta per costitutivo e strutturale.
La nostra bella Costituzione, però, per vivere ha bisogno di effettività: non può fare a meno che effettivi siano i diritti (e i doveri) scritti nella Carta, effettivi siano il loro rispetto, la loro garanzia, la loro promozione.
Una Costituzione democratica e liberale, come la nostra, sancisce i diritti fondamentali tra i quali vi è quello di riunirsi, “pacificamente e senz’armi”, per manifestare liberamente il proprio pensiero nell’agorà che è lo spazio pubblico, di tutti.
Che forza quella formula “pacificamente e senz’armi”: come a dire che il corpo e la voce di ogni cittadino possono stare nelle piazze per difendere ogni causa giusta, ogni alto ideale, qualsiasi proposta politica, per la polis appunto, che è ontologicamente plurale.
Nata sulle ceneri di un regime che negava quelle libertà fondamentali, la nostra Costituzione le proclama e le protegge.
E quando uno dei poteri – in questo caso, l’esecutivo cioè il governo – minaccia quelle libertà, un altro potere, in questo caso la magistratura (che la Costituzione ha il giusto pudore di definire “ordine” perché “potere” è per definizione forza regolata suscettibile di straripare), sollecitato dai cittadini e dalle formazioni sociali cui quel diritto fondamentale viene negato, interviene in difesa, ripristinando l’equilibrio costituzionale violato.
Dopo avere approvato, con la sua schiacciante maggioranza parlamentare, un disegno di legge “sicurezza” fascistoide e liberticida (che criminalizza persino la resistenza passiva e disarmata), lo stesso esecutivo pretende oggi di vietare una manifestazione (quella del 5 ottobre) sacrosanta indetta per chiedere il cessate il fuoco immediato a Gaza (e negli altri fronti di guerra inopinatamente e pericolosamente aperti da Israele), la difesa dei diritti umani, il diritto del popolo palestinese (come tutti gli altri popoli e nazioni) a difendere la propria terra dall’occupazione e quindi alla autodeterminazione, pace e giustizia per il popolo palestinese oggetto di un massacro genocida.
Chi manifesta, lo fa per difendere i diritti umani fondamentali e il diritto internazionale.
Chi vieta la manifestazione è lo stesso governo che ha fornito (e forse sta continuando a fornire) in violazione di una legge della Repubblica (la Legge 185 del 1990) armi ad un Paese (Israele) in guerra che sta commettendo crimini contro l’umanità in danno della popolazione civile.
Oltre 41.000 morti, il 65 % dei quali donne e bambini.
Per quale altra più nobile causa si dovrebbe manifestare se non per difendere la vita e il futuro dei bambini?
Un governo complice di genocidio (art. III lett. e) della Convenzione internazionale sulla prevenzione e la repressione del genocidio) vieta di manifestare contro il genocidio.
Ci si rende conto della gravità del momento?
E un Tribunale amministrativo regionale, nella persona di un magistrato singolo, presidente di sezione, avalla giuridicamente la sospensione di una libertà fondamentale in nome della “sicurezza”.
La questura ben avrebbe potuto, come prevede la legge, invece di vietare lo svolgimento della manifestazione, impartire prescrizioni: vietare al corteo alcuni luoghi sensibili e diffidare organizzatori e partecipanti dall’esposizione di simboli, scritte e slogan di contenuto illecito (come si dovrebbe fare per le manifestazioni neofasciste che si lasciano invece liberamente organizzare, con tanto di “innocui” – secondo recente giurisprudenza penale – saluti romani e chiamate del presente).
E – come la digos sa fare benissimo – ben avrebbe potuto la questura di Roma limitarsi a garantire lo svolgimento in sicurezza della manifestazione, raccogliendo eventuali prove di commissione di reati (come la violazione della legge Mancino, in caso di propalazioni antisemite o di incitamento all’odio razziale di singoli manifestanti) per poi farne doveroso rapporto all’autorità giudiziaria.
Invece no: si sospende, col preoccupante beneplacito giurisdizionale, una libertà costituzionale e costitutiva della Repubblica. Come si può rimanere indifferenti a tutto questo?
Quando anche gli eterni prudenti e pavidi conformisti si sveglie dal torpore, sarà troppo tardi. Qui e ora, comunque la pensiate sul genocidio di Gaza (che rappresenta la pagina più nera dal dopoguerra di crisi del diritto internazionale umanitario), se avete a cuore la Repubblica, dovete difenderla, manifestando e manifestandovi.
Quando si trattò di difendere la libertà dai nazifascisti mio nonno Libero abbracciò con coraggio la lotta partigiana, a rischio della propria vita. E fu la Costituzione, fu la democrazia, fu la Repubblica: quella Repubblica che sta scricchiolando adesso sotto lo stivale chiodato del neofascismo istituzionale, reazionario e liberticida e che sta vacillando perché tante, troppe mani non la sorreggono più e si nascondono, quatte e pavide, dietro schiene sempre più piegate. Ci si rende conto della gravità del momento?
Io me ne sto rendendo conto e per questo sarò in piazza a Roma il 5 ottobre a manifestare, pacificamente e senz’armi, se non quelle della parola libera e critica e del corpo, a riempire uno spazio pubblico che il potere vorrebbe restasse silente e vuoto.
L’autore: Andrea Maestri è avvocato e attivista per i diritti umani
Foto di Renato Ferrantini